martedì, luglio 12, 2011

London boulevard

La voglia di redenzione deve sempre fare i conti con il passato di chi la cerca.


Mitchel è appena uscito di prigione. Ad aspettarlo gli amici di sempre, quelli con cui ha condiviso il malaffare e forse protetto con il suo silenzio. Pacche sulle spalle, proposte di “lavoro” ed il rispetto che si conviene a chi non ha parlato. Ma il tempo ha lasciato le sue tracce, e con quelle, anche una vita fatta di pensieri ed isolamento. La voglia di cambiare ha la faccia e soprattutto le nevrosi di una stella del cinema segregata nella propria abitazione. A lui il compito di proteggerla da un accolita di paparazzi che ne assediano la casa in cerca dello scoop. Un uscita di scena col silenziatore se non fosse che in queste storie i conti da pagare non finiscono mai.


Opera prima di William Monhan, già sceneggiatore di “The Departed”, “London Boulevard” ha le carte in regola per essere un film noir. Innanzitutto lo scenario, urbano, intricato, multietnico, pericoloso e poi, i personaggi, tutti, senza eccezione, segnati da un peccato originale che li spinge verso il male. E infine la scrittura, secca, senza compiacimenti, funzionale allo sviluppo dei caratteri e delle loro relazioni. Ed in effetti se non fosse per una certa, forse fin troppa somiglianza con una vicenda come quella raccontata in “Carlito's way” e per dei passaggi psicologici un po’ troppo affrettati, il film in questione avrebbe le credenziali per farsi ricordare. Merito di un esordiente che non fa nulla per ingraziarsi i favori del pubblico, riducendo all’essenziale i motivi di una storia d’amore (quella tra Charlotte e Mitchel) costruita sui non detti, e volta a definire le personalità più che il legame delle parti in causa, ma soprattutto capace di dare nuova linfa ad un gruppo di attori che per diversi motivi sembrava aver già dato il meglio di sé: da Colin Farell, strepitoso come non lo si vedeva più dai tempi di "In Bruges - La coscienza dell'assassino", e perfetto nell’incarnare la tenera ruvidezza di un tipo disposto a vendere l’anima al diavolo per difendere la parvenza di un umanità in parte compromessa, a Ray Winstone, un boss che fa a gara per crudeltà con quello interpretato da Nicholson nel film di Scorsese, per non dire di Ben Chaplin, finalmente trasandato ed intraducibile nel suo accento simil cockney e di David Thewlis, alle prese con un personaggio a cui la storia assegna, con un risvolto a sorpresa, il compito di fare il consuntivo di un destino che non prevede vincitori.

Uscito in Inghilterra con esiti commerciali non felici, London Boulevard è stato costretto a ridimensionare le sue pretese.
Distribuito in homevideo nel mercato americano il film giunge in Italia un po’ in sordina e sulla scia di una di popolarità che per Colin Farrel sembra in fase discendente. Nel suo caso questo film sembra fatto apposta per invertire la tendenza.

(pubblicato su ondacinema.it)


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