Ancora una volta un uomo al di fuori della legge, e come al solito il ritratto di una personalità che si nasconde tra le pieghe di una violenza programmatica. La vita del bandito più celebre d'America diventa il pretesto per la riscoperta di un pezzo di storia americana che Michael Mann ricostruisce sulla base di un resoconto che evita la leggenda e preferisce la realtà dei fatti. La vita pubblica di John Dillinger, passato alle cronache per l'abilità malavitosa dopo una giovinezza trascorsa in riformatorio, diventa l'epitaffio di un'esistenza bruciata dalla voglia di vivere e dalla consapevolezza della caducità del tempo e delle cose.
Il 1933, quarto anno della grande depressione, diventa anche lo spartiacque per le imprese del bandito e della sua gang rispetto ad un mondo avviato ad una trasformazione necessaria alla sua sopravvivenza.
Icaro moderno, ma anche modello di una gioventù bruciatà sull'altare del progresso, Dillinger affronta il suo destino con la spavalderia di chi non ha nulla da perdere e con i modi eleganti delle star cinematografiche di cui si nutre il suo immaginario e che non mancano di ripresentarsi nei borsalini impeccabilmente calati sullo sguardo tenebroso, o nella conferenza stampa all'indomani della sua cattura, quando alla pari di un novello George Clooney gigioneggia con i giornalisti accorsi ad intervistarlo.
Espressione distorta dei valori fondanti della nazione americana (successo, denaro, individualismo), Dillinger è un uomo sorpassato da una società che ha trovato la modernità in un'economia in cui il denaro viene sostituito dalle speculazioni finanziarie e le sicurezze in un'organizzazione anticrimine i cui metodi, compresa la tortura, ricordano da vicino quelli usati per i prigionieri di Guantanamo.
La leggenda che accompagna le sue imprese (nelle stanze del potere come nelle pagine dei giornali non si parla d’altro) è scandita da una vertigine esistenziale che non si ferma neanche di fronte al grande amore (Billie Frechette) e che deve confrontarsi con un alter ego altrettanto determinato (il poliziotto Elvis Purvuis, ingaggiato da E. Hoover per catturare il fuorilegge), ma come lui espressione di un'America che reagisce allo smarrimento dei tempi, radicalizzando i valori di una vita.
Sulla base di una struttura ormai nota (il duello a distanza tra l'antieroe e la sua nemesi, la consapevolezza di un destino ineluttabile, la distanza tra il mondo ideale e quello immaginato) Mann continua un percorso di cineasta che riesce ad essere innovativo ed allo stesso tempo tempo funzionale all'apparato produttivo che lo sostiene.
Sovrapponendo le componenti divistiche del personaggio reale a quelle artistiche dell'attore che lo impersona (un Johnny Deep decisivo per la veicolazione dell'opera), Mann annulla le distanze con il passato, cristallizzandolo in un presente che sembra ieri, grazie ad un utilizzo del mezzo digitale, che se da una parte penalizza il film sotto il profilo dell'immaginario filmico, togliendogli quella patina di finzione che costituisce anche il suo lato più affascinante, dall'altra lo rinforza sia in termini percettivi, per la forza di immagini rubate agli ambienti più improbabili (l'interno di una macchina d'epoca o il locale simil 'Cotton Club' in cui Dillinger incontra la sua amata) e nelle condizioni più difficili (per la capacità di mantenere inalterata la profondità di campo anche in condizioni di scarsa visibilità), che di verosimiglianza, per la caratteristiche del mezzo di restituire i particolari di un ambiente (filologicamente riproposto da locations che a suo tempo furono testimoni di quegli avvenimenti) o la fisognomica dei protagonisti.
Sviluppato in maniera classica, con un perfetto equilibrio tra i momenti di azione (un classico dei film del regista) e quelli riservati alla progressione del racconto, Nemico Pubblico riesce anche ad essere altro, ritagliandosi momenti di cinema espressionista, con ombre che si allungano sulle pareti o che si sostituiscono alle stesse figure umane (spesso letteralmente risucchiate all'interno di uno sfondo indefinito), oppure crepuscolare, per la prevalenza dei toni notturni e delle penombre che sembrano evocare le incertezze di un epoca di piena transizione.
Ma Michael Mann è comunque abile a mischiare le carte, evitando pericolosi sbilanciamenti a favore di questa o quella componente, orchestrando un ritmo interno alle singole scene, in cui la staticità del movimento è continuamente interrotta dalla frammentazione di inquadrature che cambiano continuamente prospettiva o sono sistematicamente decentrate rispetto all'oggetto della loro osservazione.
Supportato dal miglior Johnny Deep degli ultimi tempi, finalmente in un ruolo che lo allontana da pericolose derive manieristiche, e corroborato da una serie di comprimari che possono vantare addirittura un Oscar (Marion Cotillard nel ruolo di Billie Frechette) oppure il carisma per ruoli di primo piano (Christian Bates), Nemico Pubblico conferma anche una venerazione attoriale che si traduce in una specie di chiamata alle armi da parte di attori già affermati, disposti anche a ruoli di contorno pur di partecipare all’ennesima impresa artistica.
15 commenti:
Caro Nickoftime, le tue "anteprime" rischiano di diventare un succulento appuntamento fisso. Come sempre recensione da applausi.
Ho visto il film ieri sera. Pur essendo d'accordo su molte cose che dice Nickoftime, nel suo complesso Nemico Pubblico mi ha deluso. Le pecche maggiori: 1)Inutilmente lungo, 2)il personaggio di C.Bale per nulla approfondito (e pure lasciò l'FBI l'anno dopo la morte di Dillinger e morì suicida);3) I soliti milioni di proiettili che i personaggi di mann sparano da distanze ravvicinate e che non vanno mai a segno.
visto ieri sera. Condivido anch'io l'ottima recensione di Nickoftime e ho pensato anch'io 2 pecche sottolineate da Fabrizio. La prima e la terza. La seconda non la sapevo, dunque dovrò approfondire e curare queste lacune della mia ignoranza e prepararmi meglio al film. Buon cinema
ciao ethan!!!
il film mi ha un po' delusa e annoiata. condivido il commento di fabrizio.
jhonny depp è bellissimo, bravissimo e sempre nella parte. che fico che è! la storia d'amore, nella sua tragicità, è la parte migliore dl film.
Io più ci penso e più mi arrabbio. E sopratutto non riesco a "vedere" le buone cose riportate nella recensione di Nickoftime. Ma se questo è un grande film, cosa era il suo "gemello" ERA MIO PADRE?
Riflettendoci ho pensato anche a tutti quei personaggi che circondano i protagonisti, una piccola folla a cui non viene dato nessun spessore, delle "squadre" anonime al servizio dei rispettivi capitani. Mah!
Sono contento delle tue considerazioni perchè mi/ci danno l'opportunità di entrare nello specifico del film....spero di poterle pubblicare al più presto
nickoftime
Nick, cosa intendi con "...staticità del movimento..." ? apparentemente i due termini sono antitetici...
Grazie, ciao
Hai ragione,è un OSSIMORO,una figura retorica che io uso molto nelle mie opinioni per stimolare la reazione del lettore( ed in questo caso mi fa piacere che tu l'abbia notato) ed anche per comunicare la mia percezione/sensazione rispetto ad un particolare del film..in questo caso il movimento della macchina da presa che seppur presente, viene enfatizzato dalla frammentazione e dai cambi di prospettiva...d'altro canto la maestosità dello sguardo del regista è tale che in alcuni momenti mi sembra che il movimento sia così contemplativo da essere assente....o meglio "Statico"....non so se sono stato chiaro...d'altronde certe elucrubazioni mentali sono del tipo prendere o lasciare....ciao
nickoftime
Eccomi qua,
pronto ad alimentare il fuoco della discussione:
Riguardo alla lunghezza del film penso che il minutaggio sia come dire, connaturato ad opere che ricostruiscono miti e periodi storici: “Baaria” potrebbe essere un esempio in tal senso, ma potrei anche parlarti di un film meno conosciuto come “Cinderella Man”, in cui la grande depressione e le imprese del protagonista vengono raccontante con grande dispendio di pellicola.
Paradossalmente se Mann avesse “approfondito” i personaggi di contorno il film sarebbe stato “utilmente lungo”?....
Secondo me “Era mio padre” (film che ho amato) ha in comune con il nostro solamente i Gangster…per il resto è un dramma edipico in cui la Storia viene messa da parte a favore di un emotività espressa attraverso uno stile molto raffinato che lavorava soprattutto sulla desaturazione dei colori e ricercava un espressionismo estetizzante.
Rispetto alla superficialità dei caratteri, penso che lo scopo di Mann sia stato quello di portare lo spettatore a capire la personalità del suo personaggio…è lui la star, su di lui sono puntati i riflettori …e come succedeva nella realtà d’allora gli altri personaggi vivono di riflesso..quasi fossero una sua emanazione. D’altronde non è importante capire il lavoro della polizia (peraltro inefficace) ma le motivazioni e gli sviluppi che portarono il personaggio ad una sorta di “suicidio prereintenzionale”.
Dare spazio ai “G men” avrebbe trasformato in film in una sfida (in questo senso “Heat” risponde a quanto dici: li ci sono due protagonisti antitetici ed il confronto tra due personalità..qui invece c’è Dillinger ed un epoca che sta cambiando).
Le pallottole nei film di Mann non sono mai sprecate, come del resto le parole nei film di Tarantino: All’epoca le sparatorie erano all’ordine del giorno ed in Mann diventano quasi la colonna sonora di un epoca, una forma di “comunicazione” che suppliva alla mancanza di altre forme di “dissuasione”.
NICKOFTIME
Eccomi a controbattere a nickoftime:
1)Per me il film è inutilmente lungo, perchè il tempo a disposizione è utilizzato male. Con quel minutaggio a disposizione, mann avrebbe fatto meglio ad approfondire gli altri personaggi, così il film non sarebbe stato "utilmente lungo" come dici tu, ma sicuramente meno noioso;
2)A mio parere NON è vero che le pallottole di Mann non sono mai sprecate (e te lo dice un amante del poliziottesco), e il paragone con Tarantino non regge. tarantino fa da sempre un cinema esagerato, pirotecnico, sopra le righe. Se, come tu affermi, Mann voleva fare una sorta di biografia, voleva scavare nel personaggio ecc..non aveva necessità di inserire le lunghissime sparatorie a cui abbiamo assistito;
3)Mann è troppo "funzionale all'apparato produttivo che lo sostiene", viene dalla tv e si vede.
4) Se si vuole essere aderenti alla realtà non basta andare a girare sui veri luoghi dove sono avvenuti i fatti, bisogna rispettare anche altre regole; come ad esempio ogni tanto far comparire qualche stilla di sudore dopo aver sostenuto sparatorie lunghissime; e poi possibile che questi delinquenti, in piena depressione sfoggino tutti costosissimi cappotti e stupendi Borsalino? Ripeto, Mann viene dalla tv e si vede benissimo, tutto è troppo luccicante, laccato, proprio come vuole il pubblico della tv.
Date un'occhiata alle immagini di Dilinger su google: la foto dove guarda dritto davanti a sè. Ha uno sguardo magnetico, suggestivo, romantico sturm und drang, impressionante, carismatico, affascinante, penetrante, irresistibile, da leader, da tombeur de femmes, da poeta maledetto, da ROCKSTAR!
Mann non voleva farne una biografia realistica, voleva rievocarne il MITO.
Quello che mi è rimasto del film sono la struggente storia d'amore e il fragore del piombo: hanno avuto un impatto che non se ne andrà più via, perché tutto quello che ho visto, grazie a quel fragore, è stato memorizzato a livello fisico dal corpo.
E' uno dei film più romantici della stagione.
Mann ha indugiato moltissimo sulla faccia dei due protagonisti anche quando poteva sembrare inutile: il profilo di John/Johnny quando guarda Homer spirare in auto, o il suo viso disperato in lacrime quando Billie viene presa dall'FBI... Dilinger è un gangster che sa piangere per amore: non ce ne sono stati altri dopo di lui, quindi chi se ne frega di Hoover e di Melvin Purvis! A Mann interessa la rockstar.
In questo film dove il turbinio delle prolungate pistolettate rischia di farti un buco nel cervello, si salva la straordinaria interpretazione di Depp. Egli, quasi da solo, riesce a rendere il film almeno guardabile, e tuttavia la sua morte non provoca nello spettatore neanche l'anticamera dell'emozione. E questo nonostante il continuo e progressivo sospingimento del pubblico a mettersi dalla parte di Dillinger, una versione trasfigurata in un'America in depressione, di un Robin Hood ma più arrogante e che è in grado di incarnare la specularità dell'American Dream: Successo e caduta.
Lo spettatore che pure ha tifato per Dillinger, non ci resta poi così male quando questi viene trafitto, ovviamente da una pallottola. Lo schema è trito e ritrito: il bene e il male, l'eroe l'antieroe. In fin dei conti mi aspettavo qualcosa di più.
Caro Cosimo, benvenuto tra i cinemaniaci:D
Innanzitutto saluot Cosimo e lo ringrazio della visita
Fabrizio: riguardo al punto 2 continuo a non vedere contradizioni: in pratica tu affermi che il paroliere di Tarantiniano appartiene allo stile del suo cinema ed io ti dico che lo stesso vale per Mann e le sue sparatorie. Inoltre come ho detto anche negli altri interventi e come dice sotto Parsec che saluto e ringrazio per l’intervento, con Dillinger Mann si trova di fronte ad un mito e le pallottole appartengono all’immaginario di un eroe che riesce a sopravvivere sempre e comunque (paradossale che poi la sua morte avvenga in maniera così “dimessa”).
Per quanto riguarda il punto 3 ti potrei dire che fior di registi erano condizionati dal sistema hollywoodiano…persino i più grandi come Coppola e Scorsese quando dovevano fare i conti con grossi budget dovevano concedere qualcosa: direi piuttosto che Mann come i registi che ho citato lavora all’interno del sistema riuscendo a conciliare forma e contenuto, spettacolo e riflessione…modalità che resero grande il fenomeno della NEW HOLLYWOOD anni 70.
Rispetto al punto 4 ci sono due cose importanti da dire: come hai letto nella rece, Mann cerca la realtà ma nel contempo dovendo confrontarsi con il mito la trascende molte volte: gli aspetti estetici che tu citi rendono bene la percezione di chi quella vicenda la visse per davvero e che vedeva in Dillinger un nuovo Rodolfo Valentino….un uomo che in piena depressione si prendeva anche la loro rivincita rapinando le Banche, istituzioni ritenute ora come allora ritenute responsabili del tracollo finanziario….in questo senso, ovvero tenendo presente sia l’uomo che il mito, la scelta di ambientare il film, ed anche di descrivere fatti che per esempio erano stati omessi dai film che l’avevano preceduto, insomma di raccontare una storia senza tralasciare l’aspetto filologico, be mi sembra un lavoro non da poco. In particolare girare sui luoghi dove si svolsero gli avvenimenti non è da trascurare: all’epoca della RKO, quella dei grandi film noir, una delle cesure più importanti fu la scelta di iniziare a girare fuori dagli Studios, in strade ed edifici che esistevano veramente. Ed a proposito del luccichio la scelta del digitale e delle luci naturali tolgono quella patina che normalmente esiste nelle opere girate con la pellicola…..con affetto e stima
NICKOFTIME
Ciao Parsec,
tocchi un aspetto che anche a me è rimasto particolarmente a cuore... se uno dimentica la fama del personaggio, Nemico Pubblico diventa una struggente e romantica storia d'amore...e sì..è vero un pianto come quello raramente si vede....ed ancora è vera l'insistenza con cui Mann guarda negli occhi il suo uomo..se gli occhi sono specchio dell'anima....
con affetto e stima
Nickoftime
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