domenica, ottobre 27, 2024

PARTHENOPE

Parthenope

di Paolo Sorrentino

con Celeste Dalla Porta, Silvio Orlando, Dario Aita

Italia, 2024

genere: drammatico

durata: 136’

Un’ode a Napoli è quello che ha ripetuto più e più volte Paolo Sorrentino nel presentare e promuovere il suo Parthenope

“Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto”.

È con questa frase, e con le meravigliose immagini di una Napoli quasi magica e onirica, che si apre l’ultima fatica del regista partenopeo. In qualche modo è un primo tentativo di Sorrentino di invitare lo spettatore a immergersi completamente in un’opera tanto reale quanto immaginata e sperata, un’opera vera e autentica, ma al contempo onirica e a tratti utopistica.

Quella che sentiamo è la voce di una donna che vediamo solo di spalle da un terrazzo. Poi improvvisamente siamo catapultati nel 1950, nel momento in cui viene data alla luce Parthenope, sorella minore del tormentato Raimondo. Velocemente arriviamo al 1968, più precisamente alla maggiore età della protagonista, per poi percorrere alcuni anni densi e intensi di avvenimenti. Tra incontri con personaggi particolari, studi universitari in antropologia e una maggiore consapevolezza di sé, dopo aver compreso le difficoltà della vita, Parthenope si mostra e si racconta in una serie di ricordi che rievocano, inevitabilmente, una Napoli che è la sua stessa incarnazione. 

“Io non so niente, ma mi piace tutto”.

Una delle tante frasi a effetto che Sorrentino inserisce nel film (e nei suoi film in generale), ma anche una delle tante frasi a effetto di cui sono impregnati i film più classici, come ci ricorda più volte la giovane Parthenope che, per un breve periodo, sogna di diventare attrice perché “gli attori nei vecchi film hanno sempre la risposta pronta”.

Quello che fa un’incredibile esordiente come Celeste Dalla Porta nel corso del film è guidarci all’interno del suo mondo (e) quello di Napoli. Se da una parte vediamo una ragazza, a volte tormentata, a volte sicura di sé e determinata a conoscere nuove sfumature, dall’altra vediamo anche il suo corrispettivo, una Napoli elegante, silenziosa, quasi magica, con la sua eccentricità e la sua unicità. Perché Napoli (e Parthenope) è quello che dice la Greta Cool di Luisa Ranieri (per la quale i riferimenti si sprecano), ma è anche molto di più. 

Perché Sorrentino ci guida, tramite la sua protagonista, sia in una storia di crescita, d’amore, d’accettazione e di consapevolezza, ma più di tutto ci guida nella sua Napoli, quella che nasconde al suo interno delle perle di rara bellezza, siano esse una carrozza, un figlio tanto grande quanto tanto adorato o un miracolo, quello di San Gennaro, elevato ormai non più a credenza popolare, ma a consapevolezza nazionale.

“Sei bella e indimenticabile”. Tutto è al contempo materialità e astrattismo. La bellezza vera, giovane, fresca e corporea di Parthenope è esattamente identica alla bellezza universale e immutata di Napoli che, complice il mare, il paesaggio e una fotografia che propone immagini perfette, è veramente indimenticabile per chiunque, dallo spettatore al più fragile dei personaggi destinato a rimanere inerme e indifeso nei confronti di un futuro per lui irraggiungibile, forse perché nel suo silenzio aveva già compreso tutto.

Ogni inquadratura può essere considerata un quadro per come è congegnata, alla Sorrentino, e proprio per questo, nasconde molto più di quello che si può immaginare. Dalle tematiche care al regista allo sviluppo di uno sguardo sempre più deciso e preciso, si passa con disinvoltura alla conoscenza di personaggi eccentrici nella loro normalità e normali nella loro eccentricità (dalla Flora Malva di Isabella Ferrari, celata da un velo nero che vuole coprirle un volto ormai fin troppo deturpato a un Devoto Marotta al quale presta il volto Silvio Orlando, professore universitario che invita a vedere e non a guardare, con un metodo di insegnamento tutt’altro che convenzionale, senza dimenticare l’omaggio a John Cheever di Gary Oldman).

“Quando sai tutto muori triste e solo”.

È quasi impossibile non scrivere di Parthenope partendo e parlando attraverso frasi e citazioni che si inseguono durante tutto il film. E forse, proprio in linea con quest’ultima, è meglio non scardinare troppo un film che poggia le sue solide basi su una visione reale eppure onirica di un mondo che, alla fine, appartiene un po’ a tutti, basta solo riuscire a vederlo.

Prendendo in prestito temi cari al cinema di Sorrentino e volti ormai diventati iconici grazie a lui, il regista napoletano disegna un film anche sulla sua pelle, seppur in maniera minore rispetto al precedente È stata la mano di Dio, ma provando comunque a raccontarsi in un modo in cui solo lui riesce a fare.


Veronica Ranocchi

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