Abituato a circumnavigare il cuore del problema con espedienti rafforzatisi attraverso anni di frequentazioni virtuali e biecamente sospinti verso verità che confermino gli a priori di partenza, lo spettatore assiste alla visione di 'La prima Linea' di Renato De Maria, convinto di trovarsi di fronte ad un film disposto a fare i conti con un pezzo di Storia italiana, la cui ricostruzione è stata di volta in volta complicata, e direi, ostacolata da reticenze di ordine politico ed anche psicologico. Ed è probabile che negli intenti del regista la vicenda della famigerata coppia di assassini doveva assumere un valore paradigmatico rispetto al fallimento di una generazione, che a cavallo degli anni '70 credeva di cambiare il sistema attraverso la lotta armata e senza rendersene conto, si sostituì ai carnefici che cercava di combattere: d’altronde Sergio Segio e Susanna Ronconi furono come gli altri 'compagni di lotta' il prodotto di quell'illusione sessantottina che dopo anni di amore libero e sogni lisergici si trovò ad affrontare gli altiforni delle fabbriche e le regole del capitale.
Le occupazioni e le riunioni sindacali, i cortei per protestare contro condizioni di lavoro improponibili e poi, improvvisamente l’escalation che diede il via alla stagioni delle stragi di stato: Piazza Fontana, il treno Italicus ed altri eventi luttuosi sono i segni di un imbarbarimento al quale viene fatta risalire il primo cambiamento, quello che portò molti giovani a preferire l’eversione e successivamente il terrorismo, per rispondere ad una “strategia della tensione” organizzata dallo stato, con la connivenza dei servizi segreti.
Il film parte proprio da qui, ed attraverso immagini di repertorio ricostruisce il clima politico e sociale che fa da sfondo alla vicenda.
Segio, lo racconta e si racconta dall’interno della prigione dove è stato appena tradotto, attraverso un espediente che gli permette di guardare all’intera vicenda con la disillusione di chi sa di raccontare una sconfitta senza nessuna possibilità di redenzione.
Una scansione temporale dominata dall’avvincendarsi degli eventi - l’incontro con la compagna di una vita, l’omicidio del giudice Alessandrini e quello di un membro della banda, la decisione di fuoriuscire dall’organizzazione e la liberazione della Ronconi dal - e dal solco di una colpa che diventa così profonda da offuscare le ragioni che l’hanno generata.
Un vuoto esistenziale costruito sui volti dei protagonisti, pallidi e svuotati, sui movimenti della macchina da presa, come frenati dalla mestizia che avvolge la storia, su una geografia urbana che diventa sempre più anonima e trascolora nelle forme di un paesaggio naturale privo di punti di riferimento, perfetto contraltare di una gioventù che si è smarrita.
Eppure questa compattezza finisce per saturare i motivi di un operazione che finisce per ribadire le cose di sempre e non fa un passo in avanti verso la comprensione del problema: alla condanna iniziale, chiara ed inequivocabile (e d’altronde come potrebbe essere altrimenti) non riesce a seguire un analisi sui perché di una tale degenerazione: i germi di un malessere che ha contaminato la compagine sociale, i partiti e lo stato, il filo doppio che univa le frange più estremiste ai movimenti sindacali e le ingerenze di una classe politica che sapeva più di quanto voleva lasciava intendere rimangono domande senza risposta. 'Sergio' ed i suoi compagni sembrano fare tutto da soli, schegge impazzite sfuggite al controllo e condannate dal loro stesso comportamento ad una fine già scritta. Un po’troppo poco per chiunque voglia affrontare il terrorismo e gli Anni di Piombo con la voglia di rompere il muro di omertà che circonda quegli anni ed invece si ostina a riproporre un 'Esistenzialismo' fatto di vestiti sdruciti e capelli mai lavati, di parole abbozzate e silenzi siderali.
Dopo la fantapolitica di Martinelli e le soluzioni oniriche di Bellocchio, tra film ancora inediti e progetti rimasti in nuce il cinema italiano rispetto a questo argomento è rimasto ancora fermo a 'Colpire al cuore' di Gianni Amelio che è datato 1982. Quanto dobbiamo ancora aspettare?
Nessun commento:
Posta un commento