venerdì, luglio 29, 2022

ELVIS

Elvis

di Baz Luhrmann

con Austin Butler, Tom Hanks

USA, Australia, 2022

genere: biografico, drammatico, musicale

durata: 157’

Un nome che ha fatto la storia, non solo della musica, ma della cultura in generale. La figura di Elvis Presley ben si presta alla realizzazione di continui biopic che riescono ogni volta a mettere in evidenza tratti, caratteristiche e momenti diversi, ma sempre degni di attenzione.

E infatti è proprio quello che è accaduto con il nuovo film di Baz Luhrmann.

Un film incentrato sull’eclettica figura di Elvis che conosciamo fin da giovanissimo, ancora agli esordi e in preda ad attacchi di panico e preoccupazioni tipiche dell’età e dell’ansia di doversi rapportare con il mondo esterno e con un pubblico continuamente desideroso di novità. La paura di non essere all’altezza, di non essere mai abbastanza e di deludere le aspettative è ciò su cui si focalizza la prima parte del lungometraggio. Film che poi vira verso il grande successo dell’artista, impersonato da un ottimo e talentuoso Austin Butler che, oltre alla somiglianza fisica, si impone sullo schermo anche grazie all’atteggiamento e alle movenze tipiche del grande cantante.

Ma la caratteristica principale del film di Luhrmann è il raccontare la storia da un punto di vista quasi inedito, per certi versi. “Elvis” è infatti narrato dal colonnello Tom Parker, al quale presta il volto un convincente Tom Hanks, invecchiato da un trucco mai sopra le righe. Il colonnello Parker è il controverso e famigerato manager del re del rock and roll che conosciamo nell’incipit del lungometraggio mentre questi è sul letto di morte e ripercorre la sua vita completamente cambiata nel momento in cui ha avuto modo di conoscere Elvis Presley. Luhrmann sfrutta il particolare rapporto tra Elvis e il manager per mettere in luce la versione dei fatti di quest’ultimo.

Una via di mezzo tra “Bohemian Rhapsody” e “Rocketman”, “Elvis” è indubbiamente un modo per conoscere una delle personalità più importanti e un modo per continuare il filone dei biopic musicali che riescono a fondere insieme due filoni della cultura e dell’arte, il cinema e la musica, appunto.

Con continue interpretazioni canore, il film di Luhrmann non riesce, però, a dare il giusto spazio ai tanti e vari aspetti della vita della star. Probabilmente scegliere di ripercorrere l’intera esistenza (o quasi) del re del rock and roll ha inevitabilmente portato a dover fare delle scelte e, quindi, “sacrificare” qualcosa per dare più spazio ad altro. E non è mai un compito facile quello di selezionare certi aspetti.

Nonostante ciò, però, “Elvis” cerca, pur mostrandosi dal punto di vista di quello che, a cose normali, sarebbe il “nemico”, di dare ancora più vita ed energia a un artista che non aveva bisogno di niente e nessuno per colpire il pubblico e “bucare lo schermo”. Si riconoscono le scelte alla Luhrmann che, in alcuni momenti, sembrano quasi richiamare il suo precedente film, “Il grande Gatsby” e che comunque sono parte integrante della sua cifra stilistica. La predilezione per determinati generi di film, ambientati in determinati momenti storici hanno permesso e permettono al regista di portare sempre sullo schermo qualcosa di originale, qualcosa che si può facilmente associare al suo nome.


Veronica Ranocchi

THE GRAY MAN

The Gray Man

di Anthony Russo e Joe Russo

USA, 2022

genere: thriller, azione

durata: 122'

Reduci dagli esistenzialismi di Cherry – Innocenza perduta i fratelli Russo tornano sui propri passi confezionando un film, The Gray Man, che si rifà ai pregi e ai difetti dell’ultimo cinema blockbuster. Protagonista del film, Ryan Gosling vi figura anche in veste di brand dell’intera operazione. La recensione di The Gray Man.

Abituale nel cinema d’autore, è più difficile che il prologo di un film mainstream risulti in qualche modo indicativo del resto della storia. The Gray Man diretto Anthony e Joe Russo è l’eccezione che conferma la regola non tanto dal punto di vista dei contenuti, peraltro piuttosto scontati nel raccontare la caccia a un agente segreto Sierra Six, (interpretato da Ryan Gosling) che assomiglia a migliaia di altri già visti sullo schermo, quanto sul piano della forma. Votato a realizzare il massimo della spettacolarità contemporanea attraverso uno shock acustico visivo che non dà tregua allo spettatore della sala (dove il film è visibile prima dell’uscita su Netflix il 13 luglio), The Gray Man inizia in maniera emblematica, con il colloquio tra il protagonista e il suo reclutatore all’interno della prigione dove il primo sta scontando l’omicidio del genitore.

La scena è organizzata in maniera classica, con i due uomini seduti ai lati opposti del tavolo intenti a valutare i termini del patto che farà di Six un agente sotto copertura: l’immobilità espressiva dell’uno e dell’altro fatta apposta per sottolineare l’importanza di quel momento.

A far la differenza nel micro racconto appena illustrato è la scelta fotografica: in particolare la volontà di illuminare la scena quanto basta per lasciare i volti degli attori in una penombra che comunque non impedisce la restituzione della loro fisiognomica.

Se la soluzione formale di cui abbiamo detto è il modo scelto dai fratelli Russo per alludere al titolo del film, ovvero a quella zona grigia in cui si muove l’agente segreto protagonista della storia, ancora più significativo è il fatto che nella scena seguente, collocata 18 anni dopo, il volto di Gosling non sia per nulla invecchiato, apparendo altrettanto giovane come lo era stato nella sequenza precedente. Nel giro di qualche minuto The Gray Man svela così le proprie carte, e cioè quelle di rinunciare da lì in poi a qualsiasi tipo di verosimiglianza, venendo meno in certi frangenti persino alla coerenza interna del suo universo a favore di un’esplosione sensoriale il cui unico scopo è quello di non far pensare lo spettatore. Così facendo i presunti difetti diventano minuzie all’interno di un mondo in cui a contare è solo la cinetica dei corpi, con la frammentazione spazio temporale e la convulsione delle immagini volte ad aumentare la percezione del ritmo irrefrenabile imposto alla narrazione.

A essere travolto dalla iperbolica costruzione della messinscena non è solo lo spettatore, ma anche ciò che resta delle interpretazioni attoriali, qui completamente svuotate di qualsiasi significato che non appartenga alle possibilità del corpo di adattarsi (anche grazie al sapiente uso degli effetti digitali) alla frenesia del girato e a una durata, dilatata al massimo delle possibilità per prolungare l’agone dei singoli combattimenti. Parlare di corpi invece che di persone è in questo caso non un vezzo critico, ma la realtà dei fatti (fumi, velocità d’azione e tipologia d’illuminazione concorrono a una vera e propria rarefazione dell’elemento umano), perché di Ryan Gosling in questo caso interessa quasi esclusivamente l’immaginario iconico (forgiato in maniera decisiva da Blade Runner 2049) e molto meno il talento d’attore. Alla stessa stregua è l’impiego della costar Chris Evans su cui però si riversa la curiosità dei fan, desiderosi – almeno loro – di vedere come se la cava l’attore americano nell’inusuale ruolo di Villain.

Conosciuti per aver diretto alcuni dei più celebrati blockbuster della Marvel i fratelli Russo, reduci da Cherry – Innocenza perduta ritornano sui loro passi lasciando perdere romanzo di formazione e tormenti giovanili per lasciarsi andare nell’ennesima corsa cinematografica in cui azione e ipertrofia motoria sono privilegiate alla ragione delle idee. Di sicuro per lo spettatore c’è il fatto di tagliare il traguardo assieme a loro. Più incerto è invece il piacere della partecipazione.


Carlo Cerofolini

(Recensione pubblicata su Taxidrivers.it)

giovedì, luglio 28, 2022

TOP GUN: MAVERICK

Top Gun: Maverick

di Joseph Kosinski

USA, 2022

genere: azione, avventura

durata: 131'

I numeri non bastano: il successo di Top Gun: Maverick dipende soprattutto dalla maturità di un divo capace di dialogare con lo spirito del proprio tempo. È proprio il caso di dirlo: Top Cruise.

Se per un attimo accettassimo di pensare al cinema come fanno gli americani, considerandolo prima di tutto un business e solo dopo un’opera d’arte, non avremmo dubbi sul fatto che Tom Cruise è ritornato a essere una star imprescindibile per il sistema hollywoodiano e in generale per il mercato cinematografico internazionale, l’unico in grado di vincere la dipendenza dalle piattaforme spingendo la gente a ritornare al cinema senza il bisogno di scomodare i super eroi della Marvel.

Se andiamo a leggere le classifiche di Mojo Box Office ci accorgiamo infatti che gli incassi mondiali di Top Gun: Maverick dettano legge, superando di molto quelli dell’ultimo campione partorito dalla casa delle idee ($1,123,502,890 rispetto ai $953,198,933 del Doctor Strange in the Multiverse of Madness).

Parliamo di numeri impressionanti – anche non considerando quelli riscontrati nel periodo pandemico – testimoni di un consenso, quello nei confronti di Top Gun: Maverick capace di andare oltre le semplici logiche commerciali.

La grandiosità del risultato del lungometraggio diretto da Joseph Kosinski non deve far dimenticare le caratteristiche di un’operazione costruita a tavolino, non senza tenere conto del mutamento politico e culturale di cui Cruise ha saputo beneficiare. Il primo segnale di un riconoscimento che prima di lui era toccato a gente del calibro di Martin Scorsese e Quentin Tarantino lo si era avuto nell’ultima edizione del festival di Cannes quando salendo i gradini del Palais Tom Cruise si avviava a ricevere il plauso dovuto ai grandi, con la presentazione in anteprima del suo film seguita dalla consueta e prestigiosa lezione di cinema.

Dopo le intemperanze pubbliche e private che ne avevano messo in forse la leadership Tom Cruise è riuscito dunque a ritrovare la strada maestra, costruendo un film capace di mettere d’accordo anche i suoi detrattori, quelli che a suo tempo vedevano in Top Gun e nel suo regista (Tony Scott) esempi della vitupera retorica imperialista e che oggi invece sono disposti ad apprezzarne le gesta in virtù di uno schieramento ideologico e politico alquanto mutato, in cui le parti si sono di molto avvicinate diventando per certi versi indistinguibili.

La convergenza critica nei confronti di Top Gun: Maverick trova un’ipotesi di corrispondenza nell’analogo geopolitico, sempre più polarizzato sull’amico americano e sull’andamento del conflitto ucraino e che per questo, mai come oggi, risulta pronto a fare il tifo per Maverik e i suoi allievi impegnati a salvarci dalla minaccia dello stato canaglia. Senza dimenticare che il film risulta quanto mai necessario alle ragioni di coloro i quali, non arrendendosi allo strapotere di Netflix e soci, trovano materia concreta per argomentare a favore del cinema più tradizionale, quello visto nel buio della sala.

Così facendo a essere più clemente è anche l’occhio critico, altrove scettico di fronte a prodotti che ripetono se stessi – anche Top Gun: Maverick lo è rispetto al suo illustre predecessore – e in questo caso pronto a lodare la capacità di coinvolgimento e la spettacolarità in precedenza non sufficienti a giustificarne la riuscita.

In realtà tutto è più semplice di quanto non si dica perché Top Gun Maverick altro non è che un prodotto mainstream capace di svolgere al meglio la sua funzione, facendo dello spirito del tempo il costrutto delle proprie storie.

Tom Cruise lo ha sempre saputo fare meglio di altri e la maturità anziché nuocergli ha portato in dote un surplus di resilienza in grado di trasformare gli inconvenienti (quello di non fare uscire il film nelle piattaforme aspettando la riapertura delle sale) in nuove occasioni.

A differenza della Marvel, impegnata a rispettare la coerenza interna ai suoi universi e fin troppo attestata sulla propria zona di confort. Come accaduto a Tom Cruise, anche per lei, l’auspicio è quello di ritornare con i piedi per terra perché a forza di guardare il cielo c’è il rischio di non riconoscere la vita quotidiana.


Carlo Cerofolini

(Recensione pubblicata su Taxidrivers.it)

giovedì, luglio 14, 2022

LA CENA PERFETTA

La cena perfetta

di Davide Minnella

con Salvatore Esposito, Greta Scarano, Gianluca Fru

Italia, 2022

genere: commedia

durata: 106’

Una simpatica commedia, quella di Davide Minnella che, pur sfruttando qualcosa di già visto e affrontato nella settima arte, riesce a divertire con i giusti ingredienti.

Si può creare una commedia intorno alla figura di un camorrista? Si può utilizzare ciò per far divertire e sorridere? Minnella sembra rispondere sì a questi interrogativi.

Al centro della storia c’è Salvatore Esposito, volto ormai noto proprio perché quello di personaggi legati al mondo della malavita, come il celebre Genny in “Gomorra”.

Esposito è Carmine, un camorrista che si ritrova, a causa della sua indole troppo buona, a gestire un ristorante per riciclare soldi sporchi. Viene, infatti, inviato a Roma per tenerlo lontano dagli affari più importanti e controllare meglio la situazione. Tutto sembrerebbe procedere normalmente se non fosse che Carmine inizia a interessarsi particolarmente all’attività del ristorante. Entra in contatto con Consuelo, un’autentica chef alla ricerca della perfezione in cucina, quella perfezione che le potrebbe consentire il raggiungimento di una stella Michelin. Carmine, ammaliato dalla cucina di Consuelo e intenzionato a riscattarsi per dimostrare di essere un uomo migliore di quello che gli altri pensano inizia a pensare in grande e a dare vita a un vero e proprio ristorante coi fiocchi. Ma non tutto, naturalmente, andrà come previsto…

Una simpatica commedia che si avvale in primis della bravura degli attori e, in secondo luogo, sfrutta tematiche attuali. Da una parte c’è il già visto mondo della camorra e della malavita in generale, un tema ampiamente sfruttato nel cinema, sia nel genere drammatico sia in quello più divertente. Dall’altra parte l’astuta idea di sfruttare la ristorazione e il cibo come focus attorno al quale ruotare la vicenda (e l’evoluzione dei personaggi). Un argomento di sempre maggiore interesse (basti pensare ai numerosi programmi di cucina che affollano quotidianamente il palinsesto televisivo) che diventa protagonista assoluto, in tutti i sensi. Non solo la preparazione dei piatti, ma anche le immagini che si susseguono sullo schermo mostrando le pietanze risultano veritiere e mai esagerate. E anche questo contribuisce a rendere apprezzabile il film.

“La cena perfetta” è quella che vorrebbe preparare Carmine, ma è anche la metafora di qualcosa di più grande. Utilizza la cena come pretesto, ma la crescita del ristorante è in realtà la sua stessa crescita come essere umano, che dovrebbe e potrebbe culminare proprio con una cena perfetta.

Alla calma e alla bontà di Carmine, tanto grosso quanto accomodante, fa da contraltare la “rabbia” di Consuelo (una convincente Greta Scarano), perennemente insoddisfatta e insicura di sé stessa, del suo lavoro e della sua vita. Ma non si possono non menzionare gli altri personaggi protagonisti in cucina, alla pari della coppia centrale. E soprattutto il divertente, e spesso fuori luogo, Rosario, interpretato da Gianluca Fru.


Veronica Ranocchi

venerdì, luglio 08, 2022

STRANGER THINGS 4 VOLUME 2

Stranger Things 4 volume 2

di Matt e Ross Duffer

con Winona Ryder, David Harbour, Millie Bobby Brown

USA, 2016-

4 stagioni, 32 episodi

La decisione dei fratelli Duffer di dividere il quarto capitolo della loro grande serie di successo in due parti, ha sicuramente contribuito a creare suspense e suscitare ancora più interesse nei numerosi fan di ogni età. Una curiosità che è stata ben ricompensata con quella che tutti considerano, a ragione, la miglior stagione, dopo la prima.

Chi non ha ancora visto la prima parte della quarta stagione potrebbe incappare in qualche spoiler proseguendo la lettura.

Con il volume 1 abbiamo lasciato i nostri giovani e giovanissimi eroi divisi in gruppi, con ognuno di questi intenzionato a eliminare il nemico comune ed eventualmente ricongiungersi.

Da una parte il nutrito e divertente gruppo formato dai “grandi” Steve, Nancy, Robin, il fuggitivo e nuovo pupillo del pubblico, Eddie e i più giovani Dustin, Lucas, Max ed Erica e dall’altra Mike e Will alla disperata ricerca di Undici, insieme a Jonathan e al suo amico Argyle. Il tutto mentre Joyce e Murray vogliono scoprire la verità su Hopper che sembra essere ancora vivo.

Al centro degli ultimi due episodi c’è, quindi, non solo la speranza di riuscire a eliminare il “cattivo” di turno, ma anche e soprattutto il tentativo di ricongiungersi.

Il piano messo in moto da ogni singolo gruppo è, come nella migliore delle tradizioni, pensato e realizzato in modo che ognuno contribuisca ad aiutare l’altro.

Parallelamente alla linea centrale, continuano a evolversi anche le evoluzioni di alcuni dei personaggi e determinate storyline prendono pieghe ben precise.

Il temibilissimo Vecna è il nemico giurato dei protagonisti che, lottando con le unghie e con i denti, provano a fare il possibile per rallentare la sua avanzata. Ma la lotta è condita con vari ingredienti, tra cui amicizia e amore, ma anche fiducia e coraggio. Se da una parte si consolidano vecchie e nuove amicizie, dall’altra parte fa capolino anche l’amore. Tra storie (forse) mai finite e amori (quasi) impossibili, i fratelli Duffer realizzano un vero e proprio gioiellino con questa quarta, sudatissima stagione.

Come già avuto modo di vedere e capire nel volume 1, la vera protagonista indiscussa dell’intera stagione è la musica, una musica che è un personaggio aggiunto del gruppo, in grado di agire, manifestarsi e creare delle dinamiche. Salva e distrugge, racchiudendo in sé almeno un elemento di ognuno dei personaggi. E grazie al grande successo sono tornate alla ribalta hit degli anni ’80 che, nel giro di pochissimi giorni, hanno conquistato anche il pubblico dei giovanissimi.

Come avvenuto per il volume 1, anche in questa seconda parte ciò che non convince appieno è proprio la divisione in gruppi, quasi “fazioni” che, solo inconsapevolmente, agiscono per il bene comune, ma che non riuscendo mai a comunicare direttamente, creano situazioni che avrebbero potuto avere molto più potenziale se “impiegate” insieme.

Non solo musiche e suoni, ma anche immagini e colori di un’incredibile potenza descrivono l’atmosfera più che straordinaria degna di uno dei prodotti di maggiore successo della piattaforma Netflix.

Una seconda parte all’altezza della prima che non ha tradito le aspettative e che non fa che alimentare interrogativi in vista della prossima super attesa quinta stagione per la quale ci auguriamo di non dover aspettare anni e anni.


Veronica Ranocchi