sabato, giugno 13, 2009
UN PROPHETE
La scelta di ambientare una storia all’interno del carcere dove il protagonista (Malik) viene rinchiuso, è di per sé significativa ed individua una nuova tendenza del cinema francese, che già l’anno scorso si era imposto all’attenzione del pubblico con un film (La classe) obbligato all’interno di uno spazio circoscritto. Strutture materiali e della mente che obbligano le persone a confrontarsi con le proprie paure attraverso un percorso in cui la riprogrammazione dell’individuo, attuata con i metodi coercitivi della convivenza coatta e della separazione dal mondo esterno, diventa la possibilità di una riscoperta quotidiana, ottenuta con decisioni dolorose (Malik è costretto ad uccidere per salvarsi la vita e diventa il promotore di un escalation di terribile violenza) ed inevitabilmente destinata a ribaltare le posizioni di partenza. Senza rinunciare alle regole del cinema di genere, enfatizzate dalla presenza di un avversario tanto forte quanto mefistofelico (il boss corso Cesar Luciani), vero e proprio Imperatore circondato da una corte di accoliti, e monopolizzate dallo scontro di due personalità opposte ma unite dal bisogno di sopravvivere all’evidenza dei fatti (per Malik un esistenza segnata dalle proprie origini, per Luciani la consapevolezza di un ergastolo improrogabile), Audiard realizza un microcosmo che riproduce su scala ridotta le problematiche di un paese alle prese con i fantasmi di un integrazione realizzata solo a parole e costretta a confrontarsi con la rabbia di chi viene emarginato. Una dimensione parallela e dimenticata che il giovane magrebino porta a galla in maniera paradigmatica nel corso della storia, con l’alienazione delle fasi iniziali, in cui la chiusura è logica reazione alla novità del paesaggio, e poi nel conformismo dei momenti successivi, quello dell’apprendistato mascherato dal più vile servilismo e caratterizzato da un gioco di specchi in cui Malik sperimenta sugli altri le forme del potere che ha subito, per arrivare ad una presa di coscienza che definisce l’individuo e lo propone sulla ribalta con le proprie aspirazioni. Audiard spazza via la società cosiddetta “civile”(nel film la lingua francese è sinonimo di minoranza) per scoperchiare i gangli di un malessere che è connaturato ad un modello di vita darwinista e verso il quale non è possibile proporre ricette (la ratio del film è il frutto di una nevrosi che diventa quasi patologica quando il protagonista accetta i suggerimenti dal fantasma dell’uomo che ha ammazzato o individua nella realtà i segni premonitori dei suoi incubi notturni) o soluzioni. Un materiale in continuo divenire che Audiard riesce a fissare attraverso un linguaggio ridotto all’essenziale, con restringimenti di campo e piccoli sussulti della telecamera che individuano lo stato d’animo di un personaggio, e con dettagli come la scelta di un vestito od il taglio di capelli che danno il senso di un avvenuto cambiamento. Eccellente nella direzione degli attori il regista ci regala due figure che entrano nella testa dalla porta principale e ci rimangono grazie ad una recitazione che privilegia l’impatto emotivo alla fascinazione dell’aspetto, dando vita ad una sfida senza esclusione di colpi che ricorda quella tra Davide e Golia, a patto di sostituire il mito con un overdose di realtà.
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9 commenti:
Volevo segnalare totalmente OT che ho trovato finalmente la giusta ispirazione per aggiungervi alla mia lista personale. Spero ovviamamente di aver visto giusto e di aver fatto cosa gradita...
Sentitamente ringrazio a nome di tutto lo staff, anche perchè se aspettiamo la supermegaDIRETTORA (sempre la faccia mia sotto i piedi vostri, signora)sempre piena di impegni di altissima caratura, rischiamo di estinguerci:-))
Ciao Martin,
spero che sia il viatico per altrettante letture e chiaccherate cinematografiche
mah... io semplicemente penso che vi state prendendo un po' troppo sul serio e sorrido. ciao Martin, benvenuto tra di noi e buon cinema a tutti!
«Tra le massime scolpite sul muro del signore Naoshiga ce n’era una che diceva: “le questioni di maggiore gravità vanno trattate con leggerezza“. Il maestro Ittai commentò: “le questioni di minore gravità vanno trattate seriamente“».
Da uno dei miei film preferiti, mi si perodoni l'irriverenza ;)
Gran bel film. Magnifica la commistione delle lingue. Peccato solo per quel titolo e per l'elemento soprannaturale, che con la concretezza di tutto il resto c'entra assai poco. Ciao!
L'elemento soprannaturale è presente in maniera similare in "Looking for Eric"di Ken Loach di solito lontano da certi artifici: è forse il segno di una realtà altrimenti indecifrabile? delle difficoltà dei tempi?...inoltre anche il fatto di obbligare le storie all'interno di uno spazio (pre)dertermiato è un operazione simile a quella operata da LVT in Antichrist...una scelta che è anche un metodo di conoscenza...un filtro per far venire a galla dinamiche che altrimenti si confonderebbero con la totalità del flusso informativo presente nel mondo esterno.Che ne pensi?
Quella di circoscrivere l'azione (nello spazio, ma anche nel tempo, o a pochi personaggi) è una trovata che di solito in un film mi piace. Non credo che sia però una tendenza recente, penso che se ne possano trovare molti esempi anche in passato. L'inserimento di elementi soprannaturali, invece, non mi va tanto giù quando non ne riesco a cogliere la necessità. Ma è un discorso lungo, e andrebbe valutato caso per caso... Ciao!
Certo può trattarsi di una semplice coincidenza ma attraverso quell'affermazione volevo enfatizzare un processo di conoscenza che tende a concentrare la realtà all'interno di uno spazio (pre) determinato che di per sè costituisce il primo gradino di un processo che cerca di ordinare il CAOS del mondo esterno.... D'altra parte anche Von Trier ha fatto lo stesso stratagemma in Antichrist...forse la tendenza appartiene ai selezionatori cannensi...
un saluto
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