Belfast
di Kenneth Branagh
con Jude Hill, Judi
Dench, Jamie Dornan
UK, 2021
genere: drammatico,
biografico, storico
durata: 97’
Incetta di candidature in
vista dei prossimi premi Oscar per il nuovo film di Kenneth Branagh
"Belfast".
Il titolo deriva dalla
città natale dell'autore che, con questo lungometraggio, ha voluto portare
sullo schermo la propria infanzia, raccontandosi (e raccontando anche un
determinato momento storico) agli spettatori.
Protagonista è una
famiglia protestante appartenente alla classe operaia e tutto è raccontato (e
mostrato) dal punto di vista di Buddy, il piccolo di casa, di 9 anni. Lui vive
con il fratello più grande Will e la madre, ma si reca quotidianamente dai
nonni che vivono a pochi passi da casa sua e con i quali ha un rapporto molto
stretto, soprattutto col nonno con il quale adora confidarsi. Tutti loro
vivono, appunto, a Belfast. Il padre, invece, è lontano dalla famiglia dal
momento che lavora in Inghilterra e torna a casa solo saltuariamente.
Senza entrare nello
specifico e nel merito delle vicende storiche e dei conflitti il film di
Kenneth Branagh tenta di inserirsi nel filone dei biopic, trattandosi della
propria vita. Ma tenta solamente. Oltre al fatto che non si può considerare un
biopic a tutti gli effetti, "Belfast", pur partendo dall'interessante
spunto del bianco e nero, non va oltre una buona tecnica e una buona regia.
Sembra (ed è) facile empatizzare con Buddy e con la sua visione, naturalmente
infantile, del mondo. Ma bisogna fare attenzione alle relazioni umane che
instaura e al suo modo di comportarsi. Niente è lasciato al caso nel film di
Branagh: dal rapporto che ha con la sua compagna di classe della quale è
innamorato e che, a differenza sua, è cattolica, agli insegnamenti del nonno.
Tutto senza mai dimenticare le figure genitoriali. Nonostante la frequente
assenza del padre, anche lui è una figura chiave nell'educazione e soprattutto
nella crescita di Buddy. E, infatti, non a caso la sua assenza lo condiziona
continuamente, così come condiziona la moglie che deve assumersi varie
responsabilità. Crescere due figli da sola nella Belfast di quegli anni appare
tutt'altro che semplice.
Le scelte apparentemente “sbagliate”
di Buddy, come, per esempio, quella di voler seguire l'amica Moira, in realtà
sono dettate da una mancanza. Anche se fin troppo piccolo e, ancora, non in
grado di comprendere completamente, il protagonista pensa di doversi caricare
sulle spalle la propria famiglia. Le sue responsabilità sono al pari di quelle
degli altri membri della famiglia.
Una strizzata d'occhio,
neanche troppo velata, al Neorealismo, soprattutto con la scelta di omettere
l'uso del colore. Ma una strizzata d'occhio che rimane tale e non va mai oltre.
Quello di Branagh è un
film che vorrebbe dire, osare, mostrare e raccontare, ma che, alla fine, resta
più che altro in superficie. Non fosse per il giovanissimo protagonista e per
Ciaran Hinds e Judi Dench, nei ruoli dei nonni che sembrano quasi rubare la
scena agli altri interpreti e personaggi, aiutati anche da un'attenzione
registica maggiore con inquadrature sempre ben calibrate e strutturate. Niente
è lasciato al caso quando ci sono loro due davanti alla macchina da presa. Nei
dialoghi che hanno con il nipote sono sempre presenti entrambi, ma uno sullo
sfondo come a "origliare" le conversazioni.
Oltre ai personaggi non
sufficientemente delineati in modo tale da comprenderne le scelte, a far
storcere il naso è anche l'eccessiva ricerca di una "morale" così
come il dover rendere obbligatoriamente tutto già "impostato" in un
certo modo.
Chissà, però, se anche
l’Academy la penserà così vista la pioggia di candidature…
Veronica Ranocchi
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