Ci sono film destinati a rimanere nella memoria ed altri nella pelle: Tournèe, film d’esordio di Mathieu Amalric, appartiene alla seconda categoria perché raccontando le vicissitudini di una compagnia di teatro burlesque e del suo impresario, Joachim Zand, riesce a parlaci della vita senza la scorza di illusioni di cui spesso si riveste.
Una scelta ambiziosa per la retorica che spesso ne caratterizza i tentativi e che invece il neo regista riesce ad evitare, con una messa in scena di sorprendente sobrietà: monopolizzato da un umanità fisiologicamente eccessiva, vuoi per le caratteristiche fisiche delle sue interpreti, generosamente al di sopra dello stereotipo striminzito delle passerelle modaiole, che per la natura caricaturale dello spettacolo offerto, il Burleque appunto, e senza contare l’egocentrismo di un ruolo, quello dell’impresario interpretato dallo stesso Amalric, elevato al di sopra degli altri per le necessità mercenarie della realizzazione artistica, Tournèe si muove sempre su territori che privilegiano gli aspetti privati ed intimi dei personaggi, evitando di mostrare gli antefatti dolorosi, quelli delle scelte esistenziali (il mondo della televisione e del successo rinnegato da Joachim) e degli abbandoni familiari (i mariti ed i figli sacrificati all’esigenze personali), isolando momenti di vita che riescono ad esprimerne però, le conseguenze e gli sviluppi. Con inquadrature rubate, ed isolando i personaggi in un contesto che li riporta alla loro essenza - le performance delle ballerine riprese da lontano e decontestualizzate dal loro pubblico è esemplare nel rendere la solitudine di cui si fanno portavoci nel corso della storia – Almaric riesce a far dimenticare la carne per coinvolgerci in un diario intimo delicato ed allo stesso tempo vitale.
Costruito alla maniera di un road movie, con la progressione della storia collegata alle varie tappe della tournee, il film si avvale di una fotografia impressionista che favorisce la spontaneità della direzione registica ( per la quale si è tirato in ballo addirittura Cassavetes) e con un cast di attori la cui mancanza di notorietà, e mi riferisco per esempio a Miranda Colclasure ed alla sua splendida Mimì, riesce ad aumentare la credibilità delle loro performance. Presentato al festival di Cannes del 2010, il film si è aggiudicato il premio per la miglior regia. Per chi scrive anche l’attore era degno di menzione.
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