I racconti dell'orso
di Samuele Sestieri,
Olmo Amato
Italia 2015,
genere, drammatico
durata 67’
Negli ultimi anni, da quando la rivoluzione del digitale è
diventata permanente, nel cinema italiano compaiono sempre più spesso anomalie
rappresentate da autori indipendenti in controtendenza con l’andazzo precedente
che, escludendo i lavori di pochi autori come Sorrentino o Garrone, era tutt’altro
che esaltante.
In questo contesto si muovono Samuele Sestieri e Olmo Amato,
che realizzano l’opera forse più estremamente sperimentale di questa
trentatreesima edizione del festival di Torino. L’intenzione, restituita
appieno dalla particolarità delle riprese e del montaggio, è quella di sfidare
chi guarda ad una decodifica che se da un lato potrebbe risultare estremamente
complessa, visto che il mistero ed il non
detto sono gli elementi alla base della narrazione – nella quale una sorta
di monaco robotico insegue una figura umana senza volto ed interamente rossa –
dall’altro invece appare chiaro l’invito a concentrarsi sulla restituzione che
avviene sul piano emozionale.
“I racconti dell’orso”, realizzato tramite una campagna di crowfounding, è un film che nelle
proprie imperfezioni – il finale molto proteso, la durata ambigua (67’ è un
minutaggio al limite tra lungo e medio metraggio) – trova comunque il
proprio punto di forza nell’andare ad agire sull’inconscio di chi guarda e
facendo dimenticare quelle domande che probabilmente non necessitano di risposta.
Antonio Romagnoli
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