Quarry
di Greg Yaitanes
scritto da G.Gordy e M.D.Fuller a partire dai romanzi di M.Allan Collins.
con Logan Marshall-Green, Jodi Balfour, Damon Herriman, Peter Mullan, Edoardo Ballerini, Nikki Amuka Bird.
Stagione I
ep. I/VIII
USA 2016
durata, 475’
Now my heart's drowned in no love streams
- Cream -
Da una palude all'altra, da una giungla all'altra con, in mezzo, brevi interludi acquatici (una piscina costruita con le proprie mani; un'altra da riparare per allentare la tensione della fuga; la sponda di un fiume per occultare un cadavere; nuotare fino a sfinirsi, et...) a negare - nell'isolamento muto offerto da un elemento estraneo, nell'illusione/allucinazione di una purificazione rigenerante - la perentorietà arcigna della materia, fatta perlopiù di determinismi implacabili tenuti insieme dalle geometrie del denaro. Paralleli elementari, dunque, analogie evidenti: lo stesso suggestioni persuasive, ancor più se spogliate di quegli orpelli retorici, delle tentazioni d'autocommiserazione qua e là presenti nel sempre più metaforicamente ingombrante parente stretto del Cinema bellico, ossia quello con al centro il redux/reduce, inviso déraciné moderno, scampato per resistenza strenua o per sorte alla roulette delle trincee e riconsegnato - straniero in patria e abraso nello spirito - ad un meccanismo, la sedicente vita civile, i cui rapporti di forza, le dinamiche profonde, le reiterate e immemori scelleratezze, traslano sul piano psicologico e affettivo ciò che la guerra esige (e infligge), nel vortice nero delle sue immani crudezze, innanzitutto sul corpo.
Quando il sgt. dello USMC Mac Conway/L.Marshall-Green mette il suo corpo, minuto e smunto, a contatto col suolo amico di Memphis, contea di Shelby, stato del Tennessee, dopo due turni al fronte, ad imperversare c'è la campagna presidenziale del '72 tra Nixon e McGovern e più d'appresso un nutrito stuolo di dimostranti che gli rinfaccia (a lui e all'amico e commilitone cap. A.Salomon/J.Hector) la partecipazione ad un massacro consumatosi presso il villaggio di Quan Thang (restituito in un’eloquente, vivida sequenza), località del Vietnam centrale non distante da Da Nang e Hue, luoghi storici del conflitto. Non bastasse, il reinserimento complicato e privo di prospettive si ammanta presto di una spessa coltre di disincanto e ulteriore disgusto - ingredienti inefficaci, questi, per continuare a lavare a secco certi sgradevoli andirivieni della coscienza o armonizzare lo strano sottofondo esoterico che accompagna giorni in apparenza riguadagnati - spingendo Mac a barcamenarsi tra gli estremi senza sbocco della medesima morte sociale: da un lato, l’emarginazione (vieppiù esasperata dal ménage riallacciato con la moglie giornalista Joni/J.Balfour, tipo sensuale e tutt'altro che remissivo); dall’altro, il crimine, qui nella versione aplomb-distinto-e-sardonica-cattiveria cui conferisce spessore un elusivo Broker o Intermediario (il sempre strepitoso P.Mullan), reclutatore di personale per compiti di ripulitura ["Ci vuole un certo tipo di uomo per fare certe cose. Un uomo arido, svuotato, come una pietra. Come una cava" (quarry, appunto)], nonché capobranco d'un variegato assortimento di sicari: il sarcastico Karl/E.Ballerini, in primis, spietato tuttofare, e il non meno deciso omosessuale Sebastian detto Buddy/D.Herriman ("Se solo si rendessero conto del vuoto che hanno dentro, si ammazzerebbero da soli, risparmiandoci tempo e fatica”), alla bisogna pronto a tornare a casa dalla madre Naomi/A.Dowd, di suo patita di Elvis e lesta a metter mano, tra un drink e una sutura a rabberciare gl'inconvenienti del mestiere del figlio, agli album dei ricordi...
Adattando i romanzi di M.Allan Collins, gli sceneggiatori Gordy e Fuller e il regista Yaitanes imbastiscono attorno alla figura attonita e smarrita di Mac lo schema della trama di un mondo cupo, slabbrato, sotterraneamente rancoroso e violento - gli USA agli albori dei '70, storditi dagli echi sempre più distorti relativi agli orrori della guerra, quanto frustrati e delusi dal progressivo disfacimento degli ideali ottimisti e libertari issati a vessillo di un'intera generazione nemmeno un decennio prima - assuefatto o rassegnato a quell'inerzia brutale e distratta sottoprodotto tipico della desolazione provinciale vellicata a razioni doppie di progetti d'espansione falliti, promesse di abbondanza solo propagandate, speculazioni al contempo spericolate e catastrofiche. Mondo, a ben vedere, giunto pressoché intatti fino a noi, come testimonia - ed è solo un esempio - l'occhio di registi del genere di J.Nichols, Gordon Green e, per taluni aspetti, Van Sant e Korine, cantori più o meno tragici di quell'altra America, marginale, diffidente, in gran parte proletaria, che scruta e subisce sgomenta le trasformazioni di un paesaggio fisico, emotivo e morale del quale oramai stenta a riconoscere persino i tratti più ordinari e le ripercussioni delle cui frenetiche pulsioni interne vede giorno dopo giorno dilagare in ciò che resta di più vicino e caro.
Impasti cromatici di tonalità terrose permeate dal lucore senza indulgenza di un sole perennemente stanco; misurati piani sequenza a tallonare o anticipare le svolte di un quotidiano in cui ad affannose rincorse contro il tempo, a fugaci tregue di tenerezza stranita, s’alternano squarci d’una efferatezza fulminea, istintiva, quasi iperrealista, nella glaciale concretezza delle sue conseguenze; primi piani insistiti e indagatori dell’ambiente esterno (un Tennessee ancora in lotta per conservare quel poco del proprio passato rurale che non sia la mera recrudescenza di trascorsi razzisti, eppure già irriso dalle promesse mancate di un’industrializzazione precocemente derubricatasi ad archeologia del progresso, a stupido artificio linguistico) e di quello interiore (in prevalenza gli occhi: quelli sgranati e fissi di Mac, in particolare, quelli d’un cavallo assediato dal fuoco. Occhi che generano uno sguardo liquido, ora febbrilmente vigile, ora sinistramente assorto, lo sguardo a 10000 iarde - simile, come si diceva, a quello di “uno a cui non resta che provare a leggere le crepe dell’asfalto” - che integra in pianta stabile il corredo comportamentale del marine almeno dalla Seconda Guerra Mondiale in poi e che nel conflitto del Sud-Est Asiatico trova forse la sua più indifesa e grottesca epitome, come sottolinea anche M.Herr in una delle sue puntuali note dal fronte: La colpa era degli occhi: perché erano sempre tirati o spenti o semplicemente assenti, non c’entravano mai niente con ciò che faceva il resto del viso, e questo conferiva a tutti quanti un’aria di estrema stanchezza oppure di balenante follia… Questo marine, per esempio, sorrideva sempre. Era il tipo di sorriso che sconfina facilmente nei risolini acuti, ma i suoi occhi non mostravano né divertimento né imbarazzo né nervosismo - M.Herr, Dispatches -); un sapiente uso del silenzio come rumore presago; la minuziosa ricostruzione scenografica [berline sinuose e pick-up sgangherati, shorts alti sulle cosce, camicie dai colli e dai colori improbabili, LP in vinile per giradischi inscatolati dentro mobili a misura, flipper, tostapane con levette a timer, sveglie rettangolari a cifre bianche su sfondo nero a scandire il tempo tipo tessere del domino. E televisori in b/n a schermo spesso e bombato, bianchi frigoriferi tarchiati, sigarette ovunque e acconciature femminili vaporose, qualche anno dopo riportate in voga in versione sbarazzina da K.Pierson e C.Wilson dei B52’s (a pensarci, Private Idaho data 1980 e ironizza attorno a un tizio alle prese con le insidie nascoste - neanche a farlo apposta - in una piscina: Beware of the pool/Blue bottomless pool…/Blind you to the awful surprise/That’s been waiting for you at/the bottom of the bottomless blue, blue, blue pool…)], fotografano l’intenzione implicita di un modello in teoria pronto al passo decisivo verso la definitiva integrazione orizzontale - quella dei consumi - in realtà condannato proprio dai presupposti su cui si fonda alla moltiplicazione esponenziale dell’esclusione e dell’amarezza, scorie ineliminabili di un benessere edificato sulla più rigida delle compartimentazioni di censo, e scandiscono, su scala individuale, il mesto pellegrinaggio di Mac tra le spire di logiche, scambi e rapporti che di fondo, a dire in relazione all’umanità del singolo, non hanno più senso (“Deve essere qualcosa che ha senso, un significato”, riflette a voce alta l’ex marine scegliendo un souvenir da portare alla moglie come simbolo potenzialmente in grado di segnare un crinale tra due stagioni della vita), non lasciano niente, mai, a nessuno, non offrono nulla, se non la ripetizione di sé stessi a mo’ di riflesso condizionato volto a rendere praticabile la perpetuazione di una serie infinita e intercambiabile d’interazioni anonime, in genere errori idioti e non di rado irrecuperabili, fedi mal riposte, miserabili grettezze.
Di fronte a tale teorema atroce Mac - già per proprio conto orfano di variazioni adeguate o scaltre ad un personale mandala esistenziale virato su tinte fosche o comunque poco distensive (“Sono tornato in Vietnam perché pensavo che miei compagni avessero bisogno di me. Quest’idea mi dava uno straccio d’identità. Qui non ero niente, la mia vita non andava da nessuna parte”) - si trascina, quasi suo malgrado, dibattendosi tra l’anelito mai del tutto sopito per quanto ingenuo ad una piccola-vita-nuova e la feroce impellenza del sangue e del denaro, come se per strappare un brandello d’autenticità all’indolente dispersione dei giorni non restasse che disporsi a uccidere e a morire un’altra volta, e ancora e ancora…
[Colonna sonora croccante. Fra i tanti: W.Pickett, O.Redding, W.Becker/D.Fagen, T.J.White, Big Star, Uriah Heep, W.Jannings, Roxy Music, The Soul Stirrers, C.T.King, T-Rex, A.Green, Blue Öyster Cult, Spirit of Memphis Quartet].
TFK