domenica, giugno 26, 2011

Corpo celeste


Corpo celeste, pur condividendo con il più famoso coinquilino (Habemus Papam anch'esso selezionato a Cannes ed al centro di un forte scambio di opinioni) il punto di partenza, ovvero quello di una "chiamata" che diventa la presa di coscienza di qualcosa di più grande e di una responsabilità che cambia la vita, se ne distacca per la capacità di andare al cuore del problema con una radicalità, di stile e di parole, che non ammette dubbi.

Al centro della storia c'è Marta ed i corsi di catechismo che la stessa frequenta per accostarsi alla cresima. Con lei una famiglia in difficoltà (il padre è assente mentre la madre è costretta ad un lavoro faticoso per riuscire a mantenere lei e la sorella) e la comunità religiosa di una città meridionale. Persone disposte all'accoglienza a patto che ci si adegui ai rituali di una civiltà conservatrice e chiusa. L'ingenuità di Marta ed il suo non riconoscersi nei comportamenti che le verranno imposti la faranno progressivamente distaccare da quel mondo.

Se l'alienazione in senso lato è il segno principale che percorre tutto il film, non solo nel girovagare e nello spaesamento di Marta che ricorda quello di certi personaggi del cinema di Antonioni, ma in generale, per la presenza di un umanità con cui è impossibile comunicare- il prete del paese dedicato agli affari della politica più che a quelli evangelici, ma anche l'insegnante di catechismo chiusa all'interno delle formule imparate a memoria ed impartite senza senza alcun spirito critico, ed ancora il Vescovo e la sua curia intenti a soddisfare i propri bisogni nella scena che li vede attendere i preparativi della cerimonia chiusi in una stanza a mangiare ed incuranti dell'esistenza dei fedeli- il film della Rohrwacher è tutto giocato nella dialettica tra la rarefazione del suo personaggio principale, Marta, e la sovraesposizione delle persone che la circondano. Tanto lei è introspettiva e quasi stupita nella scoperta delle cose, quanto gli altri sono invadenti e rumorosi nell'occupazione dello spazio. Al corpo minuto della bambina si oppone l'opulenza sgangherata del corpo ecclesiastico in un alternanza di rumori fraudolenti (la canzone che invita a "sintonizzarsi con Dio" è una nenia che attraverserà in maniera ossessiva tutto l'arco filmico) e di vuoti siderali. Ed ancora, nel contrasto tra la vita, raffigurata nel silenzioso vitalismo di Marta, nella sua attenzione verso forme di nature "non mediate" come quella dei gattini che tenterà di salvare od il pesce che continua a respirare nonostante sia rimasto fuori dall'acqua, e la morte, presente nella mancanza di spontaneità e nella preponderanza dei riti e delle convenzioni delle relazioni umane, e soprattutto nell'episodio del crocifisso abbandonato che il parroco vorrebbe utilizzare durante la cerimonia come simbolo di ritrovata letizia, e che per questo, si adopera di recuperare con l'aiuto della giovane protagonista. E' proprio lì, di fronte a quella presenza muta ed impolverata che si compie il momento più forte del film, quella in cui, Marta, finalmente lontana dalla pazza folla, compie la sua "comunione" con il Cristo della storia. La figura che si china sopra il legno benedetto, e poi le mani che vi scorrono sopra, come a comprendere in un solo gesto l'amore commosso di una figlia devota e lo stupore di una presa di coscienza inaspettata. Due corpi celesti, quello di Marta e quello del Cristo, condannati all'esilio da una contemporaneità che non riesce ad accettare la loro purezza.

Girato con stile scarnificato ed oggettivo, Corpo celeste è organizzato come un racconto di formazione, in cui l'apprendistato del personaggio procede di pari passo con la scoperta delle sovrastrutture che regolano la società dove egli si muove. Intimo ed allo stesso tempo sociale, il film costringe lo spettatore a sintonizzarsi sulle onde emotive della storia grazie ad una scrittura che preferisce suggerire più che esplicitare. I rumori di fondo e quelli sparati a tutto schermo, il contrasto tra la modernità del centro urbano e l'arcaicità del paesaggio naturale rendono la narrazione per lunghi tratti ipnotica e paradossalmente sospesa in un limbo di tragica attesa. Alice Rorhwacher è un nome da tenere in mente.
(
pubblicata su ondacinema.it)

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