Holiday
di Edoardo Gabbriellini
con Margherita Corradi,
Giorgia Frank, Alessandro Tedeschi
Italia, 2023
genere: drammatico
durata: 102’
Che sia la traduzione
inglese della parola vacanza, da intendersi sia come periodo di ferie e relax
sia come evasione dai problemi della vita, o che sia il nome di un hotel, ha
poca importanza.
Quell’ “holiday” di
Edoardo Gabbriellini è, in realtà, molto di più. È la storia di Veronica e
Giada. La prima, accusata dell’omicidio della madre e dell’amante di lei, ha
scontato 22 mesi di prigione. La seconda è la sua migliore amica, pronta a
starle vicina e sorreggerla in caso di bisogno.
Ma tornare alla vita di
sempre in una situazione del genere è tutt’altro che facile. E anche quello che
sembra semplicemente uno svago per una giovanissima si trasforma subito in
un’esca che stampa e non solo sfruttano in maniera negativa. Se, quindi, uscire
in discoteca con l’amica la sera in cui si ritrova finalmente in libertà non
sembra essere una scelta indovinata per Veronica, sarà ancora peggio la
reazione di Giada alle soffocanti pressioni da parte delle persone nei
confronti dell’amica che si reca semplicemente al cimitero alla tomba della
madre.
A essere soffocanti,
però, non sono solo le pressioni dall’esterno (e dall’interno), ma anche la
struttura e la visione della vita da parte delle due giovani. La sensazione,
per lo spettatore, è quella di affogare continuamente e rimanere confinato
nelle mura domestiche, anche simboliche, rappresentate dal modo di porsi della
giovane quasi sempre chiusa in sé stessa e mai davvero in grado di dire la sua
verità.
Anche i continui primi
piani e l’insistenza nel cercare di carpire emozioni diverse da Veronica e
Giada sono elementi che costringono lo spettatore a non distrarsi e a rimanere
confinato, come le due protagoniste stesse, all’interno di questo hotel nel
quale sembra essersi consumato l’efferato delitto. Ma è andata davvero così?
L’intento di Gabbriellini
è quello di confinarci a osservare senza necessariamente capire. O meglio,
senza necessariamente darci una spiegazione a ogni singola scena, ogni singola
azione e ogni singolo pensiero. Non entriamo mai davvero nella mente di colei
che è accusata da tutti di essere la responsabile del duplice omicidio. Allo
stesso modo non abbiamo prove né in un senso né in un altro. Come il film
stesso, anche la storia di Veronica è continuamente in bilico. Non abbiamo
prove della sua innocenza né della sua colpevolezza. Anzi, nel momento del
processo e delle testimonianze di amici e parenti sembriamo non riuscire a
incastrare nel modo corretto i pezzi del puzzle. Qualcosa sembra sfuggire,
continuamente.
Se nel primo istante ci
troviamo ad accusare una persona, nell’istante immediatamente successivo ci
troviamo costretti a cambiare idea. E l’abilità di Gabbriellini sta proprio in
questo: porre il proprio pubblico davanti a un bivio senza tendergli la mano,
senza aiutarlo a trovare la strada corretta. Seguendo questa logica
(de)costruisce il suo stesso film, a metà tra un giallo e un processuale, nel
quale, come nella migliore delle tradizioni, tutti sono innocenti e tutti sono
colpevoli.
Addirittura arriva a
trovare spazio per inserire anche una parentesi più onirica che, però, diventa
un tutt’uno con la realtà, facendo dubitare i protagonisti stessi di ciò che
vedono e ciò che fanno.
Infine, se c’è
un’attenzione particolare, per ovvie ragioni, sul rapporto conflittuale che
Veronica ha con la madre, evidenziato da differenze non solo caratteriali (e
che è anche ciò che la incrimina inizialmente), non c’è purtroppo la stessa
attenzione per altri personaggi della storia, come l’amante della madre o l’amica
che testimonia al processo, forse volutamente non sviluppati per non
distogliere l’attenzione dal focus della narrazione.
Veronica Ranocchi
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