Oh, Canada - I tradimenti
di
Paul Schrader
con
Richard Gere, Uma Thurman, Jacob Elordi
USA,
2024
genere:
drammatico
durata:
91’
Una
storia che raccoglie più storie al suo interno. Il nuovo film di Paul
Schrader, Oh Canada, sembra dirci proprio questo grazie anche
a due protagonisti che si alternano per dar vita allo stesso personaggio.
Come
da sempre ci ha abituati, lo sceneggiatore, tra i tanti, di Taxi Driver,
impregna la sua opera di dialoghi che iniziano fin dalla prima scena nella
quale vediamo già la fine della storia, spiegata e anticipata da una voce
fuoricampo che continua poi ad accompagnarci per tutto il tempo del film.
La storia è apparentemente molto semplice: Leonard Fife (interpretato da un Richard Gere a tratti invecchiatissimo, sul letto di morte, a tratti molto più giovane, ma anche da Jacob Elordi per la sua versione da adolescente e giovane adulto) è un ex documentarista che viene invitato a raccontare la propria vita e le proprie esperienze lavorative e non davanti a una troupe di giovani che vogliono documentare il modus operandi di quello che loro definiscono un modello da seguire. L’unico obbligo che l’uomo impone è quello di avere sempre accanto la moglie Emma (Uma Thurman) come se si trattasse di una confessione.
Ne ho fatto una carriera tirando fuori la libertà agli altri.
Con questa frase Leonard tenta di dare un senso ai suoi ricordi confusi, offuscati, talvolta falsi o errati. Perché molto spesso quello che vediamo noi spettatori, insieme alla moglie e agli intervistatori, è qualcosa di non ben definito. L’intento di Schrader è quello di raccontare un passato vissuto, ma anche un passato sperato e bramato, provando a plasmare ciò che è stato. Arrivato a un’età tale da non consentire voli iperbolici nel futuro, quello che resta, al regista e al suo personaggio, è ancorarsi a un passato denso di accadimenti e trasformarlo in qualcosa di diverso. Quello che ci troviamo di fronte, quindi, è una ricostruzione non del tutto autentica, che mescola realtà e finzione e che, quindi, porta a confondere non solo il pubblico, ma anche lo stesso Leonard che non riesce nemmeno a confutare la tesi della moglie o degli altri.
Quando non hai più un futuro ti resta solo il passato.
In realtà la confusione che aleggia durante tutta la narrazione, sia quella del presente, sia la ricostruzione del passato, è una confusione dettata dal fatto che tutto quello che vediamo, sentiamo o ascoltiamo non è quello che sembra. Perché Leonard sceglie di fuggire oltre il confine canadese per evitare la leva negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam? C’è forse qualcosa che non ha mai raccontato, né alla moglie, né a nessun altro e che, in qualche modo, ha voluto tenere nascosto anche a sé?Al
di là della (ri)costruzione della sua vita passata, a essere assente in Oh,
Canada è anche un legame diretto tra i due interpreti di Leonard
Fife. Da una parte abbiamo Richard Gere e dall’altra Jacob
Elordi. Se il primo è l’uomo che cerca di tenere le redini dei suoi ricordi
e delle sue avventure, il secondo è quello che li interpreta, giusti o
sbagliati che siano. E si tratta di due fisicità e di due approcci alla vita e
al mondo molto diversi e anche distanti. Probabilmente scelti proprio per
differenziare la visione che lo stesso Leonard ha della vita, o almeno
della visione che vuole avere di tutto ciò che lo circonda (non a caso,
infatti, in alcune sequenze Schrader opta per una versione cinquantenne
di Richard Gere senza chiamare in causa il giovane Elordi).
Schrader
fa un’operazione che ha, quasi, il sapore di un saluto con un film dentro il
film e tutto ciò che ne deriva. Anche perché tutto inizia proprio con la preparazione
della location e della videocamera che andrà a immortalare l’ultima
intervista del regista. Tutto in maniera pulita, con ogni gesto accompagnato dalla
musica e dai titoli di testa fino al primo potente primo piano del protagonista,
come a volerlo incorniciare al centro della scena, a prescindere da tutto e da
tutti. È di lui che si parlerà, è lui che parlerà, è lui che sarà il filo conduttore
della narrazione, sia essa a colori o in bianco e nero. È lui che dovrà
mettersi a nudo davanti allo schermo, raccontando e raccontandosi.
Se
anche Leonard, come tanti personaggi del regista sceneggiatore, nasconde
malessere e contraddizioni, il suo corrispettivo diventa il film stesso, Oh,
Canada, che gli permette di dimostrare, ancora una volta, come il
cinema sia in realtà uno strumento ambiguo, soggettivo e spesso privo di una verità
assoluta e universale.
Veronica Ranocchi
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