L'ERA GLACIALE 3 è una sorta di JURASSIK PARK infarcito di buoni sentimenti e ovviamente di citazioni di altri film fantasy.
I progressi della casa di animazione Blue Sky, che produce il film, sono quasi impercettibili e riguardano esclusivamente l'espressione dei personaggi.
La terza avventura dei nostri eroi è come sempre divertente, anche se questa volta siamo leggermente al di sotto dello standard a cui eravamo abituati.
Il film è come al solito ben confezionato, i dialoghi sono brillanti, ma i personaggi iniziano ad inaridirsi e avrebbero bisogno di qualche nuova trovata che li renda meno prevedibili.
Sempre attenti ad accontentare tutti, gli autori mancano di coraggio nello sviluppare la storia, ma il messaggio di tolleranza e di rispetto delle diversità arriva sicuramente a bersaglio.
Discorso a parte merita il mitico scoiattolo Scrat che in questa occasione deve far fronte alle tentazioni di una affascinante scoiattolina che tenterà di distrarlo dalla sua interminabile caccia al "tesoro".
lunedì, settembre 28, 2009
L'ERA GLACIALE 3 - L'ALBA DEI DINOSAURI
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recensioni
BASTA CHE FUNZIONI
Dopo la trasferta europea che ha portato risultati altalenanti, Woody Allen ritorna su buoni livelli grazie alla miracolosa aria di casa.
Boris Yellnikoff (Larry David) è un ex professore di fisica nevrotico, ipocondriaco e con un matrimonio fallito alle spalle, che si innamora di Melodie (Evan Rachel Wood) una ragazza molto più giovane di lui e finisce per sposarla.
Ovviamente Boris altri non è che l'alter ego di Woody Allen, che per un'ora e mezza arringa lo spettatore con il suo pessimismo cosmico, ferreo ateismo, e nevrosi varie, proprio come ai bei tempi.
Non manca un altro elemento classico dei film di Woody Allen, ovvero l'arrivo in città dei non newyorkesi, visti a seconda delle situazioni, come dei sempliciotti o come dei barbari.
BASTA CHE FUNZIONI è un ritorno al passato, non c'è niente di nuovo che Woody Allen non ci abbia già detto, ma nonostante questo, il film è molto gradevole e sopratutto ben interpretato.
Boris Yellnikoff (Larry David) è un ex professore di fisica nevrotico, ipocondriaco e con un matrimonio fallito alle spalle, che si innamora di Melodie (Evan Rachel Wood) una ragazza molto più giovane di lui e finisce per sposarla.
Ovviamente Boris altri non è che l'alter ego di Woody Allen, che per un'ora e mezza arringa lo spettatore con il suo pessimismo cosmico, ferreo ateismo, e nevrosi varie, proprio come ai bei tempi.
Non manca un altro elemento classico dei film di Woody Allen, ovvero l'arrivo in città dei non newyorkesi, visti a seconda delle situazioni, come dei sempliciotti o come dei barbari.
BASTA CHE FUNZIONI è un ritorno al passato, non c'è niente di nuovo che Woody Allen non ci abbia già detto, ma nonostante questo, il film è molto gradevole e sopratutto ben interpretato.
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recensioni
giovedì, settembre 24, 2009
Film in sala dal 25 settembre
G-Force : Superspie in missione
( G-Force )
GENERE: Azione
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Hoyt Yeatman
Baarìa - La porta del vento
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Giuseppe Tornatore
High School Band
( Bandslam )
GENERE: Commedia, Musicale
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Todd Graff
Il maledetto United
( The Damned United )
GENERE: Biografico, Drammatico, Sportivo
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Gran Bretagna
REGIA: Tom Hooper
La ragazza che giocava con il fuoco
( Flickan som lekte med elden )
GENERE: Poliziesco, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Svezia
REGIA: Daniel Alfredson
( G-Force )
GENERE: Azione
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Hoyt Yeatman
Baarìa - La porta del vento
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Giuseppe Tornatore
High School Band
( Bandslam )
GENERE: Commedia, Musicale
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Todd Graff
Il maledetto United
( The Damned United )
GENERE: Biografico, Drammatico, Sportivo
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Gran Bretagna
REGIA: Tom Hooper
La ragazza che giocava con il fuoco
( Flickan som lekte med elden )
GENERE: Poliziesco, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Svezia
REGIA: Daniel Alfredson
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film in uscita 2009
martedì, settembre 22, 2009
Pelham 1-2-3: ostaggi in metropolitana
Premessa: non svelo il finale, ma racconto abbastanza della trama, pertanto siete avvertiti! In ultimo, perdonate l'indecenza della mia scrittura.
Prafrasando nickoftime, Tony Scott è il regista testosteronico per eccellenza, tutto muscoli, esplosioni, inseguimenti d'auto acrobatici e bim bum bam!: montaggio dinamico delle scene, uso compulsivo di sequenze accelerate e poi rallentate, patinatura delle immagini in puro stile videoclip, colori saturi.
"Pelham 1-2-3: ostaggi in metropolitana" si può ascrivere senza dubbio tra i migliori contributi tecnci del regista alla spettacolarità hollywoodiana, ma per il resto resta purtroppo una tentativo incompiuto di raccontare le paure dell'America.
Walter Garber (Washington), uomo di mezza età imbolsito e senza più molte aspetattive è un dirigente corrotto della azienda metropolitana newyorkese che è stato retrocesso a controllore dei treni. Una sera come tante si ritrova in ufficio a coordinare la consueta routine lavorativa: Garber conosce tutti, nella sua carriera ha rivestito tutti i ruoli aziendali confrontndosi con i più diversi compiti. Prima di venir declassato si occupava di acquisti, ma una tangella di troppo lo fregò. Quella notte è assorbito dalle solite faccende: comunciazioni coi macchinisti, gestione di varie emergenze sulle molte linee della metro. Il movimento anomalo di un convoglio, il Pelham 123, in senso contraio alla sua prevista direzione di marcia, cattura la sua attenzione. Dopo un fallito tentativo di mettersi in comuncazione con il macchinista, dalla centrale di controllo scattano tutti i controlli possibili. Cosa succede? perchè il macchinista non risponde? Perchè il convoglio va al contrario?
Ed il bubbone presto scoppia.
Un manipolo di delinquenti senza scrupoli, armati fino ai denti, capitanati da un tal Ryder - un John Travolta davvero truce e spietato - tiene sotto sequestro una carrozza dei treni. La richiesta di riscatto è un sacco di milioni di dollari da consegnarsi entro un'ora, pena la uccisione degli ostaggi.
Ryder non ammette ridardi: promette un morto per ogni minuto di ritardo nella consegna.
La polizia invia subito sul posto un negoziatore professionsta (Turturro) che, dopo il primo morto, è subito rimpiazzato dallo stesso Garber, su volere esplicito di Ryder. Tra i due nasce un dialogo serrato che diverte il malvivente ed allo stesso tempo rafforza Garber.
Con sorpresa di tutti, Garber si rivela un'abile negoziatore e ben presto verrà cataupultato in un'impresa di salvataggio impossibile che mieterà i propri morti senza esclusione di colpi e che animerà lo schermo con distruzioni spettacolari.
In tutto questo pandemonio viene coinvolto anche il sindaco di New York (Gandolfini) ad un passo dalla rielezione.
Dopo la tragedia delle due torri ritornano i grandi temi della paura: terrorismo, crisi economica, attacchi al cuore del sistema. New York rivive il suo inferno in un action movie che strizza l'occhio al trhiller fantapolitico.
Pelham 1-2-3 è il rifacimento di un film del 1974, una sua rivisitazione ipertecnologica e attualizzata dopo l'avvento dei più grossi terrori dell'America. E dagli ostaggi emergono le storie dell'America moderna, di quella gente comune che deve fare i conti tutti i giorni con le ombre e le ferite di un Paese diviso da potentati, classismi e ingiustizie.
Non ci sono più divisioni nette tra i buoni ed i cattivi, tutti hanno qualcosa da nascondere, di cui non andare fieri, tutti sono stati toccati dal peccato originale che ha fatto perdere all'America la propria innocenza.
E proprio in questo coacervo di storie "assassine" di vario livello si consuma l'ennesimo scontro tra bene e male, nella dura legge della sopravvivenza.
Sul piano narrativo il film fa la sua parte, la sceneggiatura risulta ben scritta ed i dialoghi hanno notevole rilevanza. Chi ha amato "il negoziatore" troverà qui qualche scampolo di soddisfazione.
Turturro è piuttosto lasciato all'angolo e dispiace vederlo ristretto ad una sorta di cameo.
Denzel Washington ben impersona il protagonista, anche con una trasformazione fisica che lo eleva sempre di più ad attore compiuto.
Travolta è cattivo e caustico, ma perde di stile: è il personaggio, tratteggiato attorno a lui, che non convince, restando poco più di una macchietta, un clichè ripassato come l'aringa sul pane.
La resa finale dell'operazione risulta un po' sgonfia e le aspetative dello spettatore (le mie di sicuro) vengono tradite: il film lascia una lieve sensazione di noia ed un disturbo uditivo.
Per il resto si dimentica in fretta ed accorgemi di questo fa un po' male.
Prafrasando nickoftime, Tony Scott è il regista testosteronico per eccellenza, tutto muscoli, esplosioni, inseguimenti d'auto acrobatici e bim bum bam!: montaggio dinamico delle scene, uso compulsivo di sequenze accelerate e poi rallentate, patinatura delle immagini in puro stile videoclip, colori saturi.
"Pelham 1-2-3: ostaggi in metropolitana" si può ascrivere senza dubbio tra i migliori contributi tecnci del regista alla spettacolarità hollywoodiana, ma per il resto resta purtroppo una tentativo incompiuto di raccontare le paure dell'America.
Walter Garber (Washington), uomo di mezza età imbolsito e senza più molte aspetattive è un dirigente corrotto della azienda metropolitana newyorkese che è stato retrocesso a controllore dei treni. Una sera come tante si ritrova in ufficio a coordinare la consueta routine lavorativa: Garber conosce tutti, nella sua carriera ha rivestito tutti i ruoli aziendali confrontndosi con i più diversi compiti. Prima di venir declassato si occupava di acquisti, ma una tangella di troppo lo fregò. Quella notte è assorbito dalle solite faccende: comunciazioni coi macchinisti, gestione di varie emergenze sulle molte linee della metro. Il movimento anomalo di un convoglio, il Pelham 123, in senso contraio alla sua prevista direzione di marcia, cattura la sua attenzione. Dopo un fallito tentativo di mettersi in comuncazione con il macchinista, dalla centrale di controllo scattano tutti i controlli possibili. Cosa succede? perchè il macchinista non risponde? Perchè il convoglio va al contrario?
Ed il bubbone presto scoppia.
Un manipolo di delinquenti senza scrupoli, armati fino ai denti, capitanati da un tal Ryder - un John Travolta davvero truce e spietato - tiene sotto sequestro una carrozza dei treni. La richiesta di riscatto è un sacco di milioni di dollari da consegnarsi entro un'ora, pena la uccisione degli ostaggi.
Ryder non ammette ridardi: promette un morto per ogni minuto di ritardo nella consegna.
La polizia invia subito sul posto un negoziatore professionsta (Turturro) che, dopo il primo morto, è subito rimpiazzato dallo stesso Garber, su volere esplicito di Ryder. Tra i due nasce un dialogo serrato che diverte il malvivente ed allo stesso tempo rafforza Garber.
Con sorpresa di tutti, Garber si rivela un'abile negoziatore e ben presto verrà cataupultato in un'impresa di salvataggio impossibile che mieterà i propri morti senza esclusione di colpi e che animerà lo schermo con distruzioni spettacolari.
In tutto questo pandemonio viene coinvolto anche il sindaco di New York (Gandolfini) ad un passo dalla rielezione.
Dopo la tragedia delle due torri ritornano i grandi temi della paura: terrorismo, crisi economica, attacchi al cuore del sistema. New York rivive il suo inferno in un action movie che strizza l'occhio al trhiller fantapolitico.
Pelham 1-2-3 è il rifacimento di un film del 1974, una sua rivisitazione ipertecnologica e attualizzata dopo l'avvento dei più grossi terrori dell'America. E dagli ostaggi emergono le storie dell'America moderna, di quella gente comune che deve fare i conti tutti i giorni con le ombre e le ferite di un Paese diviso da potentati, classismi e ingiustizie.
Non ci sono più divisioni nette tra i buoni ed i cattivi, tutti hanno qualcosa da nascondere, di cui non andare fieri, tutti sono stati toccati dal peccato originale che ha fatto perdere all'America la propria innocenza.
E proprio in questo coacervo di storie "assassine" di vario livello si consuma l'ennesimo scontro tra bene e male, nella dura legge della sopravvivenza.
Sul piano narrativo il film fa la sua parte, la sceneggiatura risulta ben scritta ed i dialoghi hanno notevole rilevanza. Chi ha amato "il negoziatore" troverà qui qualche scampolo di soddisfazione.
Turturro è piuttosto lasciato all'angolo e dispiace vederlo ristretto ad una sorta di cameo.
Denzel Washington ben impersona il protagonista, anche con una trasformazione fisica che lo eleva sempre di più ad attore compiuto.
Travolta è cattivo e caustico, ma perde di stile: è il personaggio, tratteggiato attorno a lui, che non convince, restando poco più di una macchietta, un clichè ripassato come l'aringa sul pane.
La resa finale dell'operazione risulta un po' sgonfia e le aspetative dello spettatore (le mie di sicuro) vengono tradite: il film lascia una lieve sensazione di noia ed un disturbo uditivo.
Per il resto si dimentica in fretta ed accorgemi di questo fa un po' male.
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La custode di mia sorella
Il nuovo film di Nick Cassavetes, La custode di mia sorella, racconta la storia di una famiglia americana unita nel dolore profondo di una malattia terminale che la porterà, inevitabilmente, ad una svolta cruciale.
Sara Fitzgerald (Diaz) è un avvocato di successo e madre di famiglia che decide di lasciare la carriera per dedicarsi completamente alla figlia maggiore Kate, affetta da una rara forma di leucemia dall'età prescolare. Sostenuta dalla sorella, dalla presenza paziente di Brian, il marito che la asseconda nella sua caparbietà, e dai due figli minori, Anna e Jesse, Sara vive nell'ossessione di salvare Kate dalla terribilie malattia che di giorno in giorno la consuma.
L'ossessione è tale che accetta la ardita proposta dell'oncologo di concepire un figlio in provetta programmato per essere compatibile con la figlia malata, in modo da disporre in famiglia di un donatore sicuro. E questo figlio è Anna (Breslin).
Jesse è un ragazzo introverso che, suo malgrado, è messo un po' in disparte dai genitori: le attenzioni sono giocoforza tutte per Kate che assorbe così l'energia di tutta la famiglia. Anna vive la sua condizione di salvatrice con l'incosceinza dei bambini ed allo stesso tempo con l'amore incondizionato che solo i fratelli possono provare.
Negli anni Sara costruisce uno stile di vita famigliare basato sulla lotta alla sopravvivenza di Kate. Le scelte di tutti devono, a suo dire, convergere nell'unico scopo di salvarle la vita, a costo di calpestare i diritti di ognuno.
Lo scopo da raggiungere è più grande degli egoismi singoli e tutti devono votarsi parte di questa lotta.
Ma le cose non possono durare così per sempre, proprio perchè il sistema imposto da Sara non è naturale e non fa che alimentarsi della sua incapacità di accettare le prove, seppur violente e terribili, che la vita le infligge.
Un giorno, infatti, Anna, stanca di sentirsi cavia, fa causa ai genitori rivolgendosi ad un affermato avvocato (Baldwin) per riottenere la emancipazione medica.
Nick Cassavetes propone una storia di famiglia intrisa di dramma e afflizione, stretta in un dolore che sembra essere il cuore pulsante di tutto e che mette all'oscuro le personalità dei singoli.
Nonostante il garbo, Cassavetes spesso cade in luoghi comuni durante la descrizione della malattia e delle sue conseguenze, in scene ridondanti di pietà e dolore. L'ambientazione, tipicamente borghese e raccolta in ambienti luminosi e ben arredati, completa il clichè.
La volontà del regista è certamente quella di scandagliare in ogni profondità il dramma, facendo emergere dai protagonisti un'umanità profonda e ferita, e di darne una lettura meno inesorabile e devastante, ma spesso questi tentativi risultano di poco mordente, arenati in scene già visitate dal cinema internazionale e che non propongono molta originalità.
Il risultato è un film corale che commuove la platea e rende coscienti sulle dinamiche di una malattia terminale, ma che in un certo qual modo resta circoscritto ad una predeterminata modalità di racconto, di vedute.
Siamo lontani dallo stile del padre, John Cassavetes, dalla sua malinconia, dalla rabbia, dalla profondità con cui riusciva a mettere in scena le emozioni e a condurre gli attori.
Raccontare un dolore così devastante non è semplice ed il rischio che si corre è sempre lo stesso, cadere nel clichè e nel melenso. Nick Cassavetes orchestra un buon film ma non trova la chiave di volta. E il dramma diventa ben presto un dolore per lo spettatore: il film non lesina lacrime.
Cameron Diaz, per la prima volta in un ruolo dramamtico, regge bene la parte, dando vita ad una donna spaventata e chiusa nella propria ostinazione e che non accetta ciò che le sta accadendo.
Baldwin da voce e corpo ad un avvocato determinato e partecipe al dramma della propria piccola cliente.
La piccola Abigail dimostra naturalezza e autenticità.
Un cast di sicuro valore e stile che da solo non può tenere in alto tutto il film.
Sara Fitzgerald (Diaz) è un avvocato di successo e madre di famiglia che decide di lasciare la carriera per dedicarsi completamente alla figlia maggiore Kate, affetta da una rara forma di leucemia dall'età prescolare. Sostenuta dalla sorella, dalla presenza paziente di Brian, il marito che la asseconda nella sua caparbietà, e dai due figli minori, Anna e Jesse, Sara vive nell'ossessione di salvare Kate dalla terribilie malattia che di giorno in giorno la consuma.
L'ossessione è tale che accetta la ardita proposta dell'oncologo di concepire un figlio in provetta programmato per essere compatibile con la figlia malata, in modo da disporre in famiglia di un donatore sicuro. E questo figlio è Anna (Breslin).
Jesse è un ragazzo introverso che, suo malgrado, è messo un po' in disparte dai genitori: le attenzioni sono giocoforza tutte per Kate che assorbe così l'energia di tutta la famiglia. Anna vive la sua condizione di salvatrice con l'incosceinza dei bambini ed allo stesso tempo con l'amore incondizionato che solo i fratelli possono provare.
Negli anni Sara costruisce uno stile di vita famigliare basato sulla lotta alla sopravvivenza di Kate. Le scelte di tutti devono, a suo dire, convergere nell'unico scopo di salvarle la vita, a costo di calpestare i diritti di ognuno.
Lo scopo da raggiungere è più grande degli egoismi singoli e tutti devono votarsi parte di questa lotta.
Ma le cose non possono durare così per sempre, proprio perchè il sistema imposto da Sara non è naturale e non fa che alimentarsi della sua incapacità di accettare le prove, seppur violente e terribili, che la vita le infligge.
Un giorno, infatti, Anna, stanca di sentirsi cavia, fa causa ai genitori rivolgendosi ad un affermato avvocato (Baldwin) per riottenere la emancipazione medica.
Nick Cassavetes propone una storia di famiglia intrisa di dramma e afflizione, stretta in un dolore che sembra essere il cuore pulsante di tutto e che mette all'oscuro le personalità dei singoli.
Nonostante il garbo, Cassavetes spesso cade in luoghi comuni durante la descrizione della malattia e delle sue conseguenze, in scene ridondanti di pietà e dolore. L'ambientazione, tipicamente borghese e raccolta in ambienti luminosi e ben arredati, completa il clichè.
La volontà del regista è certamente quella di scandagliare in ogni profondità il dramma, facendo emergere dai protagonisti un'umanità profonda e ferita, e di darne una lettura meno inesorabile e devastante, ma spesso questi tentativi risultano di poco mordente, arenati in scene già visitate dal cinema internazionale e che non propongono molta originalità.
Il risultato è un film corale che commuove la platea e rende coscienti sulle dinamiche di una malattia terminale, ma che in un certo qual modo resta circoscritto ad una predeterminata modalità di racconto, di vedute.
Siamo lontani dallo stile del padre, John Cassavetes, dalla sua malinconia, dalla rabbia, dalla profondità con cui riusciva a mettere in scena le emozioni e a condurre gli attori.
Raccontare un dolore così devastante non è semplice ed il rischio che si corre è sempre lo stesso, cadere nel clichè e nel melenso. Nick Cassavetes orchestra un buon film ma non trova la chiave di volta. E il dramma diventa ben presto un dolore per lo spettatore: il film non lesina lacrime.
Cameron Diaz, per la prima volta in un ruolo dramamtico, regge bene la parte, dando vita ad una donna spaventata e chiusa nella propria ostinazione e che non accetta ciò che le sta accadendo.
Baldwin da voce e corpo ad un avvocato determinato e partecipe al dramma della propria piccola cliente.
La piccola Abigail dimostra naturalezza e autenticità.
Un cast di sicuro valore e stile che da solo non può tenere in alto tutto il film.
lunedì, settembre 21, 2009
Funny people
RECENSIONE PUBBLICATA SU ONDACINEMA
Nell'ormai abituale alternanza tra commedia leggera e cinema d'autore Funny People di Judd Apatow rappresenta una curiosa sintesi tra le due diverse anime dell'attore che ne è protagonista, quell'Adam Sandler che avevamo lasciato negli improbabili panni di un agente segreto israeliano nel trash movie Zohan-tutti i nodi vengono al pettine e che qui ritroviamo impegnato in una storia che cerca di conciliare la diverse tendenze, raccontando l'amicizia tra un divo condannato da una malattia incurabile (Sandler) ed un aspirante attore destinato all'insuccesso per mancanza di carattere (Rogen).
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Nell'ormai abituale alternanza tra commedia leggera e cinema d'autore Funny People di Judd Apatow rappresenta una curiosa sintesi tra le due diverse anime dell'attore che ne è protagonista, quell'Adam Sandler che avevamo lasciato negli improbabili panni di un agente segreto israeliano nel trash movie Zohan-tutti i nodi vengono al pettine e che qui ritroviamo impegnato in una storia che cerca di conciliare la diverse tendenze, raccontando l'amicizia tra un divo condannato da una malattia incurabile (Sandler) ed un aspirante attore destinato all'insuccesso per mancanza di carattere (Rogen).
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Fighting
RECENSIONE PUBBLICATA SU ONDACINEMA
Liberatosi dall'urgenza di una biografia magnificamente trasposta ne 'Guida per riconoscere i tuoi Santi', Dito Montiel, continua a frequentre le strade della grande mela con una storia che ancora una volta, attraverso il rapporto tra il pugile ed il suo mentore, ripropone, in termini sicuramente meno drammatici, ma ancora evidenti, un legame padre/figlio vissuto ai limiti, e continuamente minacciato da una serie di non detti che ne determinano la sua precarietà.
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Liberatosi dall'urgenza di una biografia magnificamente trasposta ne 'Guida per riconoscere i tuoi Santi', Dito Montiel, continua a frequentre le strade della grande mela con una storia che ancora una volta, attraverso il rapporto tra il pugile ed il suo mentore, ripropone, in termini sicuramente meno drammatici, ma ancora evidenti, un legame padre/figlio vissuto ai limiti, e continuamente minacciato da una serie di non detti che ne determinano la sua precarietà.
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giovedì, settembre 17, 2009
Film in sala dal 18 settembre
Basta che funzioni
( Whatever Works )
GENERE: Commedia, Romantico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Woody Allen
Di me cosa ne sai
GENERE: Documentario
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Valerio Jalongo, Francesco Apolloni, Giulio Manfredonia
Il mio vicino Totoro
( Tonari No Totoro )
GENERE: Animazione
ANNO PROD: 1988
NAZIONALITÀ Giappone, USA
REGIA: Hayao Miyazaki
PELHAM 1 2 3 Ostaggi in metropolitana
( The Taking of Pelham 123 )
GENERE: Azione, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Tony Scott
Racconti dell'età dell'oro
( Tales from the Golden Age )
GENERE: Commedia, Storico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Romania
REGIA: aa.vv.
The Informant
( The Informant )
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Steven Soderbergh
Tris di donne e abiti nuziali
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Vincenzo Terracciano
( Whatever Works )
GENERE: Commedia, Romantico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Woody Allen
Di me cosa ne sai
GENERE: Documentario
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Valerio Jalongo, Francesco Apolloni, Giulio Manfredonia
Il mio vicino Totoro
( Tonari No Totoro )
GENERE: Animazione
ANNO PROD: 1988
NAZIONALITÀ Giappone, USA
REGIA: Hayao Miyazaki
PELHAM 1 2 3 Ostaggi in metropolitana
( The Taking of Pelham 123 )
GENERE: Azione, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Tony Scott
Racconti dell'età dell'oro
( Tales from the Golden Age )
GENERE: Commedia, Storico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Romania
REGIA: aa.vv.
The Informant
( The Informant )
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Steven Soderbergh
Tris di donne e abiti nuziali
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Vincenzo Terracciano
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film in uscita 2009
mercoledì, settembre 16, 2009
IL GRANDE SOGNO
Roma 1967: La rivolta giovanile sta per esplodere. Libero (Argentero) è uno dei capi del movimento studentesco; Laura (Trinca) è una ragazza borghese e cattolica attiva nel movimento; Nicola (Scamarcio) è un poliziotto meridionale in servizio a Roma che insegue il suo grande sogno: fare l'attore.
Michele Placido parte dalla sua personale esperienza di poliziotto simpatizzante del movimento studentesco per raccontare uno dei momenti fondamentali della storia del nostro Paese.
Chiariamo subito che IL GRANDE SOGNO non è un film che esalta la rivolta sessantottina come qualcuno ha cercato di far credere, anzi Placido si sforza di mantenersi in equilibrio e cerca di salvare la faccia a quella che era polizia dell'epoca.
Affrontare un argomento delicato come quello del 68 è cosa difficile, farlo in un'ora e mezza è molto difficile.
Il rischio di banalizzare, ridurre a macchietta, di effettuare passaggi superficiali è altissimo, ma Placido ne esce bene, schivando gran parte di questi rischi che avrebbero potuto affossare il film.
Ed è proprio questo che fa più rabbia ne IL GRANDE SOGNO.
Il regista pugliese supera gli ostacoli più ostici ma si inceppa in quello che in teoria sarebbe dovuto essere più semplice.
Il film in qualche occasione si perde in passaggi inutili, al personaggio di Libero pare che spesso manchi la lingua e sappia solo sfoggiare ammiccanti sorrisi, inoltre i riflessi devastanti sulla famiglia, che le scelte di Laura comportano, sono eccessivamente sottolineati e anche un pò semplificati (pare ovvio che una famiglia cattolica, borghese e perbenista, subisca il contraccolpo delle scelte "rivoluzionarie" della figlia).
Discorso a parte merita il personaggio dell'insegnante di teatro interpretata da Laura Morante. Un personaggio, che oltre ad incidere poco sull'economia della pellicola risulta essere quasi insopportabile quando mentre fuma una canna di notevoli dimensioni dinanzi all'ospite poliziotto sente la necessità di specificare a quest'ultimo (e quindi allo spettatore) che sta fumando dell' hascish.
Detto questo, bisogna riconscere a Michele Placido, che gira bene e si serve di una bella fotografia, che dalla visione de IL GRANDE SOGNO si deduce facilmente che il film è girato con amore e tanta tenerezza verso il Nicola-Placido dei tempi della gioventù, quando il suo grande sogno incontrò il grande sogno di milioni di giovani italiani.
Michele Placido parte dalla sua personale esperienza di poliziotto simpatizzante del movimento studentesco per raccontare uno dei momenti fondamentali della storia del nostro Paese.
Chiariamo subito che IL GRANDE SOGNO non è un film che esalta la rivolta sessantottina come qualcuno ha cercato di far credere, anzi Placido si sforza di mantenersi in equilibrio e cerca di salvare la faccia a quella che era polizia dell'epoca.
Affrontare un argomento delicato come quello del 68 è cosa difficile, farlo in un'ora e mezza è molto difficile.
Il rischio di banalizzare, ridurre a macchietta, di effettuare passaggi superficiali è altissimo, ma Placido ne esce bene, schivando gran parte di questi rischi che avrebbero potuto affossare il film.
Ed è proprio questo che fa più rabbia ne IL GRANDE SOGNO.
Il regista pugliese supera gli ostacoli più ostici ma si inceppa in quello che in teoria sarebbe dovuto essere più semplice.
Il film in qualche occasione si perde in passaggi inutili, al personaggio di Libero pare che spesso manchi la lingua e sappia solo sfoggiare ammiccanti sorrisi, inoltre i riflessi devastanti sulla famiglia, che le scelte di Laura comportano, sono eccessivamente sottolineati e anche un pò semplificati (pare ovvio che una famiglia cattolica, borghese e perbenista, subisca il contraccolpo delle scelte "rivoluzionarie" della figlia).
Discorso a parte merita il personaggio dell'insegnante di teatro interpretata da Laura Morante. Un personaggio, che oltre ad incidere poco sull'economia della pellicola risulta essere quasi insopportabile quando mentre fuma una canna di notevoli dimensioni dinanzi all'ospite poliziotto sente la necessità di specificare a quest'ultimo (e quindi allo spettatore) che sta fumando dell' hascish.
Detto questo, bisogna riconscere a Michele Placido, che gira bene e si serve di una bella fotografia, che dalla visione de IL GRANDE SOGNO si deduce facilmente che il film è girato con amore e tanta tenerezza verso il Nicola-Placido dei tempi della gioventù, quando il suo grande sogno incontrò il grande sogno di milioni di giovani italiani.
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domenica, settembre 13, 2009
Inglorious Basterds - BASTARDI SENZA GLORIA
Dopo una manciata di film in cui aveva riscattato la femminilità dagli stereotipi di una società maschilista e vagamente misogina, Tarantino torna al primo amore affidando le sorti del suo nuovo film alle imprese di un debordante mucchio selvaggio capitanato dal tenente Aldo Raine e riproponendo in chiave vintage, un modello di confraternità maschile ampiamente esibita nel corso della sua carriera cinematografica.
Questa volta però lo stravagante melting pot caratteriale entra nella storia e ne diventa protagonista attraverso le vicende di un gruppo di soldati americani di origine ebraica, chiamati a vendicare l’orribile sterminio attraverso l’uccisione di Adolf Hitler, un Golem alle prese con una guerra ormai perduta (siamo nel 1944, pochi giorni dopo il D day) ma ancora capace di divertirsi con la morte, e di organizzare una premiere a Parigi, in occasione della presentazione del film che celebra le gesta di un esercito sull’orlo del collasso.
Dopo un prologo dal sapore vagamente western, in cui il regista ci presenta l’antefatto della storia ed insieme la famigerata umanità che la compone, il film si avvicina per fasi successive all’evento finale, attraverso una serie di quadri che permettono allo spettatore di entrare nella dimensione dei protagonisti, esplicata dalla fisiognomica dei loro volti e nell’ossessiva ripetizione di talune espressioni (il volto mascellato del tenente, il sorriso mellifluo del Colonnello nazista, e quelle perse nel vuoto di buona parte della ciurma), costruendo nel contempo il tessuto di una trama in cui l’intreccio è solo un modo per collegare un divertissment che Tarantino potrebbe declinare all’infinito, grazie all’overdose comportamentale che ancora una volta caratterizza i suoi protagonisti.
Immerso in un atmosfera lugubre e sporcato da una fotografia che accentua l’irridemibilità delle azioni poste in essere, “Bastardi senza gloria”si riserva lo sberleffo, tradendo continuamente le sue premesse (la storicizzazione degli eventi ed una certa dose di realismo), presentandoci personaggi decentrati per eccesso, come accade all’intera gerarchia nazista sempre sull’orlo di una crisi di nervi, ma anche allo stranulato Colonnello inglese, interpretato in un ruolo cameo da Mike Myers, improbabile portavoce dell’operazione militare, o per difetto, a cominciare dal tenente Aldo Raine, la cui mascella cresce in maniera proporzionale all’understatment con cui affronta le situazioni più efferate (una su tutte il dito conficcato dentro la ferita dell’attrice sospettata di fare il doppio gioco), per non dire della compagnia che lo segue nell’impresa, perennemente in bilico tra l’avanspettacolo più spinto ed una serietà ai limiti del maniacale.
Uno straniamento a cui concorre una forma cinematografica che pesca a destra ed a manca: dal cinema exploitation, citato negli eccessi musicali e nei fermo immagine che focalizzano l’attenzione sui vari personaggi, alla Novelle vogue, ripresa nell’enfasi degli stacchi tra le varie sequenze, con lo schermo che rimane nero più del dovuto, agli inserti con cui il regista inserisce delle frecce per farci cogliere un particolare all’interno di una scena, per non dire del cinema tedesco omaggiato a pieno schermo con il film nel film girato da Eli Roth.
Nell’intento di lasciare spazio ai suoi protagonisti, Tarantino sorvola i dettagli, elimina certe spiegazioni ( la protagonista femminile sopravvissuta al massacro ricompare con un altro nome e nelle vesti di proprietaria del cinema dove si svolgerà l’anteprima del film), riduce all’essenziale la scenografia, ma soprattutto ferma la sua arte pirotecnica, costringendola all’interno di luoghi angusti (la taverna dove si svolge la parte centrale del film), privando le location dei suoi orizzonti naturali (la foresta in cui i Bastardi operano e si nascondono è soffocata da una vegetazione da natura morta), relegando uomini e donne nello spazio di una tavola ( un classico del suo cinema), oppure dentro i limiti di un teatro che appare incapace di ospitare il suo pubblico.
Nulla si muove all’infuori delle parole, cui spetta il compito di far vivere un opera eccessivamente raffreddata e priva della consueta verve a cui il regista ci aveva abituato. Pur diviso in due trame convergenti (la vendetta personale di Shosanna, miracolosamente sopravvissuta allo sterminio della sua famiglia finirà per coincidere con il piano militare) questa dicotomia non si trasforma mai in uno scarto emozionale (il melodramma della vendetta personale portata avanti dalla donna e le esigenze della ragion di stato, attuate con asettica precisione dall’unità militare) ed il film procede con lo stesso passo, limitando in parte l’efficacia dei caratteri e riducendo al minimo la componente action dei film a sfondo bellico. Ciò nonostante “Bastardi senza gloria” offre soprattutto nel personaggio del colonnello Hans Landa (Christoph Waltz) , una specie di “Sir Bis” di kiplinghiana memoria ma anche in quella di Aldo Raine (Brad Pitt), un Clark Gable senza fascino ma certamente più simpatico, due ruoli dalle potenzialità sfruttate solo in parte ma interpretati con qualità da entrambi gli attori.
Dovendo fare i conti con una popolarità universale e con un autorialità ampiamente dimostrata, Tarantino prova a crescere ricorrendo sempre meno alla sorpresa e puntando ad un cinema più maturo: questione di equilibri interni o risorse ridotte al lumicino, gli avvisi ai naviganti parlano di lavori in corso d’opera.
Gli incassi del botteghino americano per il momento danno ragione all’inversione di tendenza.
All’Europa l’ultima parola sulla riuscita di questo cambiamento.
Questa volta però lo stravagante melting pot caratteriale entra nella storia e ne diventa protagonista attraverso le vicende di un gruppo di soldati americani di origine ebraica, chiamati a vendicare l’orribile sterminio attraverso l’uccisione di Adolf Hitler, un Golem alle prese con una guerra ormai perduta (siamo nel 1944, pochi giorni dopo il D day) ma ancora capace di divertirsi con la morte, e di organizzare una premiere a Parigi, in occasione della presentazione del film che celebra le gesta di un esercito sull’orlo del collasso.
Dopo un prologo dal sapore vagamente western, in cui il regista ci presenta l’antefatto della storia ed insieme la famigerata umanità che la compone, il film si avvicina per fasi successive all’evento finale, attraverso una serie di quadri che permettono allo spettatore di entrare nella dimensione dei protagonisti, esplicata dalla fisiognomica dei loro volti e nell’ossessiva ripetizione di talune espressioni (il volto mascellato del tenente, il sorriso mellifluo del Colonnello nazista, e quelle perse nel vuoto di buona parte della ciurma), costruendo nel contempo il tessuto di una trama in cui l’intreccio è solo un modo per collegare un divertissment che Tarantino potrebbe declinare all’infinito, grazie all’overdose comportamentale che ancora una volta caratterizza i suoi protagonisti.
Immerso in un atmosfera lugubre e sporcato da una fotografia che accentua l’irridemibilità delle azioni poste in essere, “Bastardi senza gloria”si riserva lo sberleffo, tradendo continuamente le sue premesse (la storicizzazione degli eventi ed una certa dose di realismo), presentandoci personaggi decentrati per eccesso, come accade all’intera gerarchia nazista sempre sull’orlo di una crisi di nervi, ma anche allo stranulato Colonnello inglese, interpretato in un ruolo cameo da Mike Myers, improbabile portavoce dell’operazione militare, o per difetto, a cominciare dal tenente Aldo Raine, la cui mascella cresce in maniera proporzionale all’understatment con cui affronta le situazioni più efferate (una su tutte il dito conficcato dentro la ferita dell’attrice sospettata di fare il doppio gioco), per non dire della compagnia che lo segue nell’impresa, perennemente in bilico tra l’avanspettacolo più spinto ed una serietà ai limiti del maniacale.
Uno straniamento a cui concorre una forma cinematografica che pesca a destra ed a manca: dal cinema exploitation, citato negli eccessi musicali e nei fermo immagine che focalizzano l’attenzione sui vari personaggi, alla Novelle vogue, ripresa nell’enfasi degli stacchi tra le varie sequenze, con lo schermo che rimane nero più del dovuto, agli inserti con cui il regista inserisce delle frecce per farci cogliere un particolare all’interno di una scena, per non dire del cinema tedesco omaggiato a pieno schermo con il film nel film girato da Eli Roth.
Nell’intento di lasciare spazio ai suoi protagonisti, Tarantino sorvola i dettagli, elimina certe spiegazioni ( la protagonista femminile sopravvissuta al massacro ricompare con un altro nome e nelle vesti di proprietaria del cinema dove si svolgerà l’anteprima del film), riduce all’essenziale la scenografia, ma soprattutto ferma la sua arte pirotecnica, costringendola all’interno di luoghi angusti (la taverna dove si svolge la parte centrale del film), privando le location dei suoi orizzonti naturali (la foresta in cui i Bastardi operano e si nascondono è soffocata da una vegetazione da natura morta), relegando uomini e donne nello spazio di una tavola ( un classico del suo cinema), oppure dentro i limiti di un teatro che appare incapace di ospitare il suo pubblico.
Nulla si muove all’infuori delle parole, cui spetta il compito di far vivere un opera eccessivamente raffreddata e priva della consueta verve a cui il regista ci aveva abituato. Pur diviso in due trame convergenti (la vendetta personale di Shosanna, miracolosamente sopravvissuta allo sterminio della sua famiglia finirà per coincidere con il piano militare) questa dicotomia non si trasforma mai in uno scarto emozionale (il melodramma della vendetta personale portata avanti dalla donna e le esigenze della ragion di stato, attuate con asettica precisione dall’unità militare) ed il film procede con lo stesso passo, limitando in parte l’efficacia dei caratteri e riducendo al minimo la componente action dei film a sfondo bellico. Ciò nonostante “Bastardi senza gloria” offre soprattutto nel personaggio del colonnello Hans Landa (Christoph Waltz) , una specie di “Sir Bis” di kiplinghiana memoria ma anche in quella di Aldo Raine (Brad Pitt), un Clark Gable senza fascino ma certamente più simpatico, due ruoli dalle potenzialità sfruttate solo in parte ma interpretati con qualità da entrambi gli attori.
Dovendo fare i conti con una popolarità universale e con un autorialità ampiamente dimostrata, Tarantino prova a crescere ricorrendo sempre meno alla sorpresa e puntando ad un cinema più maturo: questione di equilibri interni o risorse ridotte al lumicino, gli avvisi ai naviganti parlano di lavori in corso d’opera.
Gli incassi del botteghino americano per il momento danno ragione all’inversione di tendenza.
All’Europa l’ultima parola sulla riuscita di questo cambiamento.
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anteprime,
recensioni
mercoledì, settembre 09, 2009
KNOWING - SEGNALI DAL FUTURO
1959: i bambini di una scuola elementare del Massachusset immaginano come sarà il futuro 50 anni dopo e i loro disegni vengono sotterrati in una “capsula del tempo” per i posteri.
2009:alla festa di apertura della capsula a Caleb, tra i tanti distribuiti a tutti i compagni di scuola, capita un disegno fitto di cifre che finisce per attirare l’attenzione del suo papà astrofisico (Cage) il quale decifrando i codici numerici scoprirà che si tratta di premonizioni di eventi già accaduti e di eventi che devono ancora accadere.
Inizia così una corsa contro il tempo e contro la sua mente scientifica per porre rimedio alla drammatica rivelazione.
Ottima fantascienza con sapienti innesti horror, buona sceneggiatura, coerente fino alla fine, effetti speciali credibili e suggestivi. Proyas (il Corvo, Dark City, I Robot) ha la capacità di realizzare un’atmosfera perfetta - il suo unico difetto è Nicolas Cage che è inguardabile.
2009:alla festa di apertura della capsula a Caleb, tra i tanti distribuiti a tutti i compagni di scuola, capita un disegno fitto di cifre che finisce per attirare l’attenzione del suo papà astrofisico (Cage) il quale decifrando i codici numerici scoprirà che si tratta di premonizioni di eventi già accaduti e di eventi che devono ancora accadere.
Inizia così una corsa contro il tempo e contro la sua mente scientifica per porre rimedio alla drammatica rivelazione.
Ottima fantascienza con sapienti innesti horror, buona sceneggiatura, coerente fino alla fine, effetti speciali credibili e suggestivi. Proyas (il Corvo, Dark City, I Robot) ha la capacità di realizzare un’atmosfera perfetta - il suo unico difetto è Nicolas Cage che è inguardabile.
martedì, settembre 08, 2009
Film in sala dal 9 settembre
Una soluzione razionale
( Det enda rationella )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Germania, Italia, Svezia, Finlandia
REGIA: Jorgen Bergmark
Cosmonauta
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Susanna Nicchiarelli
Drag Me to Hell
( Drag Me to Hell )
GENERE: Horror, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Sam Raimi
G.I. Joe - la nascita dei Cobra
( G.I. Joe )
GENERE: Azione, Avventura
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Stephen Sommers
Il grande sogno
GENERE: Drammatico, Storico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Michele Placido
( Det enda rationella )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Germania, Italia, Svezia, Finlandia
REGIA: Jorgen Bergmark
Cosmonauta
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Susanna Nicchiarelli
Drag Me to Hell
( Drag Me to Hell )
GENERE: Horror, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Sam Raimi
G.I. Joe - la nascita dei Cobra
( G.I. Joe )
GENERE: Azione, Avventura
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Stephen Sommers
Il grande sogno
GENERE: Drammatico, Storico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Michele Placido
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film in uscita 2009
venerdì, settembre 04, 2009
ROMA A MANO ARMATA - Italia '70 - IL CINEMA A MANO ARMATA (13)
Tredicesima puntata
ROMA A MANO ARMATA (1976)
Regia: Umberto Lenzi
Cast: Maurizio Merli - Tomas Milian - Giampiero Albertini - Maria Rosaria Omaggio - Biagio Pelligra - Ivan Rassimov
Trama: Il Commissario Leonardo Tanzi per assicurare i malviventi alla giustizia usa metodi poco ortodossi ed entra in conflitto con il vice questore Ruini.
Il Film: Il commissario Tanzi (Merli) vuole ripulire Roma dai criminali che la infestano con i suoi metodi bruschi.
Sulla sua strada il feroce Moretto (Milian) meglio conosciuto come "il gobbo", il rapinatore Savelli (Pelligra) e lo spacciatore Tony (Rassimov), tutti legati al marsigliese Ferrender.
Il collega Caputo (Albertini) e in particolare la sua donna (Omaggio) cercano di riportare alla ragione Tanzi, che al contrario è sempre più scatenato.
Durante la sua personale caccia a Moretto, Tanzi troverà il tempo di acciuffare lo spacciatore Tony, sterminare la banda di rapinatori capeggiata da Savelli e ammazzare il capo di una banda di stupratori composta da figli di papà.
Commento: Uno dei classici del poliziottesco con un cast di alto livello.
Lo sceneggiatore Dardano Sacchetti mette insieme una galleria di episodi che bene inquadrano l'escalation criminale delle grandi città italiane..
Droga, sequestri, rapine, stupri, tutto "il meglio" del genere cinematografico italiano più truce e violento di sempre.
Questo film è un concentrato di cronanca nera è può essere considerato una sorta di manifesto del filone poliziottesco.
Curiosità-Notizie: ROMA A MANO ARMATA è la prima avventura del commissario Tanzi ed è uno dei tre film in cui compare il celebre inseguimento della Bmw bianca utilizzato anche in MILANO TREMA: LA POLIZIA VUOLE GIUSTIZIA e MILANO ODIA: LA POLIZIA NON PUO' SPARARE
Il film incassò 1 miliardo e 600 milioni di lire e fu distribuito in Francia con il titolo di Brigade Speciale e in Inghilterra con il titolo di Brutal Justice.
Musiche incalzanti di Franco Micalizzi.
ROMA A MANO ARMATA (1976)
Regia: Umberto Lenzi
Cast: Maurizio Merli - Tomas Milian - Giampiero Albertini - Maria Rosaria Omaggio - Biagio Pelligra - Ivan Rassimov
Trama: Il Commissario Leonardo Tanzi per assicurare i malviventi alla giustizia usa metodi poco ortodossi ed entra in conflitto con il vice questore Ruini.
Il Film: Il commissario Tanzi (Merli) vuole ripulire Roma dai criminali che la infestano con i suoi metodi bruschi.
Sulla sua strada il feroce Moretto (Milian) meglio conosciuto come "il gobbo", il rapinatore Savelli (Pelligra) e lo spacciatore Tony (Rassimov), tutti legati al marsigliese Ferrender.
Il collega Caputo (Albertini) e in particolare la sua donna (Omaggio) cercano di riportare alla ragione Tanzi, che al contrario è sempre più scatenato.
Durante la sua personale caccia a Moretto, Tanzi troverà il tempo di acciuffare lo spacciatore Tony, sterminare la banda di rapinatori capeggiata da Savelli e ammazzare il capo di una banda di stupratori composta da figli di papà.
Commento: Uno dei classici del poliziottesco con un cast di alto livello.
Lo sceneggiatore Dardano Sacchetti mette insieme una galleria di episodi che bene inquadrano l'escalation criminale delle grandi città italiane..
Droga, sequestri, rapine, stupri, tutto "il meglio" del genere cinematografico italiano più truce e violento di sempre.
Questo film è un concentrato di cronanca nera è può essere considerato una sorta di manifesto del filone poliziottesco.
Curiosità-Notizie: ROMA A MANO ARMATA è la prima avventura del commissario Tanzi ed è uno dei tre film in cui compare il celebre inseguimento della Bmw bianca utilizzato anche in MILANO TREMA: LA POLIZIA VUOLE GIUSTIZIA e MILANO ODIA: LA POLIZIA NON PUO' SPARARE
Il film incassò 1 miliardo e 600 milioni di lire e fu distribuito in Francia con il titolo di Brigade Speciale e in Inghilterra con il titolo di Brutal Justice.
Musiche incalzanti di Franco Micalizzi.
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