martedì, marzo 05, 2013

Ritratti: Michelle Yeoh (1)

"But still I'd leap in front of a flying bullet for you"
- The Smiths -



Tra le numerose espressioni dell'umano sentire che i nostri tempi avari e grami stanno erodendo c'è, poco ma sicuro, la grazia. Fragile miracolo, equilibrismo ardito ed esigente, figlia di una sorte magnanima ma pure di una non comune disciplina indistinguibile da un profondo rispetto di se', riporta senza possibilità di errore la mente a concetti primi oramai ostici e desueti, come "armonia", "eleganza", "forza tranquilla". Le sfumature con cui il Cinema ha tentato da sempre di restituire la grazia - e non solo in quelle che, intuitivamente, siamo soliti accostarle, a dire le più "naturali" sembianze e movenze femminili (pensiamo, ad esempio, per andare sul tranquillo scomodando i pezzi grossi, alla "grazia vecchio stampo" di Jimmy Stewart; a quella "burbera" di Spencer Tracy; alla "grazia tormentata" di Montgomery Clift; a quella "sgraziata e indifesa" di James Dean; o ancora a quella "rude e ingombrante" di tipi alla Sterling Hayden o alla Robert Mitchum) - parlano chiaro della sua capacita' d'imporsi senza mediazioni nell'immaginario comune, al punto da sfidare il tempo, di spazzare via magari la traccia di quella determinata storia, di quella particolare trama, persino, a volte, del titolo dell'opera ma mai l'immagine, pur così decontestualizzata, "travisata", pero' netta e indelebile perché, appunto, intrisa di grazia.

Se la nostra intenzione e' anche quella di rintracciare scampoli di grazia - per apprezzarla, per ammirarla, per goderne - non possiamo evitare di parlare di una donna e di un'attrice come Michelle Yeoh. Minuta quanto di piglio tenace, di complessione longilinea, occhi scuri e curiosi, lineamenti leggermente allungati, lisci capelli neri, nell'insieme raro esempio di bellezza imperturbabile che lascia pero' intravedere il contrasto forse insanabile tra un'indole volitiva, un carattere indipendente e un più profondo riguardo, una discrezione verso il mondo e gli altri, Michelle Yeoh Choo-Kheng, di origini malesi e hongkonghese di adozione, neo-cinquantenne (e' dell'agosto del '62), tanto per restare in tema di grazia, inizia sin da bambina a studiare danza, perfezionandosi in Gran Bretagna in ballo contemporaneo e jazz. Abbandonate le speranze di diventare "etoile" per via di un incidente alla schiena e nel frattempo rientrata ad Hong Kong dopo una parentesi in Malaysia, affronta una carriera di modella che le assicura come corollario la produzione di un certo numero di spot pubblicitari e l'avvicinamento rapido al mondo delle "immagini in movimento".


Esordisce sul grande schermo nel 1984 con "The owl vs. bumbo" di Sammo Hung, subito doppiato l'anno seguente - sempre ad opera di Hung - da "Twinkle, twinkle Lucky Stars", ennesimo episodio dell'omonima serie, inserendosi con piccoli ruoli nella tradizione hongkonghese di pellicole ad alto tasso spettacolare su base comico grottesca con, nel caso, la coppia Jackie Chan e Sammo Hung al centro delle vicende. Le cose cominciano a cambiare nel 1987 quando interpreta le gesta di un'eroina pilota durante l'occupazione giapponese in Cina di fine anni '30, in "Magnificent warrior" di David Chung. Una carriera che così sembra dipanarsi in maniera promettente, all'improvviso s'interrompe per un matrimonio che finisce per separarla dai set per quasi un lustro. Il ritorno, pero', e' di quelli che non si dimenticano. Nel 1992 Michelle gira insieme a Jackie Chan - e, possiamo dire, al medesimo rango d'importanza - il, per certi versi insuperato, "Police story 3: supercop" di Stanley Tong, in cui si distingue per doti acrobatiche di rara maestria (tutte le scene pericolose sono girate di persona, compresa quella "folle" in cui si catapulta in moto su un treno in movimento) ma soprattutto per la leggerezza e la compostezza quasi stilizzata nelle sequenze di matrice più "marziale". Il successo del film di Tong consente da un lato a Michelle di affinare le proprie qualità d'interprete d'"azione" con in più una sorta di ritrosia e di ambiguità che si paleseranno compiutamente nelle prove successive e, dall'altro, di inanellare esperienze importanti con i più celebrati esponenti della stagione aurea del cinema di Hong Kong: nel 1993, infatti, a cura di Johnnie To, troviamo Michelle in due film in cui si sommano arti marziali, echi fantastici e cospirazioni di un Male spietato e ultraterreno, "The heroic trio" e "Executioners" in cui, tra l'altro, compaiono altri due simboli di questo universo colorato e pirotecnico, a dire Maggie Cheung e la scomparsa Anita Mui. L'anno successivo, 1994, ecco la chance di mettere a frutto una volta per tutte le abilita fisiche più propriamente "agonistiche" e la misura di gesti e posture acquisita durante la giovinezza dedicata alla danza: per la regia di Yuen Woo-Ping, autore e coreografo di arti marziali conosciuto anche in occidente per gli apporti decisivi dati a pellicole come la trilogia di "Matrix", "La tigre e il dragone", "Kill Bill", "Danny the dog", "Fearless", "The forbidden kingdom", la Yeoh realizza "Wing Chun" e "The Tai-chi master" (assieme a Jet Li), predisponendo al tempo le condizioni che la introdurranno ad Hollywood ed a ruoli in cui, via via, all'esuberanza tecnica, atletica ed estetica si aggiungeranno contraddizioni intime, rinunce e dignitose malinconie.


- parte prima -


TFK

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