mercoledì, maggio 13, 2015

PITZA E DATTERI

Pitza e Datteri
di  Fariborz Kamkari   
con  Giuseppe Battiston, Andrea Pergolesi, Mehdi Meskar
Italia, 2014
genere, commedia
durata, 92'

Il tema dell'integrazione, l'incontro-scontro fra due culture antitetiche e il delicato incastro fra i sistemi etici sono il tema portante di una commedia all'italiana che riesce a mantenersi sempre distante da quella dimensione umoristica grottesco-surreale che è più spesso un effetto collaterale che un obiettivo centrato.
Il motore dell'azione è la moschea dove la comunità musulmana di Venezia era solita pregare e che un'avvenente Zara (Maud Buquet)  – archetipo di donna emancipata all'occidentale, conscia/consapevole della propria femminilità – ha trasformato in un salone di bellezza. Per riprenderla viene chiamato un aiuto dall'Afghanistan: un imam che – dall'alto della sua saggezza – aiuti i fedeli a ritrovare un punto di raccolta. Ma nella migliore tradizione umoristica pirandelliana avviene il contrario: l'imam è un ventenne impacciato.
L'intreccio – geniale nella sua semplicità – è la fonte della vis comica, che scaturisce da una serie di gag mai eccessive basate su fraintendimenti dovuti alle differenze culturali. Ma il film non si risolve nella storia e anzi ha il proprio punto di forza nei personaggi – sostenuti da attori capaci, tra i quali spicca un meraviglioso Giuseppe Battiston -, nella loro graduale evoluzione e nella semplicità con cui raffigurano l'eterna opposizione dialettica fra oriente e occidente, il deserto e il mare, sistemi di vita opposti ma non inconciliabili.

A uscirne vincitore è proprio il confronto, che qui muove i personaggi - quasi come un blando espediente narrativo -  fino alla consapevole arrendevolezza che precede il compromesso e la sintesi hegeliana delle due opposizioni. Un risultato tutt'altro che negativo considerando che la regia riesce anche a colorare il tutto con le tonalità di una commedia ben confezionata e a risolvere, con quella stessa delicata ironia che accompagna il film così come accompagna – e nobilita – il film l'orchestra di piazza Vittorio, la questione del fondamentalismo religioso, con un espediente originale e divertente.

La necessità di ritrovare un luogo culturalmente identitario all'interno di uno spazio cittadino straniero – e in quanto tale “estraneo” e regolato da norme altre – è la semplice e riuscita metafora con cui il film si interroga sulla reale possibilità di inserimento di un Islam moderato/moderno che ha il volto – giovane, non a caso – di Mehdi Meskar (soprannominato Saladino), costretto a venire a patti con una femminilità matura e a misurarsi con un mondo multietnico – la Venezia storica del crocevia di mercanti e culture – che può accettare soltanto – questo suggerisce il film – una rispettosa convivenza pacifica in cui le differenze non siano motivo di attrito ma di arricchimento.
Michelangelo Franchini

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