sabato, marzo 24, 2012
The Raven
“The Raven” (id., 2012) è il terzo film del regista australiano
James McTeigue. Con una produzione Usa-Spagna-Ungheria il budget
soddisfacente incita l’ambientazione a manifestarsi in modo corposo e
sublime per meglio intagliare e scaraventare i personaggi dentro un
sortilegio narrativo introsp(o)ettivo e trallantoso! Un rigurgito di
racconto fino alla fine e un odore di inchiostro stanano le
reminiscenze dello scrittore non più in voga e del poeta che non
disdegna i versi a ciascuno di noi. E sì che il capzioso intreccio non
è poi così inspirato dal grande sanguinario ma per esso si immerge
nella tetra vita di Baltimora per salvare la sua donna e il rotoli del
suo ultimo racconto orrorifico.
In un 1849 anno di ultima vita dello scrittore Edgar Allan Poe,
Baltimora si appresta ad assistere ad una serie di orrendi delitti che
spaventano non poco la polizia del posto. Senza alcun timore
reverenziale il giovine detective Emmett Fields tende la mano al
famoso personaggio per farsi aiutare a districare il groviglio. Una
matassa che l’assassino adopera bene sullo spunto degli intrecci
narrativi dello scrittore. Un espediente, quello di mettere in scena
Allan Poe dentro alla sua stessa storia, già usato in passato e qui
usato non in modo oculato e sagacemente nel raffronto con lo stessa
indagine. Non è mai facile far penetrare chi ha scritto nelle immagini
di chi vuole descrivere l’immaginario di chi sta cercando di
compiacere chi riprende. L’iconoclasta narrativo è ordinato ma ben
lungi da essere potente e forte nella meta-lingua filmica: purtroppo
il carattere cavernoso e sinuoso delle immagini si perde in
inquadrature, congeniali sì, ma poco incisive alla versatilità del
vero contesto horror-noir. Il sangue rimarcato dalle bocche o quello
finto per deviare le indagini (e in buona pace il pubblico) si spalma
sullo schermo senza un gusto traumatico e il taglio delle gole o di
qualche ventre (siamo nei limiti del giusto) spappolano gli occhi
addomesticati da facili giochi di suspence.
Si ha la sensazione che il dialogo è meno compromissorio rispetto
ai luoghi e alle belle scenografie (aggiustate finché si vuole) così
che tutto si perde in un susseguirsi di eventi sanguinari (in
accumulo) messi lì apposta per piacere ma senza una vera
corrispondente indagine narrativa. E lo scrittore che segue se stesso
dentro la sua stessa storia diventa un ‘manichino’ e un finto
ingranaggio del tutto. La bella che grida e poi ‘dorme’ in attesa del
bacio (stile cartoon) sconsiglia l’investigatore di intromettersi
negli affari degli altri (scritti con cura e ricercati tra le sue
righe) anche perché una pallottola (che fortuna per Poe continuare da
solo!) non disdegna un sua pausa paziente a letto. Quando si fa forza
da solo il suo amico scrittore aveva già afferrato l’ultimo verso per
capire il gioco cruento (quanto mai vicino a sé). Un peregrinare
lontano tra le vie di Baltimora ma il suo studio nasconde l’inconscio
del foglio scritto e l’incubo risolto.
Certo il senso plastico dell’impasto narrativo e l’incastro
sfaccettato dai corpi muti non danno risalto ai temi veri dei racconti
di Allan Poe e il gusto macabro si perde in rituali uccisioni senza
versi d’inchiesta e paure da incubo nelle vie di Baltimora. Si deve
dire che lo girare delle carrozze, le riprese sghembe dall’alto,
l’ammanto del buio, i miscugli dei luoghi e le corse con i cavalli
danno un giusto appagamento agli occhi ma il nesso logico viene
schematizzato in modo facile ed edulcorato. Una via di mezzo tra vera
indagine e movie-spot (nel senso di intermezzi a se stanti) che non
porta ad un vero film stile noir e/o classico horror (penso al passato
di Fritz Lang e al quasi presente di Roger Corman).
Il cast alimenta abbastanza bene il contesto narrativo ma sembra
statuario oltre il dovuto (il personaggio di Allan Poe da parte di
John Cusack appare, forse. Troppo inerte e quindi poco sviluppato) o
quantomeno disegnato con poco spirito partecipativo. Luke Evans (nella
parte del detective) riesce a ritagliarsi un buon ricordo mentre Alice
Eve (Emily) riesce bene nella prima parte (ironicamente innamorata del
suo Poe). Perifrasi della suspence cartoonizzata: questo in
conclusione con un montaggio nervosetto senza senso. Mestamente gli
ultimi venti minuti (per forza di cose) alzano il senso di ricerca ma
il piatto e il poco acume fanno perdere il film in un genere
convenzionale (di routine). I titoli di coda meritano una
considerazione dopo che la pallottola scuce lo schermo (stile ‘Matrix’
a cui il regista ha collaborato nell’intera serie): post moderni e
accattivanti (per piacere…).
Recensione di: loz10cetkind.
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