martedì, gennaio 23, 2007

L'arte del sogno

Di fronte a film come questo si resta spiazzati; regista di culto per aver definitivamente sdoganato Jim Carrey dai soliti film demenzial adolescenti Gondry ci riprova con un film che fa il verso al precedente approfondendo il rapporto tra sogno e realtà attraverso le vicissitudini esistenzial amorose del giovane protagonista che le circostanze della vita riportano a Parigi dopo una giovinezza vissuta oltre oceano. A differenza del suo predecessore questo appare più sfilacciato e casuale dal punto di vista della scrittura che fa fatica ad organizzarsi attorno al bagaglio visivo dell’autore come al solito ricco di spunti originali e qui arricchito da una serie di trovate che strizzano l’occhio alle stravaganze surrealiste ed alle pochade dadaiste; al secondo tentativo la riproposizione degli andirivieni dimensionali mostra la corda lasciando intravedere un vuoto di idee solo in parte supplita da una cifra stilistica che è tanto efficace nel breve schizzo impressionista quanto superflua e ridondante quando si sofferma ad approfondire e spiegare. Anche la vena poetica che fa il verso a Tatì per i riferimenti più divertenti ed a Vigò nei suoi aspetti più romantici e struggenti non riesce a togliere la sensazione di dejavù che pervade il film. Il cast interamente francese eccezion fatta per Garcia Bernal qui alle prese con un personaggio che avrebbe bisogno di ben altro carisma offre una recitazione tutto sommato dignitosa, ed evidenzia il fascino misterioso ed intrigante di Charlotte Gainsbourg.

giovedì, gennaio 04, 2007

Tutti gli uomini del re

Tutti gli uomini del re paga in termini di giudizio critico la presunzione del suo interprete principale, incapace di contenere una mania di onnipotenza che dopo l’Oscar è diventata addirittura autodistruttiva, come peraltro è nelle corde dell’attore. Il film si appesantisce con una recitazione tarantolata, e ben al di sopra dei limiti consentiti, con paresi facciali e tic nervosi più adatte ad un contesto ambulatoriale che al tono compassato ma sicuramente coerente del resto del cast. Forse tutta la foga incarnata dal personaggio di Sean Penn serve a mascherare i vuoti di una sceneggiatura che non riesce a spiegare la parabola politica ed emotiva delle parti in causa e si affida alle sensazioni che producono i paesaggi decadenti della Louisiana ed alla fascinazione ambigua e conturbante dei suoi cortigiani tra cui spicca un Jude Law ormai abbonato ad operazioni del genere e Kate Winslet in una parte che limita la sua sensuale bravura. Le indecisioni riguardano anche il tono generale dell’operazione che inizia come dramma politico , raccontando il personaggio di Willie Stark e la sua ascesa e successivamente se ne discosta lasciando che il melò prenda il sopravvento, quando approfondisce il passato ed i legami che uniscono i personaggi di contorno e le motivazioni peraltro risibili che li inducono a subire l’attrazione del politicante. Ed a ben vedere è proprio questo cambio di direzione che permette al film di trovare una certa coerenza con lo sforzo produttivo posto in essere: la nostalgia che si cela dietro i silenzi interminabili e gli sguardi frustrati dagli amori impossibili sullo sfondo di una natura magnifica ed imperturbabile riescono in parte a mitigare i danni provocati dal ciclone Sean Penn ed a rendere il film nel suo complesso meglio di quanto le premesse sembravano indicare.

Dopo il matrimonio

Dopo il matrimonio conferma la solidità di una regista che sa come unire i contenuti di una storia complessa e densa di significati con le logiche produttive di un cinema alla ricerca di visibilità. Come nel film precedente anche qui sono i rapporti famigliare a creare il cortocircuito che scuote un ambiente immobile e reazionario , dando il via ad una serie di reazioni a catena che cambieranno per sempre la vita dei protagonisti. Impostato su due tipi umani apparentemente distanti per ideali e modo di vivere, uno estremamente pragmatico ed uomo di successo, l’altro scostante ed ancora alla ricerca del senso della vita, il film trova il suo nucleo centrale nelle motivazioni che finiscono per unirli , facendogli scoprire priorità diverse da quelle che la vita gli aveva finora insegnato. Aiutata da un ambiente che da solo riesce a raffreddare un materiale magmatico ed altamente a rischio per gli argomenti trattati e la dose di emotività contenuta;dotata di una regia solida , che sfrutta la lezione “Dogmatica” in maniera funzionale e coerente con il senso di verità ricercata in ogni sequenza, la Bier riesce a tenere i fili dei tanti personaggi, anche di seconda linea, di cui disegna con coerenza psicologie e motivazioni e nello stesso tempo risponde con sicurezza ai continui scarti di una realtà fuori controllo. Il film riesce a tenersi lontano da facili moralismi anche quando non senza qualche lungaggine arriva ad affermare la necessità della famiglia come istituzione imprescindibile per l’equilibrio della propria esistenza e l’ineluttabilità con cui ogni proposito per il futuro non può fare a meno delle esperienze precedentemente vissute.