Bella e perduta
di Pietro Marcello
Italia, 2015
genere, documentario
durata, 88'
Negli ultimi anni
il festival di Locarno si è distinto per dare voce alle espressioni più
radicali e innovative del nuovo cinema italiano, diventando, grazie alla
lungimiranza dei vari direttori, una sorta di isola felice per le
libertà del nostro - e non solo - cinema d'autore. Pensiamo a certi
titoli rimasti nella memoria per l'intransigenza dei loro contenuti e,
senza andare troppo indietro, a film come "Sangue"
di Pippo Delbono, e a "Pays Barbare" di Yervant Gianikian e Angela
Ricci Lucchi, capaci di guardare all'Italia e alla sue tradizioni senza
alcun tipo di filtro e di compromesso rispetto alla verità delle cose.
Della stessa radicalità ma con toni decisamente più poetici, si nutre il
film italiano in concorso in questa edizione del festival, perché
"Bella e perduta" del regista e documentarista Pietro Marcello contiene,
all'interno delle sue molteplici stratificazioni, una visione
altrettanto chiara e consapevole della realtà del nostro paese. Marcello
per raccontare l'Italia contemporanea e, in particolare, quella del
territorio che circoscrive la provincia casertana, dove egli è nato,
parte da un personaggio reale, il pastore Tommaso Castrone che decise di
occuparsi della reggia di Carditello nel tentativo di salvarla dal
degrado in cui lo Stato l'ha lasciata; fondendo tale racconto alla
cronaca dei nostri giorni, quella che si riferisce alle problematiche
legate alla cosiddetta Terra dei fuochi, l'autore dà vita a una
sorta di fiaba moderna, in cui il viaggio di Pulcinella e del bufalo
Sarchiapone diventano il modo scelto dal regista per recuperare la
bellezza dimenticata e ancora oggi rintracciabile nel nostro territorio.
Un atto a dir poco eversivo, se pensiamo che Marcello, come di
consuetudine, costruisce la sua storia privandola di quelle convenzioni
narrative più tradizionali, che si identificano nello sviluppo lineare
della trama e nella necessità di protagonisti dalle motivazioni
chiaramente delineate.
Al contrario, il regista casertano non solo si
adopera per privare i caratteri della centralità che normalmente
spetterebbero loro ma, in una sorta di staffetta cinematografica, decide
di spostare continuamente il punto di vista da un personaggio
all'altro, costruendo un coro di voci, di sensazioni e soprattutto di
sguardi che, nel complesso, compiono una vera e propria riscoperta del
paesaggio italiano, deturpato e offeso dalle barbarie degli uomini, e in
questo caso, invece, collocato con tutta la sua bellezza dentro il
cuore del film.
Consegnando
all'intervista realizzata con il regista, il compito di raccontare al
lettore le vicissitudini intercorse durante la lavorazione della
pellicola e del conseguente stravolgimento dell'idea iniziale
dell'opera, quello che preme sottolineare in questa sede è innanzitutto
la continuità che "Bella e Perduta" stabilisce con il resto della
filmografia di Marcello. Perchè a partire dai personaggi della vicenda,
tutti, compreso Pulcinella - condannato al suo ruolo di maschera e di
tramite tra i vivi e i morti - sono ascrivibili a quella schiera di
umiliati e offesi, di cui il cinema del regista si prende la briga di
mostrare nel loro epico eroismo (basti pensare al bufalo Sarchiapone
condannato in anticipo dal solo fatto di non poter fornire alcun
beneficio ai suoi possessori), per continuare con il desiderio di
riscoperta e valorizzazione del territorio (dal casertano la vicenda
arriverà a toccare le pendici della Tuscia) e della sua storia, "Bella e
perduta" è contaminato dai germi di quel cinema poetico e sociale che
Marcello aveva rappresentato attraverso opere come "Il passaggio della
linea" (2007) e "La bocca del lupo" (2009).
E sempre per restare in tema di analogie, come non citare il montaggio
della fedele Sara Fgaier, qui anche in veste di produttrice, per il modo
in cui durante il film valorizza gli echi di quei contrasti tra natura e
civiltà che erano stati al centro dell'opera di quel Artavazd Pelešjan,
il grande regista armeno che Marcello aveva incontrato ne "Il silenzio
di Pelajan", presentato al festival di Venezia del 2011 e poi
letteralmente nascosto agli occhi dello spettatore. Ora, se consideriamo
la colonizzazione culturale compiuta dalla televisione negli ultimi
vent'anni, il film di Pietro Marcello potrebbe apparire come un'opera
fuori dal tempo e a dir poco presuntuosa nella sua evidente diversità.
Se, al contrario, ragioniamo in termini di investimento culturale, e in
questo caso non possiamo non citare l'indispensabilità di Paola Malanga
che dopo "L'infinta fabbrica del Duomo"
ritroviamo in veste di produttrice, allora "Bella e perduta" diventa
qualcosa da conservare con cura e da far vedere al cinema e nelle
scuole, per risvegliare le coscienze e per guarire il nostro modo di
vedere.
(pubblicata su ondacinema.it/speciale 68 festival del film di Locarno)
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