giovedì, dicembre 14, 2023

LA PASSION DE DODIN BOUFFANT

La passion de Dodin Bouffant

di Trần Anh Hùng

con Juliette Binoche, Benoit Magimel

Francia, 2023

genere: sentimentale

durata: 134’

A proposito di "Norwegian Wood", lo scrittore giapponese Murakami parlò del suo libro come di una storia d’amore molto personale, dedicata agli amici morti e a quelli che restano. Dopo aver visto "La passion de Dodin Bouffant" non si può non ripensare a parole che sembrano fatte apposta per introdurre lo spettatore al nuovo film del regista franco-vietnamita Trần Anh Hùng, che del romanzo di Murakami firmò nel 2010 la versione cinematografica. Che si tratti d'ispirazione artistica o semplicemente di una reminiscenza del passato, fatto sta che "La passion de Dodin Bouffant" prende a prestito la passione culinaria del suo protagonista e della donna che gli sta accanto per raccontare molto di più di un ménage lavorativo.

A dispetto di ciò che descrive il film, ovvero la ventennale collaborazione tra il rinomato chef (Benoît Magimel diventato oramai un attore universale) e la cuoca Eugénie (interpretata da un'incommensurabile Juliette Binoche) capace di vincere il tempo nella Francia del XIX secolo, il lungometraggio in questione diventa fin da subito qualcos’altro rispetto ai film sull’arte culinaria che lo hanno preceduto. Certo è che la lunga introduzione con cui il regista ci porta nel bel mezzo della storia, un "falso" piano sequenza in cui la macchina da presa diventa tutt'uno con la preparazioni di uno dei tanti menù preparati dai protagonisti, risulta fondante nello stabilire l'unità di tempo e di spazio della narrazione, rappresentata appunto dalla casa di Bouffant (con qualche scampolo di ripresa esterna ambientata nel bosco circostante ad essa), come pure la centralità dell’azione, legata alla filiera necessaria alla presentazione in tavola delle varie pietanze ma anche della filosofia che ne determina le scelte.

Lo sguardo del regista vi torna di continuo, ogni volta aggiungendo un particolare che però non riguarda solo il cibo, anche se così non sembra, ma piuttosto la personalità e i sentimenti di chi lo prepara. Come fosse la sinfonia del Bolero di Ravel, l’eterno ritorno a quella liturgia si colora come per magia di nuovi significati che un poco alla volta operano sulla materia una trasfigurazione capace di cambiarla fino a farla diventare una cosa nuova. Così facendo davanti agli occhi dello spettatore i gesti relativi alla preparazione di cene e pranzi si caricano di ulteriori accezioni, facendo corrispondere i gesti materiali all’afflato del corteggiamento amoroso fra Bouffant e la sua amata. Gli esempi di questo gioco di specchi non si contano, tanta è l’abilità del regista nel saper parlare contemporaneamente alla vista e al cuore.

Il collegamento fra cibo ed eros non è una scoperta dell'ultima ora ma ciò che conta in questo caso è il modo in cui il film è capace di metterlo in scena. Ma non basta, perché come aveva fatto Paul Thomas Anderson ne "Il filo nascosto" anche Trần lavora per astrazioni successive, sublimando la materia in spirito e la passione culinaria in desiderio amoroso. È in questo modo che la consistenza delle materie prime e la perfezione delle pietanze oggetto di una continua valutazione tattile rimandano alla bellezza e all'armonia del corpo femminile, in un gioco che diventa sempre più manifesto, ma, come si conviene al corteggiamento amoroso, mai esplicito. Un'equiparazione attestata da un particolare fugace ma decisivo, in cui l’immagine della pera sciroppata appoggiata sul piatto è seguita senza soluzione di continuità dal corpo nudo di Eugénie poggiata sul letto in una maniera che rimanda senza mezzi termini alla forma di quella precedente. Abituato a circoscrivere le storie in unico ambiente, facendole vivere sostituendo i sensi alle parole ("Il profumo della papaya verde", suo esordio registico, fu il primo esempio), Trần realizza un'opera che fonda la modernità di pensiero alla classicità delle forme. "La Passion de Dodin Bouffaunt" infatti arriva a chiamare in causa a modo suo la famosa mutazione della carne cronenberghiana, con la differenza che alla pari del Bertrand Bonello di "La Bête", anche Trần parla del futuro attraverso il passato, ricordandoci, se mai ce ne fosse bisogno, che il tempo così come lo conosciamo è solo una convenzione umana.


Carlo Cerofolini

(recensione pubblicata su ondacinema.it)

Nessun commento: