lunedì, ottobre 12, 2009

TENDERNESS

La cognizione del dolore attraverso i gesti di una quotidianità, sofferta ma indispensabile a reiterare la sensazione di esistenza, altrimenti percepità come vuoto asettico ed impalpabile. Il tentativo di afferare la vita riproducendola secondo lo schema preordinato di un misterioso demiurgo. Strade solitarie ed interminabili si presentano davanti ai tentativi di cambiare lo stato delle cose. Eric Poole è un diciottenne che ha ucciso i propri genitori per preservare un terribile segreto.

Uscito anzitempo di prigione trova ad aspettarlo il detective Cristofuoforo (Russel Crowe), convinto della sua natura psicopatica e deciso ad impedire nuovi misfatti, e Lori, una ragazza che in qualche modo sembra essere a conoscenza dell’oscuro passato del giovane. Un triangolo eterogeneo ma unito da una condizione di sofferenza che assume le forme di una dipendenza verso le vite degli altri, scandagliate con metodicità ed umana dedizione (il detective), distorte dalla fantasia di un adolescenza turbata dalle precoci attenzioni degli adulti (Lori), ed infine distrutte (Eric) nel tentativo di afferrare quella felicità negata dalla natura della propria condizione.

Roger Polson dopo una manciata di esperienze dedicate al cinema di genere esordisce in quello d’autore con un opera che deve molto al cinema di Clint Eastwood, a cominciare dall’aspetto visuale, calorosamente raggelato dalla telecamera di Tom Stern, operatore di fiducia nel magnifico settantenne, e anche qui capace di fondere la tensione morale dei personaggi, sempre sul punto di esplodere in un azione definitiva, con l’immota presenza di un paesaggio, geografico ed umano, che sembra confermare nella sua distaccata partecipazione, le insondabili ragione delle meccaniche celesti. Polson filma con discrezione, lasciando fuori campo sensazionalismi e facili pruderie, per concentrarsi sul privato di una vicenda che inizia come un road movie, con i due giovani che si avviano verso un fatidico appuntamento, attraverso un America da quadro Hopperiano, frantumata in una costellazione interminabile di spazi limitati e prospettive siderali, ed assume le caratteristiche di una detection, quando Cristuoforo, a sua volta prostrato da un privato altrettanto straziante (deve accudire la moglie in coma vegetativo), insegue la coppia con un attitudine che trova le proprie motivazioni nel tentativo di arginare, anche per interposta persona, la scia di afflizione che lo pervade. La macchina da presa si cala lentamente nell’inferno quotidiano rispettando gli spazi del pudore e così facendo sembra offrire i margini di un possibile cambiamento; movimenti che traducono in immagini i pensieri dei personaggi, senza alterare la registrazione del presente.

Abiti stazzonati e fisico appesantito Russel Crowe nella parte del malinconico poliziotto è perfetto nel tratteggiare l’impotenza di un uomo che non riesce a cambiare il corso delle cose, mentre i due giovani attori, John Foster, nei panni di un uomo dominato dai propri fantasmi e Sophie Traub, in quelli della innamorata non corrisposta hanno la giusta dose di freschezza, per rappresentare lo smarrimento di una gioventù precocemente interrotta. Il film, ancora non distribuito sul mercato americano, forse per l’eccessivo pessimismo o più probabilmente per l’understatement interpretativo della sua star, è tratto da un romanzo del defunto Robert Cormier, autore di un certo interesse per il modo crudo e diretto con cui affronta il disagio del mondo giovanile. Una bella sorpresa che gli esercenti non dovrebbero far mancare al pubblico nostrano.

Nessun commento: