Presentato alla Festa del Cinema di Roma nel concorso Progressive Cinema – Visioni del Mondo di Domani, Holiday di Edoardo Gabbriellini racconta la difficoltà della giovinezza attraverso il mistero di una storia d’amore e morte. Del film abbiamo parlato con Edoardo Gabbriellini.
Distribuito nelle sale da
Europictures il 23, 24, 25 ottobre, Holiday è una produzione Vision
Distribution, società del gruppo Sky, e CinemaUndici in collaborazione con The
Apartment Pictures, società del gruppo Freemantle, e Frenesy Film.
I tuoi film partono
sempre da un’idea di armonia del paesaggio che in qualche modo contraddici con
immagini che un poco alla volta ne mostrano il lato inquietante. Così era
l’appenino tosco romagnolo de I padroni di casa, così è la riviera ligure di
Holiday, luogo ameno e allo stesso tempo scenario del presunto matricidio di
cui è accusata Veronica, la protagonista del film.
Effettivamente è così,
tra Padroni di casa e Holiday esiste un filo conduttore che secondo me è
rintracciabile nella tensione che attraversa entrambi. Si tratta di una luce
che porta con sé delle ombre.
La dicotomia del
paesaggio appartiene alla natura delle immagini, sempre in bilico tra realtà e
apparenza, tra un passato e un presente destinati a confondersi al punto di
mettere in crisi il giudizio dello spettatore. Tema, questo, che Holiday
affronta anche attraverso la lettera che Veronica immagina di leggere
all’uditorio del tribunale. In essa la ragazza si lamenta di essere ritenuta
colpevole dai media solo per il fatto di non corrispondere al modello
dominante. Holiday ha il pregio di far riflettere lo spettatore su questo
argomento, minandone continuamente le certezze che si è fatto.
Il discorso
sull’apparenza c’era anche nel mio primo film e portava gradualmente allo
scoppio della violenza. In Holiday quest’ultima è più sottesa ed esistenziale
o, ancora meglio, antropologica. Il fatto di destrutturare la costruzione
narrativa mi serviva proprio per esasperare il gioco di specchi e di ombre
capaci di sparigliare le certezze dello spettatore che è spinto a rivedere
continuamente la sua posizione rispetto al racconto dei fatti e alle intenzioni
dei personaggi. Così funziona anche per le emozioni, sempre in bilico tra
reazioni di segno opposto. Il mio intento era quello di mettere chi guarda
nella posizione di chiedersi da che parte stare avendo dei dubbi sulla risposta
da darsi.
Parlavi di un approccio
antropologico. In Holiday questo riguarda soprattutto i corpi su cui tu ragioni
presentandoci quelli delle due amiche, così diversi l’uno dall’altro da farci
orientare il giudizio rispetto alle loro azioni. Nel film le considerazioni
rischiano di essere condizionate dall’aspetto estetico.
Che ci piaccia o no siamo
condizionati dai canoni estetici che di volta in volta ci vengono imposti. In
taluni casi sono anche etici e morali. Basta guardare ciò che sta succedendo in
Medio Oriente in cui ci sono tutta una serie di cose che non si possono dire
proprio perché siamo condizionati da certi pregiudizi. Questo modo di pensare
credo sia alla base della drammaturgia del film.
La sequenza iniziale è il
risultato di una mescolanza di formati e di drammaturgie capaci di evocare
un’altalena di sentimenti ed emozioni. Dal reale al surreale, dalla poesia alla
tragedia, l’eterogeneità dei primi minuti è la stessa che incontriamo lungo
tutto il film, di cui fanno parte certi movimenti di macchina che richiamano il
cinema dei grandi autori.
Sono d’accordo con te e
aggiungo che mai come oggi il cinema parla di se stesso. Nella sequenza
menzionata c’è anche un intervento che potrei definire letterario in cui, per
una volta, e solo per quella, ascoltiamo una musica extra diegetica, chiamata a
fare da cappello a una storia molto più ruvida e frontale della sua premessa.
Non a caso la dolce
nostalgia di quella musica e la poesia del paesaggio marino di colpo
trascolorano nella freddezza entomologica delle fotografie dei cadaveri del
massacro di cui è accusata Veronica.
La freddezza di cui parli
deriva dal fatto che si tratta di fotografie scattate dalla polizia scientifica
per coadiuvare le indagini degli inquirenti.
Holiday ha uno sguardo
molto anticonformista anche nella scelta dei volti e dei corpi che mette in
scena. Parlo soprattutto di quelli femminili la cui energia e vitalità in certi
tratti mi ha ricordato quelli presenti nel cinema di Abdellatif Kechiche.
In qualche modo il mio
tentativo era di avere una forma di discrezione nel modo di guardare queste
ragazze. Ho pensato spesso al cinema francese degli anni ottanta che in mezzo a
tanto altro è quello in cui mi sono formato. Da quei film ho voluto prendere la
delicatezza. Spero che tutto questo traspaia. Dopodiché mi fa piacere che tu
definisca il mio sguardo anticonformista perché è un aggettivo che mi piace. Da
parte mia c’è stata la volontà di mantenere la giusta misura tra me che
guardavo e le ragazze.
Soprattutto nella prima
parte, quando descrivi l’amicizia tra Veronica e Giada, i primi piani su di
loro sono davvero emozionanti perché i volti trasmettono come pochi l’acerba
bellezza della giovinezza. Parliamo di immagini di una purezza infinita.
Wow, mi prendo questi
complimenti e me li porto a casa con grande gioia. Le due ragazze mi hanno
aiutato a restituire questo brutale candore. Sono state loro a farmi avvicinare
quando dovevo. Suggerendomi il momento in cui dovevo spiarle da lontano o in altro
modo. Su di me hanno avuto un impatto fondamentale per capire che registro
linguistico dovevo usare.
Il piano sequenza che
dalla spiaggia entrava nell’aula di tribunale passando per la finestra
dell’edificio mi è sembrato un omaggio a Professione Reporter di Michelangelo
Antonioni. Rispetto al linguaggio fin lì utilizzato lo scarto segnala un
cambiamento importante, quello tra la giovinezza e l’età adulta.
Ti ringrazio per le
parole. In quel caso avevo l’esigenza di aumentare il contrasto tra la
leggerezza di quattro ragazze che in spiaggia parlano di sesso in maniera
ironica e conflittuale e poi di colpo si ritrovano dentro l’atmosfera
claustrofobica di un drammatico processo. A essere messa all’angolo dalla vita
è una ragazzina di solo diciannove anni.
Una giovinezza che tu
racconti come uno stato d’assedio.
Perché quella è davvero
così. Non c’è altro modo per descriverla. Credo che l’idea di raccontarla
usando una cornice di genere thriller servisse per esasperare questo tipo di
sentimento che peraltro condivido.
Le immagini lo esprimono
con inquadrature che sfruttano le architetture per segnare la separazione tra
la protagonista e il resto del mondo.
Perché è quello che mi
ricordavo di quell’età lì. Per descriverla mi ha aiutato avere un figlio
coetaneo di Veronica e Giada. Osservandolo ho ritrovato familiarità con quella
dimensione che, se ti ricordi, è di quelle dove non son previste sfumature e in
cui tutto è assoluto: i rapporti come le amicizie, con il migliore amico che è
anche in qualche modo il tuo amante, quello nel cui sguardo riconosci la
migliore versione di te. A lui si appoggiano le tue fragilità e l’altro fa
altrettanto. Sono cose che sento nel profondo e mi sembrava interessante
tentare di riprodurle.
Holiday è un film in cui
i dettagli fanno la differenza. Penso per esempio all’importanza dei colori che
oltre a una funzione premonitoria permettono di distinguere tra il passato e il
presente del racconto.
Ovviamente i tuoi
apprezzamenti riguardano tutte quelle cose che ho cercato di perseguire nel
filmare la storia. Quando lo si fa speri sempre che il pubblico riesca a
coglierle dunque mi fa piacere che tu te ne sia accorto.
Per la riuscita del film
risulta fondamentale il montaggio emotivo di Walter Fasano che mescola senza
soluzione di continuità spazio e tempo restituendo la vicenda come flusso di
coscienza.
Il montaggio è stato importantissimo. La struttura del film era già nella sceneggiatura prima di andare sul set ma come ben sai il montaggio è la terza e ultima scrittura del film. In questo la sensibilità di Walter ha arricchito ulteriormente il film.
Veronica e Giada sono
interpretate da Margherita Corradi e Giorgia Frank che, al loro debutto sullo
schermo, risultano brave e credibili. Per alcuni registi la mancanza di scuola
è un vantaggio, per altri è vero il contrario.
Veronica e Giorgia non
avevano mai pensato di diventare attrici. Per rispondere alla tua domanda,
penso che ogni volta dipenda dai progetti. Sai che ho lavorato con grandi
interpreti. Qui, invece, mi confronto con attori non professionisti. Per l’età
trattata dal film avevo bisogno di qualcosa di acerbo negli atteggiamenti: nel
modo di muoversi e di toccarsi, come pure di occupare lo spazio filmico. Da qui
l’idea di fare uno street casting di quel tipo, andando a pescare un talento
ancora inconsapevole di esserlo. Dopo aver trovato Margherita abbiamo interpellato
le sue amiche e tra queste abbiamo scelto Giorgia che conosce da sempre
Margherita. La loro amicizia ha regalato al film l’amicizia e l’intimità che
cercavamo e loro sono state veramente brave a renderlo per tutta la durata
delle riprese.
Per concludere volevo
chiederti che tipo di cinema piace a Edoardo Gabbriellini.
Mi piace quello che mi
lascia un po’ di spazio a me che lo guardo.
Come il tuo film nei
confronti dello spettatore.
Così mi auguro.
Carlo Cerofolini
(intervista pubblicata su taxidrivers.it)
Nessun commento:
Posta un commento