venerdì, settembre 20, 2024

'COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA' CONVERSAZIONE CON FEDERICA DI GIACOMO

Film d’apertura delle Giornate degli Autori e in sala dal 29 agosto Coppia Aperta quasi spalancata prende in prestito il teatro e un’attrice di successo, Chiara Francini, per parlare dell’amore di coppia in tutte le sue declinazioni. Del film abbiamo parlato con Federica Di Giacomo.

Coppia aperta quasi spalancata di Federica Di Giacomo è in sala dal 29 agosto con I Wonder Pictures, ma è stato presentato anche a Venezia 2024.

Leffetto meta cinematografico della prima sequenza è piacevolmente spiazzante. Allinizio infatti crediamo di guardare un film di finzione interpretato da Chiara Francini e Alessandro Federico, poi quando il privato degli attori entra allinterno dellinquadratura ci si accorge di trovarsi di fronte a un documentario. In realtà Coppia aperta quasi spalancata è un film polivalente dove arte e vita si mescolano di continuo. Come ti è venuto in mente un inizio del genere?

L’idea è nata quando abbiamo seguito per alcuni giorni la tournée teatrale. Nella vita reale rispetto allo spettacolo i rapporti tra i due attori erano ribaltati, Alessandro più sottomesso e Chiara molto dominante con effetti piuttosto comici. Da lì abbiamo pensato che rompere subito il meccanismo di finzione classico aiutasse lo spettatore ad entrare in una prospettiva diversa che portava il racconto nella società. D’altronde Franca Rame con la vena provocatoria del suo stile era riuscita a realizzare una satira molto pungente della società del suo tempo. La volontà quindi era quella di trasporlo con lo stesso spirito dell’autrice nell’Italia di oggi attraverso una nuova geografia dell’amore.

Coppia aperta quasi spalancata è costruito come un gioco di specchi perché il tema dellamore di coppia analizzato nelle sue variabili aveva anche nel sodalizio lavorativo tra Chiara e Alessandro con possibile esempio. 

Sì, la cosa interessante era proprio quella. Attraverso l’osservazione le mie ricerche si sono indirizzate in due direzioni. La prima consisteva nel cercare nella realtà chi praticava il modello di coppia aperta, cercando di capire se questo concetto era lo stesso quarant’anni fa oppure no. All’inizio ho cercato anche nell’ambito dello scambismo che è la versione più immediata con cui si traduce il concetto di coppia aperta, nel senso che normalmente si parla di aprire la coppia solo dal punto di vista sessuale, prospettiva, questa, che ho trovato fin da subito poco interessante perché restringeva troppo il campo. Al contrario il poliamore come nuova visione della società e della famiglia mi sembrava un punto di vista più stimolante. Per questo ho seguito una di queste coppie che guardano alla monogamia come qualcosa di medievale destinato a durare ancora oggi solo per motivi legati alla struttura sociale – dunque alla disparità tra uomo e donna – ed economica. Una critica questa che in fondo era presente anche nel testo teatrale. Parallelamente ho iniziato a seguire anche Chiara e Alessandro nella confidenzialità che spesso si stabilisce nel corso delle tournée teatrali.

Se consideriamo che nel rapporto lavorativo tra Chiara e Federico si inserisce anche Frederic, compagno dellattrice, è possibile vedere anche loro come una variante di coppia aperta, seppur nel senso più platonico del termine.

Infatti si tratta di una versione poliamorosa che non si realizza perché in loro persiste l’idea della monogamia, in Inglese si dice One Penis Policy, cioè un unico uomo dentro la coppia dunque dell’esclusività sessuale in cui si possono condividere molte cose ma non tutte. Devo dirti che il parallelismo tra un trio che non si apre e l’altro, in cui invece due maschi eterosessuali diventano amici e accettano di condividere la relazione con la stessa donna, è nato in maniera spontanea ma per me era molto importante perché ripropone la domanda fondamentale del testo, può una donna permettersi la libertà sessuale e sentimentale che viene socialmente accettata per l’uomo?

Coppia aperta quasi spalancata si pone in continuità con i tuoi precedenti lavori a partire. Anche ne Il Palazzo, per esempio, raccontavi un modo di vivere estraneo ai costumi della nostra società. Li portavi agli estremi il concetto di amicizia, qui quello relativo allamore. Anche in Coppia aperta quasi spalancata abbiamo a che fare con una filosofia proveniente dalla cultura degli anni settanta a testimonianza di un discorso che porti avanti con coerenza di film in film. 

Sicuramente mi affascina scoprire microcosmi di senso all’interno del nostro mondo, fatti di persone che condividono una situazione o un modo di pensare diverso. Quando ci entro, sospendo il giudizio e li osservo per mesi, o anni e cerco di guardare tutto dal loro punto di vista, con le loro parole, con i loro codici interni. Mi sembra sempre, dal mio primo film, un modo per guardare il resto della società con una nuova distanza che illumina di significato e di orizzonti di senso interessanti i paradigmi del pensiero dominante. Le comunità dei poliamorosi mi hanno aiutato a vedere la monogamia con occhiali particolari, ho riconsiderato certi concetti che anche io avevo incrostati dentro di me, mi sono resa conto che molte idee sull’amore e sulla gelosia le avevo interiorizzate senza problematizzarle abbastanza e ne ho fatto un tema del film.

Come pure labitudine di prendere le parti più estreme del tuo discorso e inserirle in un contesto di normalità per constatarne gli effetti. 

Come in Liberami ho cercato di ribaltare la prospettiva normalizzando la figura del prete esorcista qui mi sembrava stimolante ribaltare la prospettiva verso i Poliamorosi che, come mi hanno raccontato moltissimi di loro, in Italia vengono visti attraverso stereotipi vecchi e fuorvianti. Alcuni parlano di terrore poliamoroso, quando decidono di parlarne ci sono reazioni di ansia, di paura piuttosto scomposte, a volte esilaranti, di chi ha un’idea più tradizionale del rapporto, come se fossero portatori di un virus contagioso. Quando abbiamo incontrato la polecola, cioè la famiglia di SaraDaniel Efrem e Chloè, abbiamo respirato un’atmosfera di tranquillità, rispetto e cura che li pone proprio all’opposto dell’idea che si ha spesso dei poliamorosi come nevrotici cercatori di emozioni e sesso. Quindi il dispositivo del ribaltamento ha funzionato.

Un dispositivo, quello che hai appena detto, riassunto da inquadrature ricorrenti in cui vediamo la quinta teatrale ripresa dal backstage. 

Sì, certo, quelle inquadrature facevano parte del meccanismo per passare dal teatro alla vita reale. C’è da dire che i testi di Franca Rame sono ad alto contenuto autobiografico. Lei è stata una delle prime autrici ad avere il coraggio di portare la propria vita sul palco. A far diventare politico il personale ce l’ha insegnato lei, portando anche il teatro fuori dai teatri borghesi verso la gente comune, quindi mi sono anche sentita legittimata a fare un’operazione meta teatrale e anche meta cinematografica. Capisco che la perdita di riferimenti e un linguaggio diverso da quello classico può risultare un po’ straniante per chi non vi è abituato ma quando è così siamo anche più aperti ad accettare opinioni diverse dalla nostra. In una scena può capitare di sentirci più vicini a un personaggio, in un’altra ad un secondo senza sentire il bisogno di riconoscersi in posizioni di pensiero definitive.

Alla maniera di Franca Rame, anche Chiara Francini nel film accetta di mettere in discussione se stessa e il suo personaggio attraverso un confronto serrato con la realtà. Da una parte vi figura come una sorta di grillo parlante, dallaltra non ha paura di mostrarsi con tutte le sue imperfezioni.  

L’idea era di ripetere un po’ il rito di Franca e quindi dell’attrice che quarant’anni dopo porta in giro lo spettacolo nei teatri stabili di tutta Italia accettando di aprirsi e di svelare qualcosa della propria vita. In realtà in questo Chiara è stata propositiva, cioè lei stessa mi voleva proporre sin dall’inizio la sua vita, i rapporti con la madre, quelli con il fidanzato e con il collega di lavoro. Non ti nascondo che si è trattato di un film molto complesso da girare perché per i poliamorosi invece mostrarsi ed aprirsi non era facile, molti di loro non lo avevano ancora detto a parenti o nell’ambito lavorativo. Per questo abbiamo costruito una relazione di fiducia che li aiutati a credere nel progetto e solo dopo molti mesi hanno aderito completamente al film.

Infatti unaltra caratteristica del film è quello di un confronto molto spontaneo in cui Chiara e Alessandro si trovano spesso in minoranza rispetto agli altri. Chiara non ha paura di essere fuori dal coro in maniera spesso conservativa così come non lhanno gli altri nel manifestargli il loro dissenso. 

Secondo me questo aspetto diventa metaforico rispetto alla nostra società. Negli anni settanta il dibattito e il confronto di idee era il benvenuto mentre adesso esprimere un’opinione contraria alla maggioranza rischia di metterti in disparte. Dunque la cosa più politica che potevo fare era quello di mantenere lo spirito di Franca, creando un dibattito per poi mostrarlo senza filtri, facendo venire fuori dei concetti che covano da anni dentro di noi. Non bisogna dimenticare di essere cresciuti in un paese cattolico in cui la monogamia è intoccabile, caricata com’è di un romanticismo che non esiste più perché nel frattempo la famiglia è completamente cambiata. Nel creare questi momenti di confronto abbiamo cercato di non dare troppe informazioni ai partecipanti per mantenere una certa genuinità e fare uscire le domande più scomode proprio perché su questi temi cosi personale e complessi non esiste una risposta unica.

Nel film ci sono delle scene esilaranti. Una di queste è quella dellincontro con la madre. In generale sia lei che altri sembrano più personaggi di quelli di finzione.    

Quello mi deriva dall’istinto documentaristico, nel senso che io mi innamoro degli esseri umani e tendo a considerare la loro forza espressiva pari o superiore a quella degli attori che sono comunque chiamati a fare un lavoro per arrivare alla verità. Quando ho incontrato la madre di Chiara ho trovato una tale carica di ironia, una tale dignità ed intelligenza, tempi comici perfetti, che mi sembrava impossibile da non rappresentare. Considera che in tutte le scene non c’è un dialogo scritto: cioè io predispongo, preparo, lavoro sulle situazioni da mettere in scena ma poi loro vanno liberi. Non intervengo mai durante le riprese.

Unaltra sequenza molto divertente è quella con Chiara e il marito, con questultimo che ha una mimica facciale opposta a quella di lei. I loro battibecchi sono degni di quelli tra Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. 

Sì, il rapporto con Frederick era molto interessante perché lui ha questo umorismo nordico che si contrappone alla grande all’esuberanza di Chiara con le sue battute fredde, puntuali e ciniche. L’idea però è stata di non limitare il film su una coppia. Al contrario per me era molto importante aprirla per far diventare il film un racconto plurale nel tentativo di ragionare sulla monogamia di coppia da un punto di vista diverso. Da qui l’idea di creare un parallelismo con l’altra famiglia, quella fondata sul poliamore.

In tal senso ho trovato molto azzeccata la sequenza finale che rovescia completamente la filosofia del poliamore mostrando Chiara in balia di Frederic, maschio alfa in cerca della casa dei suoi sogni e non di quelli di lei. 

Beh, sì, il gioco era un po’ quello di far riflettere su cosa è veramente anomalo. In realtà l’ultima scena del film doveva essere un omaggio a Franca Rame. Io e la montatrice abbiamo scelto un pezzo della famosissima intervista con la Carrà in cui Franca parla dei baci che si possono dare anche se si è in coppia ma purtroppo per problemi di produzione non è stato possibile inserirla. In generale l’esclusività sessuale ci porta a stare con una determinata persona quando forse avremmo da condividere di più con altri. È l’idea che secoli di letteratura e cultura ci hanno tramandato della metà che ci completa e diventa l’unica aspirazione caricandoci tutti di aspettative eccessive. In una società – come dice il rapporto Istat sulla famiglia – in cui l’Italia è composta dal 33% di single, i poliamorosi propongono di riconsiderare in concetto di rete affettiva in cui gli altri affetti di cui ci circondiamo sono importanti tanto quanto questo fantomatico partner che dovrebbero risolverci tutta la vita.

Lesuberanza di Chiara rischiava di vampirizzare il testo del film. La tua bravura è stata quella di creare un dispositivo in grado di contenerla assicurando agli altri lo stesso spazio e complessità. Com’è stato lavorare con lei? Te lo chiedo perché tu sei una regista con una precisa identità, lei altrettanto e dunque appartenuti a mondi lontanissimi per visione della vita e del cinema. 

La cosa interessante era proprio andare dentro questa diversità cercando di capirla. Era chiaro che quando l’attrice e la produttrice di un film coincide con la stessa persona il rischio di sbilanciare la narrazione su un binario unico è molto forte e sapevo che questo poteva rendere difficile la lavorazione del film. In più veniamo anche da visioni della vita e del cinema molto diverse. Per questo motivo dopo i mesi di ricerca e sviluppo con il mio gruppo di scrittori ho proposto un trattamento ed ho condizionato la mia partecipazione al film alla sua accettazione, proprio per rendere condiviso con tutti il metodo e la struttura corale del film.

In realtà Chiara ha la dote di dire le cose fuori dai denti e senza molti filtri e la prima cosa che mi ha detto è che le interessava il mio modo di andare verso la realtà, quindi era disposta ad accettarne le conseguenze. Siamo partiti senza sapere se ci saremmo riusciti, senza avere dati certi, dovendo fare il film anche in tempi molto stretti per esigenze produttive. Abbiamo corso, ci siamo buttati, ci siamo scontrati ma questa energia molto forte ha creato un film vivace ed interessante.


Carlo Cerofolini

(conversazione pubblicata su taxidrivers.it)

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