Gli spiriti dell’isola
di Martin McDonagh
con Colin Farrell, Brendan
Gleeson, Barry Keoghan
USA, UK, Irlanda, 2022
genere: drammatico,
commedia
durata: 114’
In un concorso ufficiale
che mai come quest’anno ha segnato il predominio di narrazioni incentrate sulla
natura conflittuale dell’essere umano, facendo del privato l’incubazione delle
grandi contese della nostra epoca, la presenza di un film come “Gli spiriti
dell’isola”, traduzione italiana dell’originale “The Banshees of Inisherin”,
non si può considerare una sorpresa. Ad esserlo piuttosto è lo scenario in cui
si svolge la vicenda, l’Irlanda del 1923, e il suo paesaggio, un'anonima isola
del suo arcipelago, per la distanza spazio-temporale del nuovo film di Martin
McDonagh con l’America di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. A ben vedere
infatti è proprio da tale constatazione che bisogna partire per cercare di
intercettare le coordinate del cinema del regista e commediografo britannico,
oramai uso nel prendere un immaginario da cartolina, di quelli che si pensano
sempre uguali a se stessi, per poi divertirsi a rovesciarlo con l’innesto di un
fattore imprevisto e destabilizzante.
Succedeva con “In
Bruges”, dove lo sfondo della famosa cittadina belga si tingeva di nero per
dare seguito a una drammatica caccia all’uomo; capitava in “Tre manifesti” in
cui toccava alla madre coraggio interpretata da Frances McDormand il compito di
togliere l’iniziativa alla controparte maschile, facendo della connotazione da
cinema western una questione tutta femminile. “Gli spiriti dell’isola” non è da
meno, confermando quanto meno l’ipotesi che il punto di partenza delle storie
del nostro autore sia legato alle caratteristiche dei luoghi, essendo quelli a
generare - anche per opposizione - i personaggi e non viceversa.
Nel nuovo film, infatti,
ancora una volta, il paesaggio non è semplice orpello scenografico ma piuttosto
qualcosa che si impone sulle vite dei personaggi attraverso un’immutabilità
intesa non solo in quanto rispetto di consuetudini e tradizioni ma pure come
schema mentale e psicologico: quello al quale si deve imputare l’esordiente
narrativo che scatena la contesa, ovvero le rimostranze di Pádraic (Colin
Farrell) di fronte alla volontà di Colm (Brendan Gleeson) di interrompere la
loro amicizia.
Abituati a vivere immersi
in una realtà inalterabile, quella dei cicli naturali tipici del mondo rurale,
Pádraic, con la sua opposizione al cambiamento e Colm, desideroso di provare
l’ebrezza dell’infinito, diventano metafora dell’eterno dissidio tra progresso
e conservazione, tra carne e spirito. In questo senso la decisione di Colm di
mutilarsi le dita che gli consentono di suonare la sua musica ogni volta che
l’ex amico tornerà a disturbarne l’ispirazione, diventa espressione della
consapevolezza che vita e arte siano soprattutto una questione di sensibilità
d’animo e di predisposizione interiore.
Se la trama de “Gli
spiriti dell’isola” si sviluppa in maniera semplice e lineare, costruita com’è
sulla faida prodotta dall’insistenza con la quale Pádraic tenta di far cambiare
idea all’amico, a creare lo scarto tra quello che poteva essere un prodotto di
intrattenimento e che invece diventa un’opera di rielaborazione della realtà è
il valore simbolico assegnato da McDonagh alla messa in scena.
Basti pensare all’idea di
assegnare alla collocazione delle case dei due contendenti il compito di
rifletterne la personalità: in pianura e affacciata sul mare quella di Colm, a
segnalare il bisogno di allargare gli orizzonti rispetto a quelli angusti e
routinari del suo avversario (non a caso ripreso nei suoi spostamenti con scene
sempre uguali), arroccato sulle proprie abitudini e dunque relegato
nell’asperità collinare, quella più refrattaria alle influenze esterne tipiche
delle zone costiere. Oppure si pensi all’intuizione di far intravedere in
lontananza gli echi della guerra civile per stimolare il confronto con il
deterioramento dei rapporti umani all’interno dell’isola e dunque ragionare sui
fantasmi dell’animo umano e sulla vocazione autodistruttiva della sua natura.
Consideriamo che qui più
che in altri film di McDonagh tutto assume una valenza archetipica:
dall’essenzialità scenografica volta a far risaltare la connotazione ancestrale
del paesaggio, e dunque a giustificare il manifestarsi di un sentire quasi
primordiale, alla presenza di personaggi senza passato e di volta in volta
pronti a identificarsi con gli archetipi della condizione umana.
Senza contare che la
decisione di alimentare la drammaticità del contesto con l’involontaria
comicità scaturita dall’ingenuità dei personaggi, in particolare quello
interpretato da un Farrell mai così in palla, contribuisce a determinare un
processo d’astrazione in grado di trasformare la realtà della storia in una
specie di fiaba: come suggerisce la presenza tra i personaggi della figura di
un’anziana veggente che sembra rispolverare la mitologia della migliore
tradizione folcloristica irlandese.
Meno dinamico dei film
precedenti (scelta giustificata dalla necessità di far sentire il peso del
tempo nelle vite dei personaggi) ma scandito dalla stessa inaudita ostinazione
da parte dei protagonisti, ancora una volta intenzionati a farsi giustizia da
soli, “Gli spiriti dell’isola” può contare sull’efficacia dello spartito
drammaturgico e sul contributo di attori bravi nello spogliarsi di ogni divismo
per diventare parte integrante di un meccanismo a orologeria.
Tra i film in
competizione alla Mostra quella di McDonagh è una delle opere più risolte.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su Ondacinema.it)