THE RUNAWAYS
regia di Floria Sigismondi
Nell’america degli anni 70 il rock al femminile non è ancora
sdoganato: è il momento della contestazione giovanile, del ribellismo
ad ogni costo, ma anche della delusione di un sogno divenuto già
Utopia: in questo contesto di note ribelli ed Umori musicali si
inserisce la parabola di un gruppo di Amazzoni con la chitarra in
mano, capaci di trasformare il giocattolo per soli uomini in uno
spazio eterogeneo, capace di accelerare un fenomeno come quello delle
band rock interamente femminile: non più “Boy Toys” ma soggetti
pensanti, le Runaways sono la scommessa di un Manager schizzato ma
con il fiuto del denaro, ed al tempo stesso l’espressione di una
società in piena decadenza: accerchiate da famiglie senza amore e
destinate ad essere outsiders nella periferia di un America abbacinata
da un sole ingannatore, le quattro ragazze urlano la loro rabbia
attraverso le canzoni, dando sfogo alle comuni frustrazioni.
Preoccupato di non perdere nulla del proprio appeal musicale, ma allo
stesso tempo interessato a stimolare l’empatia dello spettatore, il
film si divide equamente tra una sfera emotiva quasi sempre
disfunzionale, incentrata esclusivamente sulla relazione tra Joan Jett
(Kristine Stewart), leader carismatica del gruppo, e Cherie Curie
(Dakota Fanning), cantante per caso ed ancora una volta cartina di
tornasole di una società largamente maschilista (il corpo acerbo e
provocante della seconda sarà la chiave di accesso ad una popolarità
da copertina) ed una dimensione cronachistica, impaginata secondo le
regole di un giornale immaginario, e perciò attaccata agli estremi di
una carriera luminosa ma fugace. Assistiamo così ad una ricostruzione
che rispetta le scadenze di un maledettismo fatto di nevrosi,
dipendenze e finta fratellanza, ma non riesce mai a legarsi con la
genesi di un ispirazione artistica destinata a rimanere ancora una
volta sconosciuta.
Lontano dallo sperimentalismo di “Io non sono qui”, ma anche dalla
compostezza formale di “Walk the Line”, tanto per citare due esempi
recenti di un filone tornato in voga, il film è penalizzato da un
impianto di tipo televisivo e da una correttezza che penalizza gli
aspetti più crudi della vicenda a favore di uno spettacolo che, anche
quando osa in termini visivi, mostrando scene lesbo tra le due
protagoniste, lo fa edulcorandone gli effetti, e favorendo una
percezione dei contenuti che non si alza mai al di sopra di un
giovanilismo di rimando. E se i musicofili non scopriranno nulla di
nuovo dalla visione del film, anche per la mancanza di una cornice
storica adeguata, “The Runaways” riesce a deludere anche il normale
spettatore per una passione molto proclamata ma a conti fatti
destinata a rimanere appesa sui vestiti sdruciti, nelle capigliature
stravaganti e sui volti inespressivi delle due giovani star,
accomunate dal tentativo di conquistare una maturità che sullo schermo
non riesce ancora a trasparire.
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