giovedì, novembre 26, 2009

La prima linea

Abituato a circumnavigare il cuore del problema con espedienti rafforzatisi attraverso anni di frequentazioni virtuali e biecamente sospinti verso verità che confermino gli a priori di partenza, lo spettatore assiste alla visione di 'La prima Linea' di Renato De Maria, convinto di trovarsi di fronte ad un film disposto a fare i conti con un pezzo di Storia italiana, la cui ricostruzione è stata di volta in volta complicata, e direi, ostacolata da reticenze di ordine politico ed anche psicologico. Ed è probabile che negli intenti del regista la vicenda della famigerata coppia di assassini doveva assumere un valore paradigmatico rispetto al fallimento di una generazione, che a cavallo degli anni '70 credeva di cambiare il sistema attraverso la lotta armata e senza rendersene conto, si sostituì ai carnefici che cercava di combattere: d’altronde Sergio Segio e Susanna Ronconi furono come gli altri 'compagni di lotta' il prodotto di quell'illusione sessantottina che dopo anni di amore libero e sogni lisergici si trovò ad affrontare gli altiforni delle fabbriche e le regole del capitale.
Le occupazioni e le riunioni sindacali, i cortei per protestare contro condizioni di lavoro improponibili e poi, improvvisamente l’escalation che diede il via alla stagioni delle stragi di stato: Piazza Fontana, il treno Italicus ed altri eventi luttuosi sono i segni di un imbarbarimento al quale viene fatta risalire il primo cambiamento, quello che portò molti giovani a preferire l’eversione e successivamente il terrorismo, per rispondere ad una “strategia della tensione” organizzata dallo stato, con la connivenza dei servizi segreti.

Il film parte proprio da qui, ed attraverso immagini di repertorio ricostruisce il clima politico e sociale che fa da sfondo alla vicenda.
Segio, lo racconta e si racconta dall’interno della prigione dove è stato appena tradotto, attraverso un espediente che gli permette di guardare all’intera vicenda con la disillusione di chi sa di raccontare una sconfitta senza nessuna possibilità di redenzione.
Una scansione temporale dominata dall’avvincendarsi degli eventi - l’incontro con la compagna di una vita, l’omicidio del giudice Alessandrini e quello di un membro della banda, la decisione di fuoriuscire dall’organizzazione e la liberazione della Ronconi dal - e dal solco di una colpa che diventa così profonda da offuscare le ragioni che l’hanno generata.
Un vuoto esistenziale costruito sui volti dei protagonisti, pallidi e svuotati, sui movimenti della macchina da presa, come frenati dalla mestizia che avvolge la storia, su una geografia urbana che diventa sempre più anonima e trascolora nelle forme di un paesaggio naturale privo di punti di riferimento, perfetto contraltare di una gioventù che si è smarrita.
Eppure questa compattezza finisce per saturare i motivi di un operazione che finisce per ribadire le cose di sempre e non fa un passo in avanti verso la comprensione del problema: alla condanna iniziale, chiara ed inequivocabile (e d’altronde come potrebbe essere altrimenti) non riesce a seguire un analisi sui perché di una tale degenerazione: i germi di un malessere che ha contaminato la compagine sociale, i partiti e lo stato, il filo doppio che univa le frange più estremiste ai movimenti sindacali e le ingerenze di una classe politica che sapeva più di quanto voleva lasciava intendere rimangono domande senza risposta. 'Sergio' ed i suoi compagni sembrano fare tutto da soli, schegge impazzite sfuggite al controllo e condannate dal loro stesso comportamento ad una fine già scritta. Un po’troppo poco per chiunque voglia affrontare il terrorismo e gli Anni di Piombo con la voglia di rompere il muro di omertà che circonda quegli anni ed invece si ostina a riproporre un 'Esistenzialismo' fatto di vestiti sdruciti e capelli mai lavati, di parole abbozzate e silenzi siderali.

Dopo la fantapolitica di Martinelli e le soluzioni oniriche di Bellocchio, tra film ancora inediti e progetti rimasti in nuce il cinema italiano rispetto a questo argomento è rimasto ancora fermo a 'Colpire al cuore' di Gianni Amelio che è datato 1982. Quanto dobbiamo ancora aspettare?

Film in sala dal 27 novembre

500 giorni insieme
( (500) Days of Summer )
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Mark Webb

Cado dalle nubi
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Gennaro Nunziante

Dorian Gray
( Dorian Gray )
GENERE: Drammatico, Horror
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Gran Bretagna
REGIA: Oliver Parker

Francesca
( Francesca )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Romania
REGIA: Bobby Paunescu

La dura verità
( The Ugly Truth )
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Robert Luketic

Meno male che ci sei
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Luis Prieto

Senza amore
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2007
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Renato Giordano

Triage
( Triage )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Belgio, Irlanda
REGIA: Danis Tanovic

mercoledì, novembre 25, 2009

Tetro - Segreti di Famiglia

Tetro - Segreti di Famiglia
di F. F. Coppola


L'acerbo e ingenuo diciottenne Bennie (un implume ed espressivo Alden Ehrenreich, molto somigliante a leonardo di caprio dei tempi di mr. grape), si reca a Buenos Aires per cercare il fratello maggiore Angel (Vincent Gallo), scomparso come nel nulla da molti anni, in fuga dalla famiglia e che ha giurato di non vedere piu' nessuno dei suoi parenti, in particolare il padre Carlo (Klaus Maria Brandauer), dalla personalità impetuosa ed ingombrante.
La loro è una famiglia di emigranti italoargentini che, a causa del lavoro del padre, acclamato direttore d'orchestra, si è trasferita a New York da molto tempo. Quando Bennie ritrova il fratello ne scopre il talento poetico e drammaturgico. Angel è ora Tetro, poeta dannato, consumato sui propri ricordi, arroccato in una rabbia primordiale che da tempo gli strizza le viscere. Tetro, un Vincent Gallo strepitoso, si nasconde da un passato che non riesce a metabolizzare scontrandosi, per assurdo, con un presente in cui non riece ad espimere completamente se stesso.
Bennie scopre che il fratello è molto diverso da come si aspettava ma decide ugualmente di vivere con lui e con la sua fidanzata Miranda (Maribel Verdú), una paziente e amorevole presenza che saprà aiutare a sciogliere i molti nodi che bloccano i due fratelli. L'arrivo di Bennie scatenerà una serie di eventi che condurranno all'insolito epilogo.
Girato quasi completamente in un bianco e nero scintillante (del magistrale romeno Mihai Malamaire jr) che scolpisce le figure in scena come un michelangelo modellerebbe il marmo, e che rende omaggio a gran parte del cinema americano anni '40 e del neorealismo italiano, Tetro, infelicemente tradotto in Italia con uno sciapo Segreti di famiglia, mette in scena l'ennesimo dramma famigliare con toni grevi e soventi eccessi di stile, circondato da uno sguardo di autocompiacimento estatico che, purtroppo, conduce Coppola al piano dell'esagerazione vacua.
Coppola solca ancora una volta il tema del conflitto tra figli e padri, della famiglia culla di successi ed incomprensioni, rivisitando senza troppe idee la tragedia famiglaire nella sua più classica delle visioni.
Se all'inizio si strizza l'occhio a Rusty il selvaggio, ben presto il film si abbandona a derive malinconiche.
Lo script offre una narrazione fluida nel complesso ma mancante di quell'originalità che avrebbe potuto dare al prodotto finale: la passione e il coinvolgimento, di cui si avverte la mancanza, non trasudano dai personaggi, dal dramma posto in essere. Tutto si consuma coi ritmi sterili ed ossessivi del rancoroso Tetro e con l'ansia della ricerca della verità del giovane Bennie, sospesi su espedienti narrativi già visti.
Coppola raggiunge la perfezione stilistica e tecnica, perdendo però colpi nello sviluppo dei personaggi e del dramma, che sulle ultime note cade ingloriosamente nel melò. Gli intrecci tra passato e presente reggono, seppure in modo posticcio, una storia il cui pretesto pare essere quello di riproporre, in uno stile felliniano, l'esposizione del ricordo e del sogno.
L'ottimo contributo degli attori, tutti molto adatti per le parti assegnate e dalla partecipazione che va oltre il definibile nel trattamento, non sembra bastarci per credere completamente in questo prodotto targato American Zoetrope e che restituisce Coppola al cinema indipendente.
Gli eisodi legati ai ricordi e ai sogni sono incastonati nella trama con sequenze a colori, dai toni caldi ed avvolgenti. La parziale elaborazione del coflitto e de lutto lasciano l'amaro senso di incompiuto in bocca. Ed il finale arriva troppo presto, pur dopo due ore di film, a risolvere in modo affrettato le faccende di famiglia.
Il cameo di Carmen Maura sembra più un omaggio al cinema che altro, come fosse una Liz Taylor oppure una Stefania Sandrelli in terra Agrgentina. Purtroppo non si discosta da questo: Alone, la produttrice/critica teatrale che interpreta, non viene sviluppata, galleggia come una zattera abbandonata nel flusso della storia.

lunedì, novembre 23, 2009

Torino film festival 2009: i film premiati

Ecco la lista dei vincitori del Torino Film Festival 2009:

Miglior film
La bocca del lupo, regia di Pietro Marcello

Premio speciale della Giuria (ex aequo)
Crackie, regia di Sherry White
Guy and Madeline on a Park Bench, regia di Damien Chazelle

Miglior sceneggiatura - Premio Invito alla Scuola Holden
Calin Peter Netzer - Medalia de onoare - Medal of Honor

Miglior attore (ex aequo)
Robert Duvall - Get Low
Bill Murray - Get Low

Miglior attrice
Catalina Saavedra - La Nana - The Maid

Miglior documentario italiano
Valentina Postika in attesa di partire, regia di Caterina Carone

Italiana.DOC - Premio speciale della giuria (ex aequo)
Corde, regia di Marcello Sannino
The Cambodian Room - Situations with Antoine D'Agata, regia di Tommaso Lusena e Giuseppe Schillaci

Italiana.DOC - Menzione speciale
Je suis Simone (La condition ouvrière), regia di Fabrizio Ferraro

Premio Cult - Il cinema della realtà
Oil City Confidential, regia di Julien Temple

Premio Cipputi - Miglior film sul mondo del lavoro
Baseco Bakal Boys, regia di Ralston Jover

Premio Cult - Menzione speciale
45365, regia di Bill Ross e Turner Ross

Premio FIPRESCI
La bocca del lupo, regia di Pietro Marcello

Premio del pubblico Achille Valdata per il miglior film
Medalia de onoare - Medal of Honor, regia di Calin Peter Netzer

Premio UCCA - Venti Città
Magari le cose cambiano, regia di Andrea Segrè

Premio Maurizio Collino per il miglior film su temi giovanili
Welcome, regia di Philippe Lioret


Ringrazio molto 'cinema e viaggi'. per le preziose e tempestive info

venerdì, novembre 20, 2009

Coppola e il cinema Italiano

"Ho visto Gomorra ed è stata una brutta esperienza, è un film troppo duro, anche se molto ben recitato".

È secco il giudizio di Francis Ford Coppola, riportato dal quotidiano di informazione cinematografica on line Cinecittà News.
...
"Il Divo, che non ho visto, e Gomorra sono un po' poco per parlare di rinascita – prosegue Coppola - Specie se confrontati con i film di Rosi, Rossellini, Monicelli, Antonioni, Dino Risi e Nanni Loy. Il vostro problema sono i maschi italiani, padri che non mollano l'osso, che vogliono tutte le donne e tutta la fama per se stessi e ai figli lasciano le briciole. Per i giovani non ci sono abbastanza opportunità, anche nel cinema"

Francis Ford Coppola in questi giorni è a Torino, al 27° TFF, ospite di Gianni Amelio, per una due giorni cinematografica intensa, durante la quale ha presentato, in anteprima al pubblico italiano, la sua ultima fatica, Segreti di famiglia, già visto a Cannes 2009.


Cosa ne pensate dell'opinione di F. F. Coppola sul cinema attuale italiano?



Leggi tutto l'articolo de L'Unita' da cui ho tratto il post:
Coppola: "Gomorra è stata una brutta esperienza", di Gabriella Gallozzi, l'Unità, 19 novembre 2009.


giovedì, novembre 19, 2009

Film in sala dal 20 novembre

Twilight Saga : New Moon
( The Twilight Saga: New Moon )
GENERE: Horror, Thriller, Fantasy, Sentimentale
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Chris Weitz

Ce n'è per tutti
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Luciano Melchionna

Francesca
( Francesca )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Romania
REGIA: Bobby Paunescu

Planet 51
( Planet 51 )
GENERE: Animazione
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Spagna, Gran Bretagna
REGIA: Javier Abad, Jorge Blanco

Segreti di famiglia
( Tetro )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Argentina, USA
REGIA: Francis Ford Coppola

Valentino: The Last Emperor
( Valentino: The Last Emperor )
GENERE: Documentario
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Matt Tyrnauer

giovedì, novembre 12, 2009

Film in sala dal 13 novembre

2012
( 2012 )
GENERE: Fantascienza, Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Canada, USA
REGIA: Roland Emmerich

Gli abbracci spezzati
( Los Abrazos Rotos )
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Spagna
REGIA: Pedro Almodóvar

Good Morning, Aman
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Claudio Noce

Il viaggio di Jeanne
( Les grandes personnes )
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Francia, Svezia
REGIA: Anna Novion

Un alibi perfetto
( Beyond a reasonable doubt )
GENERE: Drammatico, Giallo, Thriller, Noir
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Peter Hyams

27 TFF - Torino Film Festival
a Torino dal 13 al 22 novembre.
cinema: Ambrosio, Massimo, Greenwich, Nazionale

LO SPAZIO BIANCO

Dopo aver lavato i panni sporchi di un Italia corrotta ed in crisi di valori, Francesca Comencini torna a raccontare la vita quotidiana attraverso l’esperienza di Maria, single quarantenne costretta ad affrontare le conseguenze di un parto prematuro e le incognite legate alle precarie condizioni del nascituro. L’evento, accolto sulle prime con rassegnata accettazione si trasforma per fasi successive in una sorta di confronto tra le aspirazioni di una personalità ai limiti della nevrosi e le responsabilità di un maternità complicata dall’incerto futuro del bambino, tenuto in vita dalla speranza della madre e, paradossalmente, dalla mancanza di risposte dell’apparato medicale.

zL’attesa per lo scioglimento della prognosi diventa il tempo di una seconda gestazione, la palingenesi di una donna che ritrova se stessa attraverso il confronto con quella parte di sé che aveva sempre negato - esemplare in questo senso la scena in cui dopo aver fatto l’amore Maria, nuda e con la sigaretta in mano, osserva con sguardo distante il bambino del suo amante- e la possibilità di una condivisione senza merce di scambio, attuata sulla base di una condizione in cui il bisogno di solidarietà è più forte delle differenze sociali. La Comencini privilegia la dimensione personale della vicenda immergendo lo spettatore nell’universo emozionale della protagonista: la storia procede in un unicum in cui presente e passato, omissioni e disvelamenti si confondono sullo sfondo di un paesaggio che non riesce mai a diventare completamente reale ma è sempre il risultato di uno stato d’animo o la reazione ad una situazione contingente. Una rappresentazione che diventa onirica nelle scene più belle, quelle dedicate al primo contatto tra la madre ed il figlio, avvenuto in un ospedale che la fotografia di Bigazzi trasforma in un non luogo dai contorni sfumati di bianco e dove le figure diventano il riflesso della loro essenza. Un lavoro di sottrazione a cui poco si addicono le improvvise (e molto forzate) aperture verso la realtà del paese, di volta in volta rappresentate dalla figura del magistrato in lotta contro la mafia o dallo sguardo sulla condizione femminile, la cui solitudine viene enfatizzata dalla lunga carrellata (ripetuta all’inizio ed alla fine del film) sugli interni delle abitazioni che Maria vede dall’autobus che la porta a lavoro. Nuoce soprattutto la scelta di un attrice (Margherita Buy) che ci mette la faccia (con rughe programmaticamente enfatizzate) ed anche il corpo (accenno di nudo integrale salvato dalla scarsa illuminazione dell’ambiente) ma non riesce mai a lasciarsi andare: basterebbe considerare la scena iniziale, quella in cui la protagonista è intenta a ballare ed insieme, a liberarsi delle proprie inibizioni. Ecco proprio lì, in quei movimenti che non diventano mai fluidi c’è il succo di una scommessa non riuscita e del film che poteva essere ed invece non è.

lunedì, novembre 09, 2009

IL NASTRO BIANCO

Il maestro Michael Haneke, autore di capolavori come FUNNY GAMES (1997) LA PIANISTA (gran premio della giuria, miglior attore, miglior attrice a Cannes 2001) NIENTE DA NASCONDERE (miglior regia Cannes 2005), torna finalmente sugli schermi con IL NASTRO BIANCO (vincitore a Cannes 2009).
All'alba della prima guerra mondiale la vita monotona di un villaggio della Germania viene turbata da alcuni inquietanti avvenimenti: una corda tesa tra due alberi fa cadere da cavallo il medico del villaggio; una contadina è vittima di uno strano incidente sul lavoro che le costa la vita; alcuni bambini vengono seviziati.

Il disturbante regista austriaco ci racconta la vita di una comunità chiusa, economicamente dipendente dal signorotto locale e pesantemente influenzata da una religione (protestante) esclusivamente utilizzata come forma di repressione dal pastore del villaggio.
A turbare l'apparente tranquillità dell'intero villaggio ci sono i bambini, unico granello di sabbia in un ingranaggio sociale ben oliato, pericoloso elemento di disturbo che va ferocemente represso con punizioni corporali e l'umiliazione, quest'ultima rappresentata da un nastro bianco da indossare in pubblico.

Haneke è geniale nel fornire di nomi solo i bambini, mentre gli adulti sono rappresentati solo con i loro titoli o ruoli che gli forniscono autorità: il barone, il pastore, il medico, il signor padre.

Ma repressione, violenza, umiliazioni e soffocamento delle pulsioni possono solo far germogliare il seme dell'odio nei giovanissimi.
I nastri bianchi che il pastore vuole erigere a simbolo di purezza diventeranno le stelle di davide che i bambini oppressi di Haneke, una volta divenuti adulti, appunteranno sul petto degli ebrei.

Molto bello esteticamente, con camera fissa ad incorniciare tante cartoline d'epoca, spazio delimitato e soffocante che vuole rappresentare il mondo chiuso e opprimente in cui si svolgono i fatti narrati.

Stampato in un bianco e nero gelido e avvolgente e senza musiche, il NASTRO BIANCO è l'incubazione del male secondo Haneke.

Ennesimo capolavoro.

Imperdibile.

sabato, novembre 07, 2009

Nemico Pubblico - di M. Mann

Ancora una volta un uomo al di fuori della legge, e come al solito il ritratto di una personalità che si nasconde tra le pieghe di una violenza programmatica. La vita del bandito più celebre d'America diventa il pretesto per la riscoperta di un pezzo di storia americana che Michael Mann ricostruisce sulla base di un resoconto che evita la leggenda e preferisce la realtà dei fatti. La vita pubblica di John Dillinger, passato alle cronache per l'abilità malavitosa dopo una giovinezza trascorsa in riformatorio, diventa l'epitaffio di un'esistenza bruciata dalla voglia di vivere e dalla consapevolezza della caducità del tempo e delle cose.
Il 1933, quarto anno della grande depressione, diventa anche lo spartiacque per le imprese del bandito e della sua gang rispetto ad un mondo avviato ad una trasformazione necessaria alla sua sopravvivenza.

Icaro moderno, ma anche modello di una gioventù bruciatà sull'altare del progresso, Dillinger affronta il suo destino con la spavalderia di chi non ha nulla da perdere e con i modi eleganti delle star cinematografiche di cui si nutre il suo immaginario e che non mancano di ripresentarsi nei borsalini impeccabilmente calati sullo sguardo tenebroso, o nella conferenza stampa all'indomani della sua cattura, quando alla pari di un novello George Clooney gigioneggia con i giornalisti accorsi ad intervistarlo.
Espressione distorta dei valori fondanti della nazione americana (successo, denaro, individualismo), Dillinger è un uomo sorpassato da una società che ha trovato la modernità in un'economia in cui il denaro viene sostituito dalle speculazioni finanziarie e le sicurezze in un'organizzazione anticrimine i cui metodi, compresa la tortura, ricordano da vicino quelli usati per i prigionieri di Guantanamo.
La leggenda che accompagna le sue imprese (nelle stanze del potere come nelle pagine dei giornali non si parla d’altro) è scandita da una vertigine esistenziale che non si ferma neanche di fronte al grande amore (Billie Frechette) e che deve confrontarsi con un alter ego altrettanto determinato (il poliziotto Elvis Purvuis, ingaggiato da E. Hoover per catturare il fuorilegge), ma come lui espressione di un'America che reagisce allo smarrimento dei tempi, radicalizzando i valori di una vita.

Sulla base di una struttura ormai nota (il duello a distanza tra l'antieroe e la sua nemesi, la consapevolezza di un destino ineluttabile, la distanza tra il mondo ideale e quello immaginato) Mann continua un percorso di cineasta che riesce ad essere innovativo ed allo stesso tempo tempo funzionale all'apparato produttivo che lo sostiene.
Sovrapponendo le componenti divistiche del personaggio reale a quelle artistiche dell'attore che lo impersona (un Johnny Deep decisivo per la veicolazione dell'opera), Mann annulla le distanze con il passato, cristallizzandolo in un presente che sembra ieri, grazie ad un utilizzo del mezzo digitale, che se da una parte penalizza il film sotto il profilo dell'immaginario filmico, togliendogli quella patina di finzione che costituisce anche il suo lato più affascinante, dall'altra lo rinforza sia in termini percettivi, per la forza di immagini rubate agli ambienti più improbabili (l'interno di una macchina d'epoca o il locale simil 'Cotton Club' in cui Dillinger incontra la sua amata) e nelle condizioni più difficili (per la capacità di mantenere inalterata la profondità di campo anche in condizioni di scarsa visibilità), che di verosimiglianza, per la caratteristiche del mezzo di restituire i particolari di un ambiente (filologicamente riproposto da locations che a suo tempo furono testimoni di quegli avvenimenti) o la fisognomica dei protagonisti.

Sviluppato in maniera classica, con un perfetto equilibrio tra i momenti di azione (un classico dei film del regista) e quelli riservati alla progressione del racconto, Nemico Pubblico riesce anche ad essere altro, ritagliandosi momenti di cinema espressionista, con ombre che si allungano sulle pareti o che si sostituiscono alle stesse figure umane (spesso letteralmente risucchiate all'interno di uno sfondo indefinito), oppure crepuscolare, per la prevalenza dei toni notturni e delle penombre che sembrano evocare le incertezze di un epoca di piena transizione.

Ma Michael Mann è comunque abile a mischiare le carte, evitando pericolosi sbilanciamenti a favore di questa o quella componente, orchestrando un ritmo interno alle singole scene, in cui la staticità del movimento è continuamente interrotta dalla frammentazione di inquadrature che cambiano continuamente prospettiva o sono sistematicamente decentrate rispetto all'oggetto della loro osservazione.

Supportato dal miglior Johnny Deep degli ultimi tempi, finalmente in un ruolo che lo allontana da pericolose derive manieristiche, e corroborato da una serie di comprimari che possono vantare addirittura un Oscar (Marion Cotillard nel ruolo di Billie Frechette) oppure il carisma per ruoli di primo piano (Christian Bates), Nemico Pubblico conferma anche una venerazione attoriale che si traduce in una specie di chiamata alle armi da parte di attori già affermati, disposti anche a ruoli di contorno pur di partecipare all’ennesima impresa artistica.

giovedì, novembre 05, 2009

Film in sala dal 6 novembre

Alza la testa
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Alessandro Angelini

Anno uno
( Year One )
GENERE: Comico, Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Harold Ramis

Berlin Calling
( Berlin Calling )
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Germania


L'uomo che fissa le capre
( The Men Who Stare at Goats )
GENERE: Commedia
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Grant Heslov

Marpiccolo
( Marpiccolo )
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia
REGIA: Alessandro Di Robilant

Nemico Pubblico
( Public Enemies )
GENERE: Azione, Drammatico, Thriller
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
REGIA: Michael Mann

martedì, novembre 03, 2009

Zack e miri make a porno

Kevin Smiths è forse il rappresentante più iconoclasta fuoriuscito dalla fucina di quel Sundance che proprio in questi giorni torna a far sentire la sua impronta grazie all’ultimo Tarantino: a corto di memoria cinefila e per niente allettato dalle lusinghe delle grandi produzioni, a cui peraltro non potrebbe offrire progetti ad ampio respiro, ma soprattutto limitato dalla magnifica irriverenza con cui tratteggia da anni i luoghi comuni della cultura popolare (soprattutto cinema e cartoon), Smith continua a disegnare le sue striscie di celluloide attorno alla variopinta umanità che costituisce il tessuto culturale ed economico di un America ferocemente condizionata dal monopolio delle grandi catene commerciali.

Personaggi abituati a consumare in fretta interessi e passioni; feroci catalogatori di abitudini e tendenze, tracimate attraverso una visione del mondo a dimensione personale eppure capace di parlare un linguaggio universale perché nutrito dagli stessi bisogni consumistici dei loro spettatori. Una generazione da sempre abituata a sbarcare il lunario con stratagemmi tanto assurdi quanto divertenti, e che qui, dopo i riferimenti più o meno espliciti dei precedenti episodi
(ricordiamo l’esibizione erotica con l’Asino nell’ultimo “Clerks 2”) si cimenta nella mercificazione dell’atto amoroso concepito come mero strumento di guadagno ed allo stesso tempo cinico artificio per mascherare la vulnerabilità della sfera sentimentale.

Senza soldi e con l’affitto da pagare, Zack e Miri ( rispettivamente Seth Rogen ed Emily Banks) sono i protagonisti di un menage che si ferma davanti alle rispettive camere da letto (il sesso complica i rapporti) fino a quando i due, costretti dalle ristrettezze economiche, decidono di risolvere i loro problemi problemi girando un film porno, in cui, insieme ad improbabili compagni di lavoro, dovranno rompere il patto di astinenza, consumando la loro prima volta davanti all’occhio delle telecamere.

Girato con una scioltezza e una semplicità che da sole sono già un atto di irriverenza verso le regole di un movimento (indie) a cui piace esibire il proprio talento, “Zack e Miri” gioca con lo spettatore attraverso la solita costellazione di situazione irriverenti e battute al fulmicotone, in cui la presa in giro di quel film (l’ultimo Superman sbeffeggiato attraverso la proposizione di un Brandon Routh che interpreta un attore porno dichiaratamente gay) o di quella categoria (l’afroamericano ossessionato da possibili riferimenti razzistici) diventano il modo migliore per liberarsi dai propri pregiudizi. Ma questa volta il pretesto è troppo debole per sostenere il parolaio di caratteri e situazioni, mentre la regia, abituata all’esternazione incondizionata, non riesce a cortocircuitare i limiti di una visibilità legata alla commerciabilità del prodotto: Zack e Miri sono troppo buoni ed innamorati per creare scompiglio, mentre i loro compagni di viaggio assomigliano ad i motivi disegnati su una carta da parati. Così facendo il film si sposta sempre di più sulla coppia impegnata a risolvere i propri dilemmi amorosi e tralascia i motivi di interesse (e divertimento) legati alla sgangherata produzione del porno movie. Fatta eccezione per la scena in cui il tifoso ubriaco si ritrova nel mezzo di un amplesso organizzato all’interno del locale dove Zack lavora, riproposizione di un idea di un cinema “casalingo” che appartiene di diritto alla biografia del regista (“Clerks” fu realizzato nell’emporio dove Smith lavorava come commesso), e per le sorprese relative alla festa con i vecchi compagni di scuola, costruite su misura per ribaltare il mito di giovinezza troppo spesso idealizzata e qui demolita attraverso la figura del campione di football di cui Miri è innamorata, la storia procede senza particolare originalità verso uno scontato lieto fine. Occasione mancata o rischio calcolato, Zack e Miri rimane un'altra tappa, seppur deludente, di una commedia umana da dimenticare per i visitatori occasionali, ma comunque imprescindibile per gli aficionados del regista americano.