domenica, gennaio 14, 2024

PERFECT DAYS

Perfect days

di Wim Wenders

con Kōji Yakusho, Tokio Emoto

Giappone, Germania, 2023

genere: drammatico

durata: 123’

Tutti abbiamo un giorno preferito. Un momento della giornata, della settimana, del mese che prediligiamo e che riteniamo, almeno ai nostri occhi, “perfetto”. Ecco, per Hirayama questo accade ogni giorno.

Infatti i “Perfect Days”, presentati da Wim Wenders, prima a Cannes e poi nelle sale italiane non altro che lo scovare la novità e l’entusiasmo anche nella più classica e monotona routine.

“Perfect days” avrebbe potuto essere un documentario, ma la scelta di renderlo un film di finzione incredibilmente vero e vicino alla realtà di chiunque conferisce al titolo un grande merito: quello di aver reso straordinario anche il più semplice, quotidiano e umile gesto.

“Quanto vorrei che tutto restasse com’è” è quello che dice la ristoratrice di uno dei luoghi abitualmente frequentati da Hirayama al termine del suo lavoro. Ed è anche quello che il protagonista sembra voler perseguire ogni giorno ripetendo incessantemente le stesse cose. Ma si tratta di una routine che non è fine a sé stessa, anzi. Hirayama è consapevole di ripetere continuamente le stesse azioni, ma sa anche che questa apparente monotonia non potrà durare per sempre perché tutto è destinato a cambiare.

E ne sono una chiara dimostrazione gli “imprevisti” che gli accadono nonostante il ripetersi di gesti e azioni. Dal collega strampalato alla nipote, passando addirittura per una strana e originale comunicazione con qualche sconosciuto, probabilmente silenzioso come lui. Perché se c’è un elemento che caratterizza il protagonista (e il film) è proprio il silenzio. Sono poche le parole che pronuncia e mai superflue. È come se fosse stato estrapolato da un’altra epoca e si fosse ritrovato a vivere nella Tokyo del 2023 con le abitudini che, però, hanno caratterizzato probabilmente la sua giovinezza e la sua infanzia.

Ogni mattina si alza presto, ripiega minuziosamente il proprio letto, si prende cura delle proprie piante, esce di casa, prende un caffè e sale sul suo furgoncino pronto per una nuova giornata di lavoro, non prima di aver scelto accuratamente la giusta musicassetta da ascoltare durante il tragitto. E poi passa in rassegna tutti i bagni pubblici di Tokyo per pulirli, come la scritta sulla sua tuta “The Tokyo Toilet” aveva anticipato all’inizio del film.

Una routine che, seppur in silenzio da solo, non è sinonimo di solitudine, ma anzi dimostra proprio il contrario. “Perfect days” invita a guardare il mondo da un’altra prospettiva, accogliendo la novità, qualunque essa sia, sempre nel migliore dei modi, considerandola come qualcosa che può solo migliorare la situazione attuale. E infatti Hirayama accoglie le piccole novità che la sua routine gli presenta involontariamente in maniera positiva. Dall’arrivo della nipote che, rompendo gli schemi e gli equilibri, gli impone non soltanto un dialogo, ma anche una riflessione sulla vita e dei consigli al banale tris che trova scritto in un foglio solo apparentemente dimenticato in uno dei tanti bagni.

Un elemento su tutti, però, in grado di distogliere l’attenzione dello spettatore e dello stesso Hirayama da quella che può sembrare una continua monotonia è la fotografia. Perché nella vita di quel lavoratore silenzioso non ci sono solo le piante di cui si prende cura e la lettura ogni sera di un volume diverso. C’è anche l’osservare la realtà che lo circonda, anche quella più silenziosa, come le fronde degli alberi e le foglie che si muovono al vento e che nascondo a tratti la luce del sole. Quelle foglie che lui ama osservare e immortalare perché emblema perfetto della sua vita terrena. E non è un caso che l’immagine si blocchi proprio nell’istante dello scatto, come un monito, come a ricordare il valore di un momento, di un giorno davvero perfetto. 


Veronica Ranocchi

mercoledì, gennaio 10, 2024

IL RAGAZZO E L'AIRONE

Il ragazzo e l’airone

di Hayao Miyazaki

Giappone, 2023

genere: animazione, fantastico

durata: 124’

Una favola. L’ennesima favola di Hayao Miyazaki.

Anche a 83 anni il regista giapponese, fondatore dello studio Ghibli, continua a impressionare e affascinare il suo pubblico. Stavolta con una storia semplice e complessa al tempo stesso.

Nella Tokyo del 1943 assistiamo, attraverso immagini e richiami alla Guerra del Pacifico. In quel periodo il dodicenne Mahito Maki perde la madre durante l’incendio di un ospedale. L’anno successivo il padre del ragazzo si risposa con Natsuko e si trasferisce in campagna, nella tenuta della donna anche per allontanarsi dalla guerra. Qui Mahito fa fatica ad ambientarsi e soffre per questo nuovo legame tra il padre e la donna, in dolce attesa. Tutto cambia quando, un giorno, decide di inseguire un misterioso airone che lo porta vicino alle rovine di una torre abbandonata che, in seguito ad altre vicissitudini, lo farà entrare in contatto con un mondo e con persone in grado di aiutarlo a guardare la realtà da un’altra prospettiva.

Cercare di spiegare il film di Miyazaki non è semplice, senza contare che troppe informazioni andrebbero a intaccare la poesia (visiva e non) del maestro dell’animazione giapponese che ognuno, invece, dovrebbe leggere e interpretare come meglio crede.

Se da una parte le simbologie e le metafore sono, ancora una volta, la base dalla quale partire, dall’altra parte “Il ragazzo e l’airone” si può definire come il titolo forse più autobiografico in assoluto tra quelli realizzati nel corso degli anni da uno dei fondatori dello Studio Ghibli.

La guerra, che anche l’autore ha vissuto, è il perno attorno al quale ruota la vicenda. Una guerra che Miyazaki mostra, cercando di nasconderla, o meglio di trasformarla e riadattarla in chiave più magica. E poi la possibilità di fuggire, ma non soltanto fisicamente, anche metaforicamente, per rifugiarsi in un luogo che, anche se irreale, è l’unico in grado di accogliere chiunque senza chiedere niente in cambio, senza incutere terrore e senza che paura, distruzione e morte possano avvicinarsi.

Accompagnato dall’airone cenerino, per i giapponesi simbolo portafortuna e di longevità, Mahito affronterà un viaggio ben più grande di lui e delle sue aspettative.

Una mescolanza di colori, personaggi e sfumature che si intersecano tra loro così come si intrecciano mondo reale e mondo fantastico.

C’è un solo elemento a unire i due mondi e Mahito, come il più classico degli eroi, è l’unico a poterlo attraversare superando ostacoli che lo forgeranno e lo aiuteranno a capire sé stesso e ciò che lo circonda. Con l’energia e la tenacia che lo caratterizzano, il giovane dimostra di essere all’altezza del ruolo di rappresentante perfetto all’interno sia di un mondo terreno che di un mondo ultraterreno. Perché di mondo ultraterreno si parla quando, insieme a lui, anche lo spettatore si immerge in una realtà altra, anche rispetto al film stesso già di per sé magico. Un mondo che ha richiami più o meno evidenti con vari elementi. Uno su tutti il parallelismo con la “Divina Commedia”. Da Kiriko nei panni di un Virgilio con il compito di proteggere e soprattutto guidare Mahito al culmine del suo viaggio, al Re Parrocchetto che, invece, sembra avere le sembianze di Caronte, traghettatore di vere e proprie anime alla ricerca del proprio posto nel mondo.

Ma sono anche tante altre le chiavi di lettura di un film che viaggia su piani diversi e presenta tanti richiami e tanti modi di vedere una stessa cosa.

“E voi come vivrete?” è il titolo del libro che Mahito ritrova improvvisamente e che forse era appartenuto alla madre che avrebbe voluto mostrarlo al figlio da grande, ma è anche una domanda che lo stesso Miyazaki sembra fare al suo pubblico e a sé stesso. Una domanda tutt’altro che semplice come tutt’altro che semplice è l’opera del maestro giapponese che realizza un film nel quale non esiste e non può esistere una visione univoca. E lui, oltre che inserire richiami, più o meno espliciti, alle sue opere passate, ricalcando, ma allo stesso tempo anche ampliando, alcune tematiche, arriva addirittura a inserirsi all’interno del racconto, come un perfetto deus ex machina che muove i fili della storia e della vita.

“E voi come vivrete?” sembra, perciò, quasi un monito. Una volta vista questa opera, siamo in grado di mettere insieme i pezzi per creare il migliore dei mondi possibili? Lui i pezzi, nel corso della sua vita e del suo cinema, li ha sicuramente messi insieme alla perfezione. Mancava solo un Golden Globe che, preciso e puntuale, come il volo di un airone, si è posato alla sua finestra.


Veronica Ranocchi

martedì, gennaio 09, 2024

LE CLASSIFICHE DE I CINEMANIACI 2023

 Le classifiche de I cinemaniaci 2023

Carlo Cerofolini


1.         Decision to Leave (Park Chan-wook)

2.         Pacifiction - Un mondo sommerso (Albert Serra)

3.         Il maestro giardiniere (Paul Schrader)

4.         Aftersun (Charlotte Wells)

5.         Gigi la legge (Alessandro Comodin)

6.         Animali selvatici (Cristian Mungiu)

7.         L’ultima notte di Amore (Andrea Di Stefano)

8.         La chimera (Alice Rohrwacher)

9.         Reptile (Grant Singer)

10.       Disco Boy (Giacomo Abbruzzese)


-Miglior regia: Park Chan-wook ("Decision to Leave")

-Miglior attore: Benicio Del Toro ("Reptile")

-Miglior attrice: Paola Cortellesi ("C'è ancora domani")

-Miglior sceneggiatura: Paul Schrader ("Il maestro giardiniere")

-Miglior fotografia: Artur Tort ("Pacifiction")

-Miglior montaggio: Jennifer Lame ("Oppenheimer")

-Miglior colonna sonora: Vitalic ("Disco Boy")

-Rivelazione dell'anno: Cailee Spaeny ("Priscilla")

-Miglior opera prima: "Aftersun" di Charlotte Wells


Veronica Ranocchi



1.         Aftersun (Charlotte Wells)

2.         Gli spiriti dell'isola (Martin McDonagh)

3.         Rapito (Marco Bellocchio)

4.         Babylon (Damien Chazelle)

5.         As Bestas (Rodrigo Sorogoyen)

6.         Mixed by Erry (Sydney Sibilia)

7.         La chimera (Alice Rohrwacher)

8.         Decision to Leave (Park Chan-wook)

9.         Oppenheimer (Christopher Nolan)

10.       L’ultima notte di Amore (Andrea Di Stefano)


-Miglior regia: Park Chan-wook ("Decision to Leave")

-Miglior attore: Cillian Murphy ("Oppenheimer")

-Miglior attrice: Sandra Huller ("Anatomia di una caduta")

-Miglior sceneggiatura: Martin McDonagh ("Gli spiriti dell'isola")

-Miglior fotografia: Paolo Carnera ("Io capitano")

-Miglior montaggio: Blair McClendon ("Aftersun")

-Miglior colonna sonora: Justin Hurwitz ("Babylon")

-Rivelazione dell'anno: Frankie Corio ("Aftersun")

-Miglior opera prima: "Aftersun" di Charlotte Wells/"C'è ancora domani" di Paola Cortellesi