lunedì, dicembre 11, 2023

HOLIDAY: INTERVISTA A EDOARDO GABBRIELLINI

Presentato alla Festa del Cinema di Roma nel concorso Progressive Cinema – Visioni del Mondo di Domani, Holiday di Edoardo Gabbriellini racconta la difficoltà della giovinezza attraverso il mistero di una storia d’amore e morte. Del film abbiamo parlato con Edoardo Gabbriellini.

Distribuito nelle sale da Europictures il 23, 24, 25 ottobre, Holiday è una produzione Vision Distribution, società del gruppo Sky, e CinemaUndici in collaborazione con The Apartment Pictures, società del gruppo Freemantle, e Frenesy Film.

I tuoi film partono sempre da un’idea di armonia del paesaggio che in qualche modo contraddici con immagini che un poco alla volta ne mostrano il lato inquietante. Così era l’appenino tosco romagnolo de I padroni di casa, così è la riviera ligure di Holiday, luogo ameno e allo stesso tempo scenario del presunto matricidio di cui è accusata Veronica, la protagonista del film.

Effettivamente è così, tra Padroni di casa e Holiday esiste un filo conduttore che secondo me è rintracciabile nella tensione che attraversa entrambi. Si tratta di una luce che porta con sé delle ombre.

La dicotomia del paesaggio appartiene alla natura delle immagini, sempre in bilico tra realtà e apparenza, tra un passato e un presente destinati a confondersi al punto di mettere in crisi il giudizio dello spettatore. Tema, questo, che Holiday affronta anche attraverso la lettera che Veronica immagina di leggere all’uditorio del tribunale. In essa la ragazza si lamenta di essere ritenuta colpevole dai media solo per il fatto di non corrispondere al modello dominante. Holiday ha il pregio di far riflettere lo spettatore su questo argomento, minandone continuamente le certezze che si è fatto.

Il discorso sull’apparenza c’era anche nel mio primo film e portava gradualmente allo scoppio della violenza. In Holiday quest’ultima è più sottesa ed esistenziale o, ancora meglio, antropologica. Il fatto di destrutturare la costruzione narrativa mi serviva proprio per esasperare il gioco di specchi e di ombre capaci di sparigliare le certezze dello spettatore che è spinto a rivedere continuamente la sua posizione rispetto al racconto dei fatti e alle intenzioni dei personaggi. Così funziona anche per le emozioni, sempre in bilico tra reazioni di segno opposto. Il mio intento era quello di mettere chi guarda nella posizione di chiedersi da che parte stare avendo dei dubbi sulla risposta da darsi.

Parlavi di un approccio antropologico. In Holiday questo riguarda soprattutto i corpi su cui tu ragioni presentandoci quelli delle due amiche, così diversi l’uno dall’altro da farci orientare il giudizio rispetto alle loro azioni. Nel film le considerazioni rischiano di essere condizionate dall’aspetto estetico.

Che ci piaccia o no siamo condizionati dai canoni estetici che di volta in volta ci vengono imposti. In taluni casi sono anche etici e morali. Basta guardare ciò che sta succedendo in Medio Oriente in cui ci sono tutta una serie di cose che non si possono dire proprio perché siamo condizionati da certi pregiudizi. Questo modo di pensare credo sia alla base della drammaturgia del film.

La sequenza iniziale è il risultato di una mescolanza di formati e di drammaturgie capaci di evocare un’altalena di sentimenti ed emozioni. Dal reale al surreale, dalla poesia alla tragedia, l’eterogeneità dei primi minuti è la stessa che incontriamo lungo tutto il film, di cui fanno parte certi movimenti di macchina che richiamano il cinema dei grandi autori.

Sono d’accordo con te e aggiungo che mai come oggi il cinema parla di se stesso. Nella sequenza menzionata c’è anche un intervento che potrei definire letterario in cui, per una volta, e solo per quella, ascoltiamo una musica extra diegetica, chiamata a fare da cappello a una storia molto più ruvida e frontale della sua premessa.

Non a caso la dolce nostalgia di quella musica e la poesia del paesaggio marino di colpo trascolorano nella freddezza entomologica delle fotografie dei cadaveri del massacro di cui è accusata Veronica.

La freddezza di cui parli deriva dal fatto che si tratta di fotografie scattate dalla polizia scientifica per coadiuvare le indagini degli inquirenti.

Holiday ha uno sguardo molto anticonformista anche nella scelta dei volti e dei corpi che mette in scena. Parlo soprattutto di quelli femminili la cui energia e vitalità in certi tratti mi ha ricordato quelli presenti nel cinema di Abdellatif Kechiche.

In qualche modo il mio tentativo era di avere una forma di discrezione nel modo di guardare queste ragazze. Ho pensato spesso al cinema francese degli anni ottanta che in mezzo a tanto altro è quello in cui mi sono formato. Da quei film ho voluto prendere la delicatezza. Spero che tutto questo traspaia. Dopodiché mi fa piacere che tu definisca il mio sguardo anticonformista perché è un aggettivo che mi piace. Da parte mia c’è stata la volontà di mantenere la giusta misura tra me che guardavo e le ragazze.

Soprattutto nella prima parte, quando descrivi l’amicizia tra Veronica e Giada, i primi piani su di loro sono davvero emozionanti perché i volti trasmettono come pochi l’acerba bellezza della giovinezza. Parliamo di immagini di una purezza infinita.

Wow, mi prendo questi complimenti e me li porto a casa con grande gioia. Le due ragazze mi hanno aiutato a restituire questo brutale candore. Sono state loro a farmi avvicinare quando dovevo. Suggerendomi il momento in cui dovevo spiarle da lontano o in altro modo. Su di me hanno avuto un impatto fondamentale per capire che registro linguistico dovevo usare.

Il piano sequenza che dalla spiaggia entrava nell’aula di tribunale passando per la finestra dell’edificio mi è sembrato un omaggio a Professione Reporter di Michelangelo Antonioni. Rispetto al linguaggio fin lì utilizzato lo scarto segnala un cambiamento importante, quello tra la giovinezza e l’età adulta.

Ti ringrazio per le parole. In quel caso avevo l’esigenza di aumentare il contrasto tra la leggerezza di quattro ragazze che in spiaggia parlano di sesso in maniera ironica e conflittuale e poi di colpo si ritrovano dentro l’atmosfera claustrofobica di un drammatico processo. A essere messa all’angolo dalla vita è una ragazzina di solo diciannove anni.

Una giovinezza che tu racconti come uno stato d’assedio.

Perché quella è davvero così. Non c’è altro modo per descriverla. Credo che l’idea di raccontarla usando una cornice di genere thriller servisse per esasperare questo tipo di sentimento che peraltro condivido.

Le immagini lo esprimono con inquadrature che sfruttano le architetture per segnare la separazione tra la protagonista e il resto del mondo.

Perché è quello che mi ricordavo di quell’età lì. Per descriverla mi ha aiutato avere un figlio coetaneo di Veronica e Giada. Osservandolo ho ritrovato familiarità con quella dimensione che, se ti ricordi, è di quelle dove non son previste sfumature e in cui tutto è assoluto: i rapporti come le amicizie, con il migliore amico che è anche in qualche modo il tuo amante, quello nel cui sguardo riconosci la migliore versione di te. A lui si appoggiano le tue fragilità e l’altro fa altrettanto. Sono cose che sento nel profondo e mi sembrava interessante tentare di riprodurle.

Holiday è un film in cui i dettagli fanno la differenza. Penso per esempio all’importanza dei colori che oltre a una funzione premonitoria permettono di distinguere tra il passato e il presente del racconto.

Ovviamente i tuoi apprezzamenti riguardano tutte quelle cose che ho cercato di perseguire nel filmare la storia. Quando lo si fa speri sempre che il pubblico riesca a coglierle dunque mi fa piacere che tu te ne sia accorto.

Per la riuscita del film risulta fondamentale il montaggio emotivo di Walter Fasano che mescola senza soluzione di continuità spazio e tempo restituendo la vicenda come flusso di coscienza. 

Il montaggio è stato importantissimo. La struttura del film era già nella sceneggiatura prima di andare sul set ma come ben sai il montaggio è la terza e ultima scrittura del film. In questo la sensibilità di Walter ha arricchito ulteriormente il film.

Veronica e Giada sono interpretate da Margherita Corradi e Giorgia Frank che, al loro debutto sullo schermo, risultano brave e credibili. Per alcuni registi la mancanza di scuola è un vantaggio, per altri è vero il contrario. 

Veronica e Giorgia non avevano mai pensato di diventare attrici. Per rispondere alla tua domanda, penso che ogni volta dipenda dai progetti. Sai che ho lavorato con grandi interpreti. Qui, invece, mi confronto con attori non professionisti. Per l’età trattata dal film avevo bisogno di qualcosa di acerbo negli atteggiamenti: nel modo di muoversi e di toccarsi, come pure di occupare lo spazio filmico. Da qui l’idea di fare uno street casting di quel tipo, andando a pescare un talento ancora inconsapevole di esserlo. Dopo aver trovato Margherita abbiamo interpellato le sue amiche e tra queste abbiamo scelto Giorgia che conosce da sempre Margherita. La loro amicizia ha regalato al film l’amicizia e l’intimità che cercavamo e loro sono state veramente brave a renderlo per tutta la durata delle riprese.

Per concludere volevo chiederti che tipo di cinema piace a Edoardo Gabbriellini.

Mi piace quello che mi lascia un po’ di spazio a me che lo guardo.

Come il tuo film nei confronti dello spettatore. 

Così mi auguro.


Carlo Cerofolini

(intervista pubblicata su taxidrivers.it)

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