sabato, maggio 29, 2021

THE FATHER - NULLA E' COME SEMBRA

The Father – Nulla è come sembra

di Florian Zeller

con Anthony Hopkins, Olivia Colman, Mark Gatiss

Francia, Regno Unito, 2020

genere: drammatico

durata: 97’

Strepitoso Anthony Hopkins basterebbe come frase per riassumere “The Father – Nulla è come sembra”, film di Florian Zeller vincitore di due premi Oscar, uno per la miglior sceneggiatura non originale e uno, appunto, per miglior attore protagonista.

Una statuetta che va ad aggiungersi a un’altra già in possesso dell’attore gallese che, con questa, entra ancora di più nella storia, sia dell’Academy che della settima arte, diventando, al momento il più anziano premiato.

Ma “The Father” non è solo Anthony Hopkins. È anche una storia toccante, vera e autentica che trasporta lo spettatore a metà strada tra la realtà e la “finzione”, non tanto quella del cinema stesso, quanto quella della malattia che il protagonista della vicenda ha.

Anthony (Hopkins) è un uomo anziano e malato di alzheimer, per il quale la figlia sta cercando una soluzione che possa mettere d’accordo le esigenze di tutti.

All’inizio siamo catapultati davanti a personaggi e dinamiche che diamo per scontate, o meglio che crediamo siano reali perché così ci vengono presentate. Presto. Però, con l’avanzare della narrazione, scopriamo che, come il sottotitolo italiano ci aveva anticipato, nulla è come sembra e che tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento non è la realtà, ma è solo “un punto di vista”. Così come lo è anche il successivo, e quello ancora dopo. Alla fine ciò che emerge è che non esiste una verità del tutto oggettiva. Si può solo ricomporla, prendendo elementi da una visione e dall’altra. E ciò che ci permette di poter fare un’affermazione del genere è un utilizzo incredibile del montaggio che mescola in maniera perfetta momenti, stati d’animo e sensazioni dei vari personaggi che ruotano intorno alla figura del protagonista.

I volti, i movimenti, le parole si mescolano tra i vari interlocutori e, soprattutto inizialmente, mettono in difficoltà anche lo spettatore stesso che si ritrova a interrogarsi continuamente su chi sia veramente un determinato personaggio piuttosto che un altro.

A fare da cornice ad un film, quindi, scritto, girato e montato in maniera quasi completamente impeccabile c’è un cast di tutto rispetto. Dal protagonista Anthony Hopkins, citato inizialmente, impeccabile che, con questo personaggio, porta sullo schermo probabilmente l’interpretazione della vita, alla sua coprotagonista Olivia Colman, vincitrice dell’Oscar due anni fa per il suo ruolo ne “La Favorita”. Un Hopkins che, mai davvero del tutto vincolato alla figura di Hannibal Lecter, che, però, lo ha reso celebre al mondo intero, ha dato vita a una figura umana a 360°. Le continue interruzioni delle frasi, l’incertezza di ogni parola e ogni singolo gesto fanno percepire tutta la sua sofferenza. Una sofferenza che non si può descrivere a parole. Una sofferenza personale e unica che il film prova a spiegarci facendoci, in qualche modo, entrare nella mente dell’uomo. Straziante e commovente, “The Father” è un’opera che fa della sua semplicità da più punti di vista la sua forza. Pochi personaggi che si alternano ciclicamente e che, seppur con pochi tratti, sono ben caratterizzati. Ma anche pochi spazi. Il film, infatti, si sviluppa quasi esclusivamente all’interno di una casa, salvo rare eccezioni. E, oltre ad essere utile ai fini della narrazione, è anche un elemento apparentemente semplice, ma che conferisce complessità all’intero prodotto.

Chicca finale la musica di Ludovico Einaudi. Semplicemente perfetta.


Veronica Ranocchi

giovedì, maggio 27, 2021

UN ALTRO GIRO

Un altro giro (Druk)

di Thomas Vinterberg

con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Millang

Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, 2020

genere: drammatico

durata: 117’

Dopo una distribuzione più complessa del previsto, a causa della pandemia, “Un altro giro”, invece che essere presentato in anteprima al festival di Cannes 2020, ha dovuto attendere e spostarsi geograficamente al Toronto International Film Festival a livello internazionale e, in Italia, al Festival di Roma.

Vincitore del premio Oscar come miglior film internazionale, in rappresentanza della Danimarca, il film diretto da Thomas Vinterberg ha come protagonista Mads Mikkelsen, nel ruolo di un insegnante in un momento particolare della propria vita.

Martin, Tommy, Nikolaj e Peter sono quattro amici, tutti e quattro insegnanti in quattro materie diverse che sembrano non trarre soddisfazione dalla propria vita, né lavorativa né personale. Martin soprattutto, del quale lo spettatore ha una condivisione maggiore, è quello che ha più difficoltà perché non riesce a relazionarsi con i propri studenti, ai quali insegna storia, né con la propria moglie e i due figli.

Per divertimento, durante una cena, i quattro discutono a proposito della teoria di uno psichiatra che sostiene che l’uomo nasca con un deficit da alcol pari allo 0,05% e che questo lo renda meno attivo sotto tutti i punti di vista. Il giorno dopo Martin decide di provare a mettere in pratica la teoria e comincia a bere piccole quantità di alcol a lavoro, vedendo e raccogliendo subito i frutti sperati: maggiore autostima e migliori interazioni con gli studenti e i colleghi. Presi dall’entusiasmo e considerati i risultati positivi dell’amico, anche gli altri tre decidono tutti di alzare il tiro che porta inevitabilmente a conseguenze catastrofiche.

Così descritto potrebbe sembrare un film sull’alcol, sull’alcolismo e sugli effetti di questo. O comunque un film che pone al centro di tutto questo tema. In realtà non è così: l’alcol è solo uno “strumento” per scavare nella vita di Martin e dei suoi amici e nelle relazioni umane e interpersonali dei quattro. L’insoddisfazione dei quattro protagonisti è reale e comune. Non è una cosa che caratterizza solo loro. Quello che Vinterberg porta in superficie è un problema più comune di quanto possa sembrare. E sono tanti i temi che derivano dall’atteggiamento dei quattro uomini: dalla perdita di fiducia in sé stessi e negli altri, alla convinzione di non essere o di non fare mai abbastanza.

Con la vicinanza e la prossimità di una regia attenta a cogliere ogni sfumatura dei personaggi attraverso numerosi primi piani, Vinterberg pone l’accento sull’essere umano, in quanto essere imperfetto. I numerosi silenzi e il ricorso allo scritto in alcuni momenti sono indicativi della storia che il regista danese ha voluto portare sullo schermo. E a fare da cornice a una storia intensa come quella di “Un altro giro”, ci sono anche delle interpretazioni degne di nota. Dal protagonista Mikkelsen, sempre nella parte e mai sopra le righe, agli altri tre attori che non si limitano a essere un contorno, ma vengono ben descritti attraverso tratti essenziali che li contestualizzano. Da menzionare anche la scelta delle materie assegnate loro che si confà più che bene allo stile di vita: una scrittura attenta e precisa. E una scrittura che chiude tutto in un modo quasi catartico.


Veronica Ranocchi

lunedì, maggio 10, 2021

MINARI

Minari

di Lee Isaac Chung

con Steven Yeun, Han Ye-ri, Yoon Yeo-jeong

USA, 2020

genere: drammatico

durata: 115'

Una descrizione davvero accurata di quello che è il sogno americano. E di quello che è per la famiglia Yi, dove il padre Jacob cerca, in qualche modo, di realizzarsi e apparire diverso agli occhi della famiglia.

Tutto inizia, infatti, con la decisione dello stesso Jacob, marito di Monica e padre della piccola, ma già grande, Anne e di David, di portare l’intera famiglia sudcoreana in Arkansas. Già residente in America, la famiglia Yi si sposta da un luogo all’altro per fare fortuna e nella speranza che Jacob possa realizzarsi.

Ma non tutto sembra andare secondo i piani e né l’orto né la fattoria che il padre di famiglia sogna di avere riescono a realizzarsi a causa della mancanza di acqua. Per evitare l’ennesima lite con la moglie e una sempre più incombente separazione dell’intero nucleo familiare, l’uomo concede alla consorte di far andare a vivere con loro la madre Soon-ja. Questa, fin da subito, sembra diversa dalla classica figura della nonna che tutti immaginiamo e anche il piccolo David, che non l’aveva mai conosciuta, ne rimane colpito, inizialmente in negativo, additandola quasi come un’estranea, sottolineando anche, in un frangente, quanto questa “puzzi di Corea”. Dopo i primi battibecchi iniziali i due però iniziano in qualche modo a legare e creare un legame, che si evolverà in modo inaspettato.

A conquistare è sicuramente il piccolo e tenero David che, per tutta una serie di motivi, diventa immediatamente il fulcro della storia. Il suo modo di vedere il mondo, oltre ad essere quello di un bambino e quindi caratterizzato in primo luogo dall’innocenza e l’ingenuità, è anche legato alla sua malattia (una sorta di malformazione cardiaca) che lo porta a prestare maggiore attenzione a qualsiasi cosa. A fare da contraltare a David c’è la nonna. Una figura anomala e fuori dal comune che inizialmente anche il pubblico trova difficile comprendere e giustificare. Anzi il porsi in contrapposizione rispetto alla genuinità del piccolo di casa “oscura” quasi il suo personaggio. Col tempo, però, lei comincia a cambiare, o almeno ci prova, e anche lo spettatore inizia ad entrare in sintonia con lei. 

Il rapporto tra i due è la vera base di Minari. Un film che oltre alla realizzazione e alla ricerca di uno scopo nella vita fa riflettere anche sui rapporti interpersonali. 

Ed ecco che il sogno americano e la ricerca del successo diventano secondari. Ce lo fa capire Monica che lo ricorda più volte al marito, il quale preferisce scegliere, almeno in apparenza, la prospettiva di una vita agiata e dignitosa piuttosto che il benessere della famiglia. Ma non è totalmente da colpevolizzare la sua decisione. All’interno del suo obiettivo c’è anche e soprattutto la salvaguardia della famiglia e del suo rapporto con i vari membri.

Allo stesso modo lo sfaccettato personaggio della nonna, interpretato più che magistralmente da Yoon Yeo-jeong, vincitrice dell’Oscar come miglior attrice non protagonista, rappresenta la vera svolta. 

La donna è colei che in qualche modo rompe gli equilibri della casa, cerca di imporre una sua visione del mondo, ma comprende anche che talvolta deve essere lei stessa a “cambiare” per il bene di chi le sta intorno.

Da brividi la scena in cui si addormenta abbracciata al piccolo David come a proteggerlo da tutto e da tutti, dal male del mondo e dalla cattiveria. E, senza spoiler, la corsa di David è il vero raggiungimento del sogno americano. O meglio del sogno di chiunque. 

Menzione, oltre che alle interpretazioni, sempre credibili e mai esagerate, alla colonna sonora e alla fotografia aiutata dalle immense distese di verde nelle quali la famiglia è immersa.


Veronica Ranocchi

martedì, maggio 04, 2021

Le notti bianche del cinema

 

ALICE NELLA CITTÀ INSIEME AD ANEC, ANICA, U.N.I.T.A.
PREMI DAVID DI DONATELLO E 100 AUTORI
ANNUNCIANO
LE NOTTI BIANCHE DEL CINEMA
48 ORE DI PROIEZIONI NON-STOP, ANTEPRIME, INCONTRI ED EVENTI SPECIALI PER UN
GRANDE EVENTO DI MEZZA ESTATE
DA MILANO A PALERMO, DA TORINO A ROMA, DA BOLOGNA A  BARI
CON LA PARTECIPAZIONE DI
ESERCENTI, DISTRIBUTORI, REGISTI, ARTISTI E SCENEGGIATORI, GIORNALISTI, CRITICI E
CURATORI DI FESTIVAL TUTTI UNITI PER LA RIPARTENZA

 #soloalcinema



Alice nella città
si fa promotrice, insieme alle associazioni di categoria Anica e Anec, agli artisti di U.N.I.T.A., ai 100autori e alla Fondazione Accademia del Cinema Italiano - Premi David di Donatello, di un evento che rappresenterà un momento fondamentale nel nuovo piano nazionale di riapertura delle sale cinematografiche #soloalcinema: le Notti Bianche del Cinema. Un grande appuntamento culturale, pensato per essere replicato durante l’anno e per trasferire al pubblico la magia e l’atmosfera unica della sala.

Si tratta di una vera e propria “festa” di mezza estate che da Milano a Palermo, da Torino a Roma, da Bologna a Napoli da Livorno a Bari , animerà le sale italiane con una 48 ore di proiezioni non-stop per recuperare il tempo perso con una programmazione composta da  anteprime, incontri, omaggi  ed eventi speciali, con un unico biglietto agevolato e che coinvolgerà tutte le professionalità del settore: esercenti, distributori, registi, artisti, sceneggiatori, giornalisti, critici e curatori di festival uniti per la ripartenza.


I cinema di tutte le città coinvolte saranno parte integrante di un programma condiviso e connesso. Il concept delle notti bianche prevederà: 48 ore di cinema no-stop; un biglietto d’ingresso unico agevolato; un pass/accredito da acquistare per accedere a tutte le sale delle Notti Bianche e costruirsi un percorso dedicato; un’unica campagna di comunicazione nazionale che raccoglierà il programma con di tutti gli eventi.

Esercenti, associazioni, scuole di cinema, cineteche e festival contribuiranno a far vivere, diffondere e amplificare non solo le nuove uscite, ma con forme inedite, anche eventi e proiezioni speciali organizzati e promossi direttamente sul territorio e in linea con l'identità di ciascuna realtà locale.

Tra questi una serie di incontri e presentazioni ideate e organizzate in collaborazione con i 100 autori nelle diverse città e che ha tra i primi confermati Giorgio Diritti, Susanna Nicchiarelli, Edoardo De Angelis, Francesco Bruni, Davide Ferrario, Gianfranco Cabiddu, Stefano Rulli e Sandro Petraglia.


Il programma completo di Notti Bianche del Cinema e la campagna #soloalcinema verranno presentati nel corso di una conferenza stampa prevista il prossimo 25 maggio.

L'apparenza delle cose

L'apparenza delle cose

di  Shari Springer Bergman e Robert Pulcini

con Amanda Seyfried, James Norton

USA 2021

genere, thriller, orrore

durata, 121


Ad attirarci de L’apparenza delle cose era stata innanzitutto la presenza in cabina di regia della coppia formata da Shari Springer Bergman e Robert Pulcini, già autori di quell’ American Splendor che, prendendo in parola anticonformismo del suo protagonista, il fumettista Harvey Pekar, erano riusciti a realizzare  un biopic fuori dagli schemi

Diventati registi di genere e di consumo, Bergman e Pulcini tentano di fare la cosa più difficile, e cioè di conferire uno sguardo personale a una storia di fantasmi che punta a conquistare il grande pubblico attraverso la capillare distribuzione del mecenate Netflix.Forti di un’interprete brava e popolare come Amanda Seyfried, appena riscoperta e nominata con Mank, i registi si avvicinano al genere assecondandone canoni e dinamiche, lavorando a un sottotesto che ripropone schemi e situazioni di prevaricazione maschile (#METOO docet) in cui violenze e vessazioni hanno poco di metafisico e riguardano più che altro la realtà dei fatti.


Pulcini e Bergman sono bravi a lavorare sulle suggestioni e sulle psicologie dei personaggi, dipanandone con coerenza i rispettivi rimossi; lo sono meno quando si tratta di tirare le fila del discorso e quindi nel momento in cui sono narrazione e drammaturgia e non i personaggi a costruire la catarsi finale che ne L’apparenza delle cose non è all’altezza delle premesse.

Carlo Cerofolini

sabato, maggio 01, 2021

TENEBRE E OSSA

Tenebre e ossa

di Lee Toland Krieger

con Ben Barnes, Jessie Mei Li, Archie Renaux

USA, 2021

genere: fantasy

stagione: 1; episodi 8

durata: 45-58 minuti

Enorme successo per la serie Netflix “Tenebre e ossa” (Shadow and bone, nel titolo originale) nata dalle pagine della scrittrice fantasy statunitense Leigh Bardugo. Questa ha creato un universo, denominato Grishaverse, dove si incontrano e si mescolano vari personaggi. Il tutto è ambientato in una terra che sembra richiamare un’ipotetica Russia.

La serie, in otto episodi da 50 minuti ciascuno, ha fin da subito monopolizzato le classifiche della piattaforma, data anche la lunga attesa e il grande interesse nutrito per una storia che ha appassionato e incollato alle pagine dei libri tantissimi fan.

Tutto inizia con Alina Starkow, una giovane orfana, che fa la cartografa: disegna cioè delle mappe del paese e dei territori circostanti, molti dei quali visitabili solo grazie a queste specifiche mappe.

La giovane, fin dall’infanzia cresciuta con l’amico Mal, adesso un tracciatore, non intende separarsi da lui, soprattutto quando questi è scelto per essere uno di coloro che dovranno attraversare la temibile “Faglia”, una specie di grande barricata di magia nera che separa i territori. Grazie alla sua astuzia riesce a partire insieme a Mal, ma durante il viaggio sono attaccati e Alina, per salvare l’amico, sprigiona un potere leggendario che nemmeno lei sapeva di possedere. Per questo viene etichettata come “Grisha”, cioè colei che ha poteri magici e viene allontanata da Mal. Questa separazione porterà i due a cercare di ricongiungersi, nonostante vari personaggi e varie insidie che si frapporranno tra loro. Accanto ad Alina comparirà il Generale Kirigan, un’oscura e ammaliatrice personalità con il solo scopo di arricchire il proprio potere.

Parallelamente alle vicende di Alina e Mal ci sono anche quelle dei cosiddetti Corvi: il leader Kaz, la spia Inej e l’abilissimo pistolero Jesper. I tre, intenzionati ad arricchirsi, si mettono sulle tracce di Alina, ma saranno continuamente frenati e ostacolati.

La terza “storia” a fare da contorno alle altre è quella della grisha Nina al servizio del generale, ma improvvisamente rapita, e del cacciatore di streghe Matthias che partecipa al rapimento della donna.

Una storia dove la magia è la vera protagonista. Avventure e personaggi complessi, da sviscerare nel corso degli episodi (e perché no, anche delle stagioni), che ammaliano e tengono lo spettatore incollato allo schermo. Situazioni non troppo ovvie e scontate, seppur con tutti gli stereotipi e i cliché del genere con ampio potenziale anche nell’ottica di un’ipotetica seconda stagione. Chiaramente chi ha letto i libri sa già come si svilupperà la storia. Molti sono rimasti entusiasti della trasposizione fedele dei romanzi, seppur con alcuni elementi magari rimasti troppo in superficie e non approfonditi come necessario. Ma per chi non li ha letti “Tenebre e ossa” risulta una serie dal grande potenziale, in grado di intrattenere e non solo.

Di norma nelle serie tv ci sono sempre dei personaggi preferiti, sia per la scrittura che per l’interpretazione dell’attore o dell’attrice in questione, così come storyline predilette rispetto ad altre. Ecco, non è questo il caso della prima stagione di “Tenebre e ossa” che mescola un cast di attori molto giovani e ancora non conosciuti dal grande pubblico che regalano delle ottime interpretazioni e fanno trasparire una grande armonia. L’attore più noto dell’intero cast è il sempre giovane Ben Barnes, nel ruolo tutt’altro che semplice del generale Kirigan. Conferire le sfumature caratteriali di un personaggio così intrinsecamente complesso è un lavoro che necessita molta attenzione. Per questo aveva bisogno di un volto già più affermato. E lo charme di Barnes dà vita ad un risultato praticamente perfetto.

Non resta, quindi, che aspettare e sperare che la serie venga rinnovata per una seconda stagione e che essa sia appassionante almeno quanto la prima.


Veronica Ranocchi