mercoledì, settembre 11, 2024

'CAMPO DI BATTAGLIA' CONVERSAZIONE CON GIANNI AMELIO

In concorso per il Leone d’oro a Venezia 2024 Campo di battaglia di Gianni Amelio si pone in perfetta continuità con la filmografia del maestro italiano confermandone la poetica e il carattere. Del film abbiamo parlato con Gianni Amelio.

Interpretato da Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini, Campo di Battaglia è stato prodotto da Kavac, IBC Movie, OneArt, Rai Cinema.

Campo di Battaglia è un film sulla guerra in cui non si spara un colpo e dove sono bandite le strategie formali tipiche del genere. Era questa la premessa per la storia che volevi raccontare?

Sì. Spesso i film “di guerra” si trasformano in racconti d’avventura. La guerra invece va raccontata nella sua terrificante potenza, scavando nell’orrore di chi ci si trova dentro. Non era mia intenzione fare un comizio né una predica, ma guardare in faccia le vicissitudini di chi subisce le conseguenze dello scontro. Nel film ci sono da una parte gli ufficiali medici che devono rimettere in sesto i soldati per rimandarli al fronte “col fucile in mano”, dall’altra i soldati che hanno vissuto la ferocia di quell’esperienza e sono disposti a tutto, anche a tornare a casa senza un braccio o un occhio, pur di evitare quel luogo di morte. Ho voluto raccontare la vita dentro un altro campo di battaglia, in questo caso l’ospedale militare che diventa anche lo spazio del tradimento, dove esplode il rifiuto della guerra e si cerca il modo di combatterla.

Il titolo del film spiega molto di quanto hai appena detto. Il campo di battaglia infatti è il terreno dove si materializza un altro scontro, ma è anche lo spazio che ci ricorda come il nemico si manifesti prima di tutto dentro di noi.

È l’interpretazione esatta del film. Il titolo contiene anche un altro concetto: le guerre sono manovrate dal delirio di potere di chi ha le chiavi del comando, e a farne le spese sono gli innocenti, gli ultimi, i disperati. Soprattutto la Grande Guerra è stata una mattanza di povera gente, di giovani reclutati tra i disoccupati, i contadini, e usati come carne da macello. Il soldato meridionale non capiva nemmeno il modo di parlare di quello del nord, per lui era quasi come avere di fronte un altro nemico, anziché un fratello. Parliamo di un’Italia in cui per andare dal sud al nord ci volevano giorni. In un momento del film un soldato di Catania dice di non essere mai andato in licenza perché la Sicilia è lontana e i superiori hanno paura che i soldati una volta lì non tornino più. Il sentimento negativo che accompagna tutte le guerre è reso ancora più forte perché parliamo di un conflitto manovrato dall’alto, una guerra sanguinosa che ha toccato le persone più fragili, e soprattutto i giovani perché si andava in guerra già a diciotto anni.

Non è raro che i tuoi film interroghino la Storia per trovare risposta alle domande di oggi. Per te la Storia non è mai una cornice ma parte integrante della narrazione. Succede così anche in Campo di Battaglia ambientato nel 1918, ultimo anno di una lunga e sanguinosa guerra.

Se non si parte dai problemi più urgenti dell’oggi, la Storia diventa solo un modo per fare sfoggio di erudizione. Se certi problemi sono attuali il discorso cambia. Quando giravo il film non pensavo solo alle esigenze di una ricostruzione d’epoca, ma a venirmi in mente era ciò che accade in Ucraina, a Gaza, e che continua ad accadere in Medio Oriente.

La Prima Guerra Mondiale è stata un conflitto molto diverso dagli altri.

È stata una guerra combattuta da giovani non per motivi economici ma perché obbligati a farlo. Oggi ci sono gli eserciti mercenari, allora c’era l’obbligo di andare a difendere la patria. Poi in realtà sappiamo che dietro questo concetto c’è sempre la manovra del potere. Anche il fatto di allearsi con un Paese o con un altro nasce dalla convenienza politica. L’Italia, per esempio, la guerra non l’ha vinta, ma il fatto di essersi alleata con la coalizione che ha prevalso, le ha concesso di sedersi al tavolo dei vincitori. Le perdite in termini di vite umane sono state enormi, a fronte di una guerra combattuta per motivi tattici e non, ad esempio, come risposta all’invasione di un nemico. Qualche volta sembra che ci siano guerre “giuste”, ma non penso che i problemi si possano risolvere solo con bombe e fucili. La politica esiste per evitare che questo si verifichi.

Uno degli aspetti più riusciti del film è quello che riguarda la dialettica tra i personaggi principali. Il confronto tra loro non assume mai posizioni manichee. Se il Giulio di Alessandro Borghi è quello che suscita più empatia, bisogna dire che Stefano, interpretato da Gabriel Montesi, è mosso da un’onestà di fondo che finisce per salvarlo. In questo senso il personaggio di Anna rappresenta una sorta di sintesi delle posizioni assunte dai due amici.

È vero. Campo di Battaglia evita le schematizzazioni, e il personaggio di Anna è il più inquieto dei tre, ma è poi quello più deciso e umanamente forte. Anna fa fino in fondo il suo dovere. Lei non è nemmeno un medico, perché a quei tempi per una donna era difficile arrivare a quel livello. Ma poi resta dentro l’ospedale quando a una guerra se ne aggiunge un’altra, più inquietante, rappresentata dall’epidemia. A quel punto i capi se ne lavano le mani, non possono mandare a casa il corpo di un soldato morto senza una ferita addosso. Nel film c’è una scena molto esplicita in cui, di fronte all’incalzare di Stefano, il Generale si tira indietro lasciando a lui la responsabilità di decidere.

Nel film l’epidemia “spagnola” si diffonde innanzitutto tra i soldati. Si tratta di una realtà poco conosciuta su cui il film fa luce.

È, storicamente provato che i primi casi di spagnola non sono stati rilevati tra i civili ma proprio nelle trincee. Ci sono stati migliaia di morti per polmonite. Ho messo in evidenza come a una catastrofe se ne sia aggiunta un’altra. La spagnola è stata una tragedia dentro un’altra tragedia. È tutto documentato. I primi casi di pandemia si sono verificati tra i soldati alla fine di marzo del 1918.

“Qui non muore nessuno”. Di fronte alla tragedia che colpisce militari e civili, la frase pronunciata da Anna assume un punto di vista, e direi pure un sentimento, che riporta all’Albert Camus de La Peste e al Leopardi de La Ginestra. Campo di Battaglia di Gianni Amelio ci dice che nel dolore non ci resta che essere solidali uno con l’altro, aiutandoci nel raggiungimento di un obiettivo comune.

Tra i miei riferimenti avevo sia Camus che Leopardi. Anna è spinta dall’ottimismo della volontà, per cui, davanti all’evidenza dei fatti, risponde con disperata fiducia. Quella frase, apparentemente assurda, riassume l’intenzione di dare uno scacco alla morte chiamando a raccolta l’intera comunità. Di fronte all’impossibilità di affrontare da sola quella tragedia, quando guerra e pandemia si uniscono per fare strage di vite umane, è giusto che chi ha un minimo di forza accetti di resistere e di lottare per gli altri.

In Campo di battaglia figurano due temi ricorrenti del tuo cinema, quello del complesso rapporto con la figura paterna e ancora la conflittualità tra fratelli. Giulio e Stefano è come se lo fossero, però come succede in Così Ridevano, il fatto di volersi bene non impedisce loro di separarsi.

Sono contento di questo rilievo. Sia in Così Ridevano che in Campo di Battaglia esiste questo sentimento per cui uno ha bisogno dell’altro. Quando Stefano dice a Giulio che gli farebbe bene stare un po’ in trincea e Giulio gli risponde di essere pronto a partire subito, Stefano rimane in silenzio. Anche se sembra il contrario, è più Stefano ad aver bisogno di Giulio che viceversa. Giulio, anche se per il tratto della sua figura sembra più fragile, più delicato, più morbido, è in realtà il più forte dei due. Stefano invece ha tutta l’aria di star bene dentro la propria divisa, invece è esattamente l’opposto.

Parlando degli attori che, come sempre nei tuoi film, si producono in una prova eccellente, mi sembra di poter dire che la loro scelta sia partita innanzitutto dalla corrispondenza fisiognomica con i personaggi. Montesi con il volto più squadrato e i tratti più marcati rispondeva al fare duro e determinato di Stefano mentre la fisionomia più dolce di Borghi si sposa bene con la sensibilità emotiva di Giulio.

In effetti è stato un punto di partenza molto importante nella scelta degli attori. In particolare Federica Rosellini ha una femminilità particolare, qualcosa che l’avvicina al ruolo di una religiosa o di qualcuno che fa un mestiere maschile, cosa che succede nell’Italia del 1918, in cui per una donna c’era poca scelta, e peraltro non esisteva un’esposizione del corpo come avviene oggi. Detto questo, trovo che nel film sia stato fatto un gran lavoro sui ruoli dei soldati, insegnando agli attori dialetti che oggi non sono più parlati. In alcuni casi credo che gli interpreti abbiano studiato con persone molto anziane, depositarie di lingue oramai scomparse.


Carlo Cerofolini

(conversazione pubblicata su taxidrivers.it)

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