Dare forma ai percorsi mentali e psicologici che informano i comportamenti umani non è cosa da poco. Chi si cimenta in questo terreno deve fare i conti con un evidenza che è allo stesso tempo significativa ma anche impalpabile; un procedimento che richiede l'empatia del Terapeuta ed il distacco dell'Entomologo ben sapendo che, per quantoaccurato, il risultato riuscirà solo in parte a soddisfare le premesse ed a restituirci quella ragnatela di reazioni chimiche ed impulsi ancestrali che guidano la nostra vita. Quando è il cinema che si assume l'onere di far vivere quest'utopia i segni diventano ancor più soggettivi e spesso sconfinano fuori dallo schermo per annidarsi nella mente di chi li guarda.
Così accade anche nell'opera seconda di Paolo Franchi, un autore che certamente non deve essersi perso un fotogramma di Kieslowsky (la presenza di Irene Jacob non è un caso) ma anche per restare in Italia di Michelangelo Antonioni (soprattutto per la rarefazione del paesaggio umano e per il senso geometrico degli spazi), quando ha deciso di continuare a sondare le dissociazioni, anzi bisognerebbe dire le distanze che ci separano da noi stessi, con una storia ancora una volta ambientata a Torino, città nella quale si svolgeva parte del suo bellissimo "La Spettatrice". Ma in questo caso il regista dà vita ad un movimento che va in senso opposto (lì tutto iniziava dall'esterno, qui invece l'origine delle cose segue la direzione opposta), perchè a differenza del personaggio interpretato dalla Bobulova, che viveva la sua vita per interposta persona, rubandola a quelle delgi altri, spettatrice di un mondo che le apparteneva solamente in virtù di quello sguardo, quello di Bruno Todeschini si guarda e si ritrova mettendo ordine al caos che lo pervade (ed è paradossale in un film che procede con apparente disordine) procedendo in senso inverso, tirando fuori piuttosto che immagazinando, creando la realtà (il personaggio interpretato da Elio Germano è forse il suo doppio o comunque il simbolo del senso di colpa che gli impedisce di confidarsi con la moglie) piuttosto che subirla. Tutto ciò che vediamo è la proiezione del suo mondo interiore ( la struttura da thriller esistenziale non può funzionare in altra maniera). Il responso dello specialista che gli annuncia l'impossibilità di avere figli, il tentativo di nascondere alla moglie le difficoltà finanziarie e sopratutto l'incontro con Luca (Germano), un ragazzo che lo perseguita in maniera morbosa e per motivi che si chiariranno solo in parte, sono i frammenti di un mondo che è andato in frantumi ed insieme l'estremo tentativo di rimetterlo in piedi per liberarsene definitivamente. Dissoluzione e ricomposizione perfettamente sintetizzate dalle sequenze che aprono e chiudono il film : apparentemente uguali (in realtà la prima è continuamente spezzata da qualcos'altro, e corredata da un rumore - estraneo ed extradiegetico - che ci rivela fin da subito l'inizio della dissociazione mentre quella conclusiva, privata di quel "disturbo", ne annuncia la guarigione) con un campo medio sul protagonista ripreso di profilo mentre, seduto all'interno di una stanza arredata in maniera spartana e quel tanto per renderla funzionale, aspetta di parlare con il suo interlocutore ancora fuori scena. Sono schegge temporali di un attesa breve ma sofferta perchè è la premessa di un responso che in entrambi i casi non lascerà scampo al protagonista. Istanti che si dilatano senza tempo e su diversi piani (reale ed immaginario lasciano spesso il posto al flusso di coscienza ed al sogno),con una serie di scene autoconclusive se non fosse per la presenza di uno strano omicidio, che sembra legare ad un unico destino le vicende private dei due protagonisti.. Il paesaggio che riceve i loro pensieri ha il riflesso abbacinante di un raggio di sole e la solidità di un cielo carico di pioggia., mentre l'isolamento emotivo è reso concreto dall'inserimento di una colonna sonora che satura le percezioni con un suono cupo e ossessivo. Il continuo richiamo all'organo sessuale femminile, vera e propria "fonte di calore" , in un panorama freddo e senza amore, così come l'evidente, nei fatti ma anche nelle parole, rapporto conflittuale tra Padri e Figli ci rivelano la natura Edipica di un film che fallisce non tanto per la complessità dei temi ma per la prevedibilità della loro rappresentazione che sembra appartenere al repertorio già vista di tanto cinema del passato. La scelta dello stile è ineccepibile ma solo in alcuni momenti riesce a sostenere le intenzioni dell'autore. Rimane la stima per un regista che ha avuto il coraggio di rischiare, ma anche la delusione tutta personale per un attesa non ripagata.
5 commenti:
spero di vederlo il prima possibile come anche "per uno solo dei miei occhi".
Si,
è comunque un film da vedere
nickoftime
Per uno solo dei miei occhi...che film è mi pare di non averlo mai sentito?
nickoftime
errore: per uno dei miei due occhi. è un documentario con la regia di avi mograbi. sul web e sulle riviste cartacee ho letto bene. il documentarista spiega il comflitto israeliano/palestinese rincorrendo ai miti di sansone.
a si adesso ho capito, grazie ma anche Rubini di cui sto finedo di scrivere vale la pena. Nei Blog mi sono accorto che il suo film non ha lasciato traccia ma per me è stato il miglior film italiano visto quest'anno. Forse il fatto di ricorrere ad attori eplicitamente "Belli" diminuisce il suo appeal cinefilo?...
nickoftime
Posta un commento