sabato, agosto 27, 2022

CRIMES OF THE FUTURE


Più che la nuova carne, il verbo che cerca di conoscerne il mistero. Con Crime of the Future David Cronenberg continua a raccontare Interzone ma questa volta la visione rimane in parte frenata dalla complessità della sua stratificazione. Cronenberg non smette di ricordarci dove ci sta portando la nostra ansia di immortalità. Nel farlo non inventa ma pesca a piene mani dal repertorio del proprio cinema. Una summa cinematografica più affascinate che bella. Viggo Mortensen Lea Seydoux e Kristen Stewart prestano le ombre dei loro corpi all’immaginario del regista canadese in un tripudio di emozioni intellettuali.


Carlo Cerofolini

NOPE

Nope

di Jordan Peele

con Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun

USA, 2022

genere: horror, fantascienza, thriller

durata: 130’

Forse sarebbe un errore definire “Nope” un horror a tutto tondo. Il lungometraggio realizzato da Jordan Peele è tante cose, non solo un horror. Regista legato al genere, ma comunque autore che cerca di raccontare anche altro oltre alla semplice storia. E non è scontato, anzi.

“Nope” inizia mostrando un avvenimento passato, precisamente del 1998. Siamo sul set di una sitcom (“Gordy’s Home”) e la scimmia protagonista, a seguito dell’esplosione improvvisa di un palloncino, ha una reazione violenta nei confronti degli attori presenti che attacca, ferendoli mortalmente. Il più piccolo, il giovanissimo Jupe, si nasconde sotto un tavolo e sta per riappacificarsi con l’animale quando le autorità fanno fuori la scimmia senza esitazioni.

Nel presente OJ e Em sono i due figli del proprietario di un ranch che addestra cavalli per produzioni cinematografiche, ma che rimane ferito mortalmente da una moneta caduta dal cielo che lo colpisce alla testa e all’occhio. I due cercano di fare il possibile per mantenere viva l’attività del padre, ma, a seguito di un incidente con un cavallo, vengono licenziati. Em sembra intenzionata ad andarsene per cercare fama e fortuna altrove, ma la notte prima il ranch viene colpito da un blackout e i cavalli iniziano a comportarsi in maniera anomala in reazione a una presenza sconosciuta.

Da quel momento tutto sembra cambiare per i due protagonisti che si intestardiscono nel voler, in tutti i modi, immortalare la “creatura aliena” a dimostrazione della sua esistenza.

Una sorta di fanta-horror è quello che Peele mette in piedi. Con maestria.

In due ore di film riesce a condensare generi, tematiche e riferimenti degni di uno dei più grandi cineasti.

Perché guardando il film da una prospettiva semplice e semplicistica si può apprezzare la scelta di aver fuso insieme, in modo convincente, horror, fantascienza e western, con tutti i pezzi del puzzle che combaciano tra loro. Ma con un’analisi più approfondita si scopre, in realtà, che c’è molto di più. Un universo di metacinema dove niente è lasciato al caso e tutto contribuisce a raccontare e diffondere la favola che è la settima arte. Da Em, imbonitrice quasi per caso, che racconta la presunta parentela di lei e del fratello con il fantino senza nome immortalato nella serie di fotografie “Sallie Gardner at a Gallop” di Eadweard Muybridge al direttore della fotografia che accetta di seguirli e di documentare la presenza con una macchina da presa manuale di sua invenzione. E sempre rimanendo sul suo personaggio, esso rappresenta, in qualche modo, anche un’umanità e una contemporaneità mai appagata, ma anzi che continua a cercare la perfezione o comunque la svolta in qualsiasi cosa. Il suo tentativo di immortalare la creatura aliena diventa metafora della realtà odierna, nella quale la ricerca nei confronti della versione più nuova, più bella e migliore è l’obiettivo principale.

Dal canto loro, anche OJ ed Em cercano di fare il possibile per dare un volto alla creatura e, per farlo, hanno bisogno di immortalarla, di fermare il suo aspetto e i suoi movimenti su qualcosa anche e soprattutto per far sì che sia qualcosa di credibile nei confronti degli altri. Il dover dimostrare sempre qualcosa e il dover far ricorso continuamente a prove concrete e tangibili è un aspetto caratteristico della realtà di oggi e che viene illustrato sapientemente da Peele nel suo lungometraggio.

Oltre a tutto questo non si può non citare la creazione del campo elettromagnetico da parte dei due fratelli che sembrano ricreare, indirettamente, la realizzazione di un vero e proprio film.

Accanto a un Daniel Kaluuya, ormai attore fondamentale per Peele, utilizzato quasi come una musa, che riesce sempre a rendere il mistero e la preoccupazione dei suoi personaggi coinvolti in situazioni al limite del reale, c’è sicuramente una Keke Palmer degna di nota che, non solo porta “burrasca” nella storia e nell’apparente quiete di OJ, ma dà anche un importante contributo nel portare avanti la ricerca.

Ai due protagonisti neri (elemento fondamentale nella filmografia del regista), Peele sceglie di accostare personaggi minori che, nonostante la minore apparizione e rilevanza ai fini della storia, riescono a dire la loro, come Brandon Perea e Steven Yeun. È davvero arrivata una sorta di svolta per l’horror con questo regista?


Veronica Ranocchi

venerdì, agosto 19, 2022

MINIONS 2 - COME GRU DIVENTA CATTIVISSIMO

Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo

di Kyle Balda, Brad Ableson, Jonathan del Val

USA, 2022

genere: animazione

durata: 87’

Uscito in anteprima per tre giorni, da adesso è nelle sale “Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo”, sequel del fortunato spin-off di “Cattivissimo me” che vede protagonisti i piccoli e simpatici aiutanti del “temibile” protagonista.

In questo film torniamo indietro nel tempo, più precisamente a quando Gru è ancora un bambino che va a scuola e sogna di diventare cattivo e unirsi ai Malefici 6 che, come suggerisce il nome, sono sei “spietati” personaggi. Quando i Malefici 6 si ritrovano in cinque e decidono di fare una sorta di colloquio per trovare un nuovo adepto, Gru naturalmente si presenta con grande entusiasmo e speranza. Purtroppo quest’ultima viene spenta dal responso dei cinque cattivi che cacciano malamente il povero Gru ritenuto troppo piccolo e non abbastanza cattivo. Questi, per dimostrare loro di essere, invece, all’altezza, li deruba di una preziosa pietra legata all’oroscopo cinese. Così facendo, però, diventa il principale bersaglio non solo dei cinque cattivi, ma anche del sesto, cacciato dalla banda per “vecchiaia”. Dovranno, quindi, intervenire i numerosi aiutanti gialli per dare una mano a Gru e tra viaggi, avventure, insegnamenti di kung fu, cercare di ristabilire l’ordine.

Un divertente film non solo per i più piccoli, ai quali è indirizzato, ma anche per tutti coloro che hanno apprezzato il protagonista di “Cattivissimo me” e si sono lasciati conquistare e travolgere dall’entusiasmo di questi esserini gialli.

Pur non parlando, ma pronunciando dei suoni che si intervallano a qualche parola di senso compiuto per permettere di capire l’argomento principale della discussione, i Minions riescono a tenere sulle proprie spalle l’intera vicenda. Anzi, i momenti in cui sono loro al centro della scena sono quelli più riusciti e più apprezzati.

Niente di particolarmente nuovo o eclatante dalla storia se non il fatto che è narrata “al contrario”, cioè dal punto di vista dei “cattivi”. Nonostante questo, l’intero film d’animazione riesce a intrattenere e a divertire con gag non troppo scontate e che, avendo al centro i Minions, funzionano più che bene.

Spazio anche per riflessioni che, seppur semplici, sono ormai parte integrante di film come questo e che aiutano a vedere alcune scelte in un certo modo.

Irriverenza e divertimento sono alla base del sequel dei Minions. Impossibile non citare la scena del “sabotaggio” aereo dove tre esserini gialli monopolizzano il mezzo mettendosi alla guida e pilotando nel peggior modo possibile.

Anche se il protagonista del film dal quale “nascono” è Gru, qui, come anche nel precedente film, sembra quasi fare da cornice a una storia che si sviluppa unicamente grazie e intorno ai Minions. Se Otto è il combinaguai per eccellenza, complice di aver creato quello che Gru definisce come un grandissimo problema, sono, poi, Bob, Kevin e Stuart a prendere le redini della situazione e a partire alla volta del proprio “piccolo capo”. Perché Gru e i Minions non possono stare divisi.


Veronica Ranocchi

lunedì, agosto 08, 2022

Aspettando Venezia79: IN BRUGES - LA COSCIENZA DELL'ASSASSINO

In Bruges – La coscienza dell’assassino

di Martin McDonagh

con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes

UK, USA, Belgio, 2008

genere: commedia, drammatico, gangster

durata: 107’

Primo lungometraggio di Martin McDonagh dopo il successo ottenuto con il cortometraggio che gli è valso anche la vittoria ai premi Oscar, “In Bruges” introduce il cineasta e la sua visione del mondo. Una visione “ibrida” che non è mai né completamente bianca né completamente nera. Risulta, infatti, difficile etichettare i film del regista britannico. Drammi? Commedie? Sono molteplici i generi che vanno a comporre le sue opere, “In Bruges” compreso.

Il film ha al centro due sicari, interpretati da Colin Farrell e Brendan Gleeson. I due, a seguito di un colpo andato male, vengono spediti dal proprio capo Harry (Ralph Fiennes) nella cittadina di Bruges. Il temibile Harry, che conosciamo davvero soltanto a metà film, dal momento che all’inizio si conosce tramite “indizi” e sotterfugi (come la telefonata, per esempio), è innamorato della città belga nella quale, a detta sua, ci si può riposare e rilassare in tutta tranquillità. La pace del luogo risulta, quindi, in contrasto con la “coscienza” dei due sicari e di Harry stesso.

Ma il modo di narrare la storia permette al pubblico di entrare in sintonia con i personaggi a tal punto da vedere la realtà come la vedono loro e, quindi, in maniera quasi distorta.

L’errore compiuto da uno dei due sicari nel precedente compito è irrimediabile e tremendo. Nell’omicidio commissionato loro ha perso la vita, per sbaglio, anche un bambino. Per questo il personaggio interpretato da Colin Farrell deve inevitabilmente riflettere e cercare di trovare una sorta di catarsi a Bruges, in attesa di nuove disposizioni dal temibile capo. Qui, però, a colpire il giovane è uno stato di indifferenza nei confronti del mondo, della vita e delle altre persone. A nulla valgono i discorsi pseudo motivazionali del “collega” che cerca di fare il possibile per rimetterlo in carreggiata.

La svolta, però, avviene quando il capo telefona con il compito successivo. Da quel momento la vita dei due sicari cambia completamente e le dinamiche tra i due si evolvono in maniera tragicomica. Talmente tragicomica da far entrare in azione anche lo stesso Harry.

“In Bruges” è denso di situazioni e dialoghi che inevitabilmente suscitano risate nello spettatore che, nonostante questo, resta col fiato sospeso per tutta la durata del film, in attesa di un epilogo per nulla scontato.

Facendosi aiutare dalla svolta più strettamente legata al black humour (che non va mai sopra le righe, naturalmente considerando la situazione), McDonagh suscita nel pubblico riflessioni non troppo banali e scontate. Una su tutte l’importante della vita e della morte e la concezione delle stesse.

Oltre a questo c’è da considerare anche l’abile strategia con la quale il regista contrappone due modi di vedere e di pensare. Erroneamente si potrebbe pensare che l’autore metta in contrapposizione la visione del mondo di Harry con quella dei due killer, oppure addirittura quella dei due sicari stessi che, per ovvie ragioni, hanno idee e concezioni diverse. Erroneamente, appunto. Perché il modo di far riflettere è ancora più nascosto e camuffato. McDonagh si fa aiutare dal paesaggio, da ciò che lo circonda e anche dalle persone/comparse che sembrano essere solo e soltanto di passaggio, ma che in realtà sono lì per uno scopo. La famiglia “grassa e cicciona”, come lo stesso Farrell sottolinea rappresenta una visione ben precisa: quella dell’America vista dal resto del mondo, turista, menefreghista e che punta solo sull’apparenza, così come il nano e il canadese. A fare da contraltare a questa visione non c’è solo Bruges, in quanto luogo ameno, calmo e tranquillo, ma c’è tutto quello che, indirettamente e silenziosamente, la città mostra, come chiese, musei, strade. Due visioni contrapposte che, però, in qualche modo, tentato di coesistere tra loro. E lo fanno attraverso le figure dei due protagonisti.

Non solo Colin Farrell (vincitore anche di un Golden Globe come miglior attore) e Brendan Gleeson, entrambi pronti a tornare nel prossimo film in concorso nel 2022, ma anche un Ralph Fiennes in splendida forma, contribuiscono a “dare il via” a un regista che, con alcune mescolanze, ha ormai creato un genere tutto “suo”.


Veronica Ranocchi

venerdì, agosto 05, 2022

Aspettando Venezia79: AMORES PERROS

Amores Perros

di Alejandro G. Inarritu

con Gael Garcia Bernal, Alvaro Guerrero, Goya Toledo

Messico, 2000

genere: drammatico

durata: 153’

Primo lungometraggio di Alejandro G. Inarritu (e primo film della trilogia della morte), “Amores Perros” anticipa già l’impronta che la filmografia del regista messicano avrà poi successivamente.

Un tono e un carattere della narrazione facilmente riscontrabile in tutti i suoi film.

Tre capitoli che si intrecciano perfettamente e inconsapevolmente tra loro. Tre storie che, in apparenza, sembrano distanti, ma che in realtà hanno molti punti in comune.

Da una parte ci sono Octavio e Susana. Octavio vive in casa con la madre, il fratello Ramiro e la compagna di quest’ultimo. Con lei nasce una sorta di legame incentivato dai modi bruschi con i quali Ramiro tratta la compagna dalla quale ha un figlio. Octavio vorrebbe scappare con la donna, ma non ha denaro a sufficienza. Per questo decide di far combattere il proprio cane, fisicamente molto forte, in degli scontri clandestini che gli valgono, però, molto denaro.

Nel secondo capitolo i protagonisti sono Daniel e Valeria. Lei, una modella molto legata al proprio cagnolino. Lui, il suo compagno appena separatosi dalla moglie. I due vanno a vivere insieme, ma a seguito di un incidente stradale, la vita di Valeria cambierà radicalmente e, con essa, anche il rapporto tra lei e Daniel.

Nel terzo e ultimo capitolo al centro della scena c’è un sicario, El Chivo, un ex guerrigliero che vive insieme a dei cani in un quartiere malfamato della città. Gli viene chiesto di uccidere un uomo su ordine del fratellastro, ma come porterà a termine la missione?

I tre capitoli, così descritti, sono apparentemente scollegati tra loro. Ma in realtà si intersecano a causa di un incidente automobilistico mostrato nella sequenza iniziale e poi ripreso e mostrato sotto prospettive sempre diverse.

Ma l’incidente non è l’unico tratto comune alle tre storie. Quello che le collega è anche un altro elemento. Sicuramente quello della morte, che rimanda quindi alla trilogia di cui “Amores Perros” è, in qualche modo, la genesi. Ma a farla da padrona è anche e soprattutto la perdita. Ognuno dei protagonisti dei capitoli subisce una perdita, più o meno evidente, più o meno importante, più o meno radicale. Ma comunque una perdita che li cambierà profondamente. E non si tratta necessariamente di una perdita fisica. Inarritu vuole far riflettere lo spettatore sulla sensazione che ognuno di noi prova nel momento in cui si ritrova senza qualcosa o qualcuno. Un’analisi che si insinua nella mente dei personaggi e, con loro, nella mente dello spettatore. Attraverso tre storie così lontane, diverse ed estranee tra loro, si entra in relazione con il modo di pensare e di agire.

Altro elemento sul quale il regista messicano cerca di attirare l’attenzione è la doppia natura dell’uomo. Anche in questo caso ognuno dei personaggi coinvolti negli avvenimenti dei vari capitoli è come se si trasformasse nel momento in cui succede qualcosa nella vita che dà una svolta alla “classica” routine. Una doppia natura ben espressa dal titolo che il regista sceglie per il suo lungometraggio dove l’amore, in qualsiasi sua forma e accezione, è quel qualcosa che muove l’individuo, mentre “perros”, che in spagnolo significa cani, rimanda all’idea che la natura umana sia, in qualche modo, legata a quella dei cani. E, infatti, non è un caso che il cane sia una figura ricorrente e ben presente nei vari capitoli.

Un inizio importante per un regista che ha continuato e continua a raccontare la sua realtà dal suo punto di vista unico.


Veronica Ranocchi