Never
rarely sometimes always
di
Eliza Hittman
con
Sidney Flanigan, Talia Ryder, Théodore Pellerin
USA,
UK, 2020
genere:
drammatico
durata:
101’
Un
film che, fin dal titolo, lascia trasparire l’intento di smuovere emozioni continue
e, talvolta contrastanti, nello spettatore. Questo è quello che si può
immediatamente dire di “Never rarely sometimes always” di Eliza Hittman che
confeziona un film davvero intenso, seppur nella sua apparentemente semplice
costruzione e struttura.
La
storia non è una storia inedita nel mondo del cinema, anzi si tratta di un
argomento già trattato, più e più volte in vari modi e sotto svariati punti di
vista. Autumn è una giovane diciassettenne della Pennsylvania che sembra avere
la vita di una normale adolescente e ragazza della sua età, fatta eccezione per
una gravidanza improvvisa e assolutamente non prevista. Grazie all’aiuto della
cugina, praticamente coetanea, Skylar, cercherà di trovare una soluzione a
questa sua nuova ed inaspettata situazione. Senza dire niente ai genitori e in
un silenzio che spesso sembra varcare la soglia del mutismo, soprattutto in
determinate circostanze e di fronte a determinate persone, la giovane
protagonista deve prendere una difficile decisione.
Un
silenzio, spesso assordante, è quello che segue l’intera vicenda di Autumn,
accompagnandola e sostenendola in un viaggio più che formativo. Non si ha mai
la sensazione di essere di troppo, ma di essere sempre al fianco della giovane
e di supportarla nelle varie vicende che si ritrova costretta a vivere.
Le
emozioni sono autentiche, mai forzate, a sottolineare una veridicità e un modo
di approcciarsi ad una vicenda del genere diverso rispetto a quanto fatto da
altri autori passati. Nonostante lo spettatore sia a conoscenza di tutto ed
entri nell’intimo della ragazza, viene comunque sempre mantenuto un certo
pudore, una certa distanza e una certa riservatezza. Trattare un tema così
delicato non è mai semplice, ma la Hittman sembra riuscirci. Guardando questo
film si ha la sensazione che la regista si sia messa nei panni della giovane
grazie al modo attraverso il quale racconta una storia del genere, senza
nessuna sbavatura, senza ricorrere al banale o al patetico.
Emblematica,
sia perché dà il titolo alla storia sia perché rappresenta forse il punto più
alto (o più basso) toccato dalla giovane Autumn, ma anche dal film stesso, è la
scena della visita e delle domande da parte della dottoressa che deve
sincerarsi delle condizioni della paziente e capire qualcosa di più della vita
passata di quest’ultima. Le domande, alle quali la protagonista può rispondere
solamente scegliendo una delle quattro opzioni fornite (never, rarely,
sometimes, always che tradotti significano mai, raramente, qualche volta,
sempre) iniziano quasi in maniera generica per poi scendere nel particolare e
nel personale, andando a cercare di violare una giovane vita già più che
provata da una gravidanza inaspettata. L’abilità in questa scena sta, oltre che
nell’intensa interpretazione dell’attrice, Sidney Flanigan, nell’immobilità
della macchina da presa che solo inizialmente ci mostra la dottoressa, ma che
poi si stabilizza su Autumn e non la lascia più andare, insistendo sulle
emozioni e sulle sensazioni che domande del genere suscitano in lei.
Un’esagerazione e un’esasperazione che, però, si possono vedere come una
carezza, un tendere la mano alla ragazza che, in un momento di difficoltà, ha
solo bisogno di aiuto. Un aiuto che non ha trovato invece in chi la circonda,
nelle persone che dovrebbero starle vicino, nella società che non mette mai,
nemmeno per un istante, in dubbio niente (il capo che le impedisce di finire il
turno un paio d’ore prima ne è la chiara dimostrazione). Autumn è
apparentemente sola e da sola deve combattere e cadere. Cadere, ma soprattutto
rialzarsi.
Intensità
ed emotività al massimo, grazie alla storia, al modo di raccontarla e
all’ottimo esordio delle due giovani protagoniste che, con un solo sguardo,
riescono a far trasparire la vera essenza di ogni cosa.
Veronica Ranocchi