Fenomenologia professionale. Passata alle cronache per le frequentazioni altisonanti la femmina mondana ha pensato bene di adeguarsi al clamore del momento inventandosi un epiteto che potesse rappresentarla degnamente in siffatti palcoscenici. E così in meno che non si dica Puttana, Prostituta e Cortigiana sono diventati i rimasugli di una vecchia mentalità non più al passo con la nuova attitudine imprenditoriale di questa procacciatrice di uomini.
Per non essere da meno e come sempre interessata agli aspetti boccacceschi della vita anche la nuova commedia italiana non poteva mancare l’appuntamento con la storia ed in men che non si dica ha allestito uno spettacolo che suona un po’ come la versione truffaldina di certe inchieste televisive che con la scusa della cronaca solleticano il voyeurismo del pubblico raccogliendo le memorie delle scollacciate signorine.
Ecco allora la storia di una donna benestante impegnata a guadagnarsi la pagnotta vendendo il proprio corpo per fare fronte ai debiti del marito defunto e nel contempo costretta a barcamenarsi con la socialità del quartiere dove si è dovuta trasferire (stiamo parlando del Quarticciolo). Imbranata ed a disagio
nelle provocanti mise che di volta in volta scandiscono l’alternanza delle situazioni e degli incontri, Alice avrà modo di sperimentare sulla sua pelle pregi e difetti della nuova occupazione, finendo anche per innamorarsi di Giulio,un coatto dal cuore d’oro che risponde alla faccia e soprattutto al fisico di un sempre più naturale Roul Bova. Gestito da un regista esordiente come Massimiliano Bruno “Nessuno mi può giudicare” tenta di elevarsi al di sopra della media cercando di coniugare una comicità diretta e popolare, quella per intendersi dei campioni di incasso che l’hanno preceduto, con una certa attenzione agli aspetti del reale. E non ci riferiamo tanto al mestiere della protagonista, riprodotto attraverso espedienti ampiamente risaputi (basti pensare alla scena del bar in cui l’iniziazione di Alice diventa l’occasione per fare il verso alla Sally di Meg Ryan) e piuttosto stereotipati ma al fatto di collocare la vicenda in una dimensione di autenticità testimoniata dalla decisione di filmare per davvero nei luoghi che fanno da sfondo alla vicenda, oppure seminando tracce, vedi la locandina de la ricotta di Pasolini nel internet cafe di Giulio (Pasolini tra l’altro non è estraneo al Quarticciolo avendo sceneggiato il film sul famoso Gobbo) di un impegno che vorrebbe tracimare in una divertimento spensierato ma sempre intelligente. Sospetti confermati anche dalla presenza di Paola Cortellesi, comica radical chic prestata ad un ruolo che dovrebbe essere nobilitato da uno humor esibito ma nello stesso tempo controllato, ridanciano ma mai volgare. Missione in parte riuscita, anche se a differenza della sua versione drammatica la Cortellesi in versione comedy è sempre sul filo di una certo autocompiacimento, per la presenza di spalle come Lillo, Papaleo ed una strepitosa Anna Foglietta nella parte di Eva, la escort che insegna ad Alice i rudimenti del mestiere. Le riserve come al solito riguardano la bonarietà che il film sparge a piene mani sulle contraddizioni che si sforza di far emergere. Vizi, razzismo, schermaglie politiche finiscono così per ricadere in quel qualunquismo che Bruno prende in giro scimmiottando la celebre sequenza de la Messa è finita in cui il personaggio di Moretti inveiva nei confronti del cinema di Alberto Sordi (anche qui rossi e neri finiranno per essere tutti uguali). La voglia di affondare il coltello nella piaga come altrove è sostituita dal desiderio di alleggerire il contesto con il fragore di una risata, d’altronde il film è il frutto di una collaborazione degli stessi autori, Brizzi (soggetto) e Bruno (sceneggiatura), già artefici di prodotti come Notte prima degli esami, Ex, Maschi Contro femmine. I tempi sono grami e la cosa migliore è non pensare. In questo senso “Nessuno mi può giudicare” assolve il compito nella maniera migliore.
4 commenti:
mi sa di moderata porcata, ma non porcata estrema
..ahahah!!!!..tra essere o non essere mi sa che hai ragione tè...un saluto
Non malissimo rispetto agli altri film italiani, ma alquanto odiosa la scena del bambino che canta da solo Se mi vuoi:)
..hai ragione..ripensandoci è proprio un momento stracult..certo anche la scena sadomaso con la faccia del cliente che implora di essere frustato vince quasi a parimerito...
Posta un commento