Colpo d’occhio è un film sul desiderio che nasce dallo sguardo e sulla follia che si produce quando non si riesce a soddisfarlo. Nella vita dei due protagonisti la capacità di vedere si traduce in un estasi istantanea che fa la differenza: collegati al mondo dell’arte per opposti talenti, i due non avrebbero niente da spartirsi sul piano umano se il destino non li scegliesse per interpretare una tragedia moderna che rivisita il mito faustiano nella scellerata alleanza tra il professor Lulli (Rubini ancora una volta alle prese con un personaggio sgradevolissimo), mefistofelico critico d’arte e Adrian Scala (Scamarcio) , scultore in cerca di successo.
Il sodalizio di un mondo in cui il mecenate è piu importante dell’artista e dove il valore di un opera può fare a meno delle sue qualità estetiche (ma non della raccomandazione: è questo il male del cinema italiano?) si rivela un gioco al massacro orchestrato dal critico per riconquistare la bella Gloria (molto brava Vittoria Puccini), un tempo sua protetta ed amante, ed ora compagna dell’ignara vittima. Un mito universale che Rubini mette in scena tenendosi lontano da inutili alambicchi e dando corda ad un cinema spietatamente umano ma capace anche di tradurre sul piano delle immagini i significati della storia. Il film è infatti attraversato da un movimento interno “Ascendente”, che dal particolare definisce il tutto e che ricalca il modus operandi dei due protagonisti costruttori di certezze basate su dettagli impercettibili: la cinepresa che si concentra su un singolo elemento e poi si allarga fino a comprenderlo nell’ambiente (i mdm sono fluidi e come l’eyes wide shut del titolo si chiudono e si aprono, spaziando tra primi piani ravvicinatissimi a panoramiche ad ampio respiro), i luoghi della storia che inizialmente appartengono ad una geografia anonima e provinciale per poi trasferirsi a quella conosciuta e glamour delle grandi metropoli (Roma Berlino Venezia), l’orizzonte geografico ed esistenziale dei due innamorati prima minimalista (la casa di campagna a lungo disabitata e la mostra di provincia)e e poi, suo malgrado eccessivo e pieno di cose (l’attico romano al centro di Roma per non parlare della Biennale di Venezia) sono il riflesso di questa progressione. Notevole è anche la dialettica dei personaggi, quasi allo specchio quelli di Rubini e Scamarcio per la loro incapacità di gestire le occasioni che il destino gli offre e quello della Puccini, musa su cui entrambi convergono e sintesi, per la trasparenza delle sue scelte, di quello che gli altri due non sono. Rubini, più interessato all’ambivalenza dei comportamenti umani che alle meccaniche del thriller (l’angoscia deriva dal conoscere in anticipo quello che sta per accadere sullo schermo), riesce a tirar fuori dai suoi personaggi tutta la gamma dell’umana debolezza e costringe lo spettatore a confrontarsi con quella. Insomma un cinema di sostanza che non rinuncia alla confezione (la musica è quella del Depalmiano Donaggio) ma soprattutto alla irrinunziabile emotività del mezzo cinematografico. Bravo Rubini, autore senza spocchia.
5 commenti:
nick, sei troppo bravo! che piacere leggere le tue recensioni! :-)
il film e' da vedere, merita una capatina in sala e forse pu' di una riflessione. la tua recensione mette in luce il valore sostanziale, come dici tu, di quest'opera. Rubini lavora con cognizione di causa, lucidita' e originalita'. alcuni punti mi hanno dlelusa (certi dialoghi un po' prevedibili,certe scene scontate) ma e' pur vero che non conta - ai fini del film - la trama in se', la storia da thriller, ma cio' che sconvolge e cambia i personaggi, in preda a turbamenti profondi, continui e inesorabili.
Riccardo Scamarcio ci offre tutto il suo talento: purtroppo lo vediamo sempre in ruoli di bello e dannato, ma almeno riesce a rendere bene questa parte.
Sergio Rubini e' come sempre perfetto. il professore parla per frasi fatte, per citazioni e luoghi comuni al limite dell'insopportabile ed e' roso da un lungo ed incancellabile rimpianto, divorato da una passione che lo porta alla follia.
Sceneggiatura ben scritta, personaggi ben delineati ottima critica al mondo dell'arte, al business che se ne fa...
i tempi mi sono sembrati nuovi per la consueta cinematografia italiana. Nei primi 20 minuti sembra che il film ci sfugga dalle mani: corre, ci conduce senza tregua lungo la discesa progressiva dei personaggi verso una rovinosa caduta. E lo fa con garbo.
mi aspettavo di vedere la bella Puglia, ma comunque sia Roma fa la sua gran buona figura.
Vittoria Puccini e' brava, ma non memoraibile, in certe sequenze un po' didascalica. Bella, pero', proprio bella.
Da segnalare il ritorno di Paola Barale sul grande schermo, qui in una piccola parte che comunque ben gestisce (look alla ira von fustenberg, incedere da gran signora, gli anni che passano celati sapientemente - non indaghiamo come...)
questo colpo d'occhio non e' il mio preferito tra i film di Rubini, ma di sicuro si presta quale contributo atteso e indispensabile per una ripresa del cinema italiano. Grazie Sergio!
CHE BELL'INTERVENTO...E' FANTASTICO QUELLO CHE ACCADE..UNO DA' L'INIZIO E POI VENGONO FUORI COSE INTERESSANTISSIME, PUNTI DI VISTA CHE SOTTOLINEANO COME HAI FATTO TU COSE CHE IO NON AVEVO PERCEPITO...PER ESEMPIO LA SCONTATEZZA DEI DIALOGHI, MENTRE CONTINUO A PENSARE CHE IL LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO SIA DI ASSOLUTO LIVELLO...MOLTO BRIAN DEPALMA...VITTORIA PUCCINI MI E'PIACIUTA COMPLETAMENTE, FORSE PERCHE' non riesco ad essere indifferente alla sua bellezza
cia veri,.
nicko come mi chiama Ethan
bella recensione nickoftime, anch'io penso sia il più bel film italiano uscito quest'anno.
nickoftime non ti sembra (vado a memoria) che nel film la terra i colori erano più violenti e in questo film si gioca più sui chiari scuri?
Hai ragione Ethan è proprio così ..i colori della terra erano Terragni...scusa per il gioco di parole..questi invece rispecchiano l'ambiguità dei personaggi..per quanto riguarda il miglior film italiano dell'anno...ho visto non pensarci di cui scriverò..e devo dire che è veramente un bel film da non perdere....
nicko come tu mi chiami
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