domenica, gennaio 05, 2025

DIAMANTI

Diamanti

di Ferzan Ozpetek

con Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Vanessa Scalera

Italia, 2024

genere: drammatico, commedia

durata: 135’

Gli elementi ricorrenti del cinema di Ozpetek ci sono: c’è il cast corale, c’è la grande tavolata, ci sono i volti che hanno lavorato con il regista negli anni. Ma, oltre a questo, ci sono anche delle novità e delle differenze che, se inizialmente sembrano dare una nuova luce, con l’andare avanti della storia si perdono nelle innumerevoli strade che Diamanti sembra voler percorrere.

Un escamotage di metacinema è quello che sceglie il regista turco ormai italianizzato per far addentrare lo spettatore all’interno della sua nuova perla. Un pranzo insieme a tutte le sue attrici (e un paio di attori) è il modo migliore per Ferzan Ozpetek per introdurre sia loro che noi a una storia che trasuda cinema da tutti i pori, ma che, come un bel vestito pomposo, rischia anche, talvolta, di perdersi.

Da un pranzo insieme con una tavola imbandita il regista inizia a spiegare ai presenti il suo prossimo film, cominciando ad assegnare i primi ruoli e fornendo i vari copioni. Improvvisamente veniamo trasportati negli anni ’70, all’interno di una sartoria che si occupa prevalentemente di costumi per teatro e cinema. A capo della sartoria in questione ci sono due sorelle, Alberta e Gabriella Canova (Luisa Ranieri e Jasmine Trinca), per le quali lavora un nutrito gruppo di donne. Tra chi si occupa di tingere le stoffe a chi le taglia, passando per chi le cuce e crea i modelli, tutte sono dedite alla propria occupazione, entusiaste e felici di lavorare insieme per progetti di prestigio. Se, però, possono contare l’una sull’altra sull’ambiente di lavoro, non possono fare lo stesso a casa dove ognuna sembra avere delle problematiche importanti. In questo senso anche i colori, sgargianti, luminosi e quasi magici, all’interno della sartoria, si incupiscono e scuriscono nel momento in cui ognuna di loro varca la soglia della propria abitazione. Tra chi deve fronteggiare problemi economici, a chi ha (o ha avuto) problemi con i figli, passando per chi ha a che fare con la violenza fisica, ogni donna diventa sola e fragile.

Un parterre di grandi attrici che si susseguono sullo schermo per dare vita a un abito, metafora del cinema stesso, dove ogni elemento diventa fondamentale per la buona riuscita del prodotto finale. Diventano necessarie le mani di ognuna delle protagoniste perché, come insegna Alberta all’inizio non esiste un io, esiste un noi. Eliminando anche un solo elemento il risultato finale non sarà mai lo stesso di quello pensato. Bianca Vega (la costumista premio Oscar interpretata da una Vanessa Scalera in stato di grazia) si (af)fida a queste donne che riescono, meglio di chiunque altro, a interpretare i suoi sogni, incarnati da dei bozzetti di costumi per un esigentissimo regista (Stefano Accorsi). Loro sono le uniche in grado di riuscire in un’impresa del genere perché, come i diamanti che andranno (metaforicamente e non) a comporre il maestoso abito finale, sono unite e sanno di poter contare l’una sull’altra. Ma sono anche diamanti intesi come qualcosa di prezioso, resistente e durevole al pari dello spirito femminile.

Al di là di mostrare situazioni purtroppo ancora attuali di disagio e difficoltà, le richieste da parte di alcune di loro (Paolina-Anna Ferzetti ed Eleonora-Lunetta Savino) di nascondere beni preziosi vanno oltre la semplice amicizia. Quella delle sorelle Canova è una sartoria basata sulla fiducia di tutte le donne che, volenterose, hanno deciso di lavorarci e dare anima e cuore al loro mestiere.

Se al centro ci sono le donne e la loro visione del mondo, Ozpetek ritaglia un piccolo spazio anche per alcuni uomini, rovesciando, però, i tradizionali cliché che li vedono in situazioni opposte a quelle mostrate dal film.

    Noi siamo collegate alle stelle, per quello sentiamo tutto.

Potrebbe essere la massima che riassume un film corale, dove, però, ogni personaggio è in grado di delinearsi perfettamente e concretamente, senza prevaricare su nessuno, ma mostrandosi completamente. Rappresentate e incarnate anche dai colori degli abiti che indossano (nella sartoria tutte uguali, ma fuori ognuna con il proprio eccentrico stile) le donne di questo film riescono a essere i perfetti pezzi di un puzzle il cui risultato finale è l’essenza stessa del cinema, come tenta di spiegare il regista con le sue apparizioni saltuarie e la sua conclusione, però non del tutto perfetta.


Veronica Ranocchi

Nessun commento: