L'arbitro
di Paolo Zucca
con Stefano Accorsi, Gepy Cucciari, Benito Orgu
Italia 2013
genere, commedia
durata, 96'
Il titolo del film con i rimandi alla commedia boccaccesca dei vari Lando Buzzanca e Renzo Montagnani contribuisce non poco a confondere le acque. Eppure "L'arbitro" di Paolo Zucca pur rientrando nel contenitore assai vasto della commedia dirada fin da subito ogni dubbio sulla sua paternità, andandosi a cercare i propri modelli nell'opera degli autori nobili del genere, quelli che hanno reso grande il nostro cinema, e poi per tornare ai nostri tempi a quella dei Cipri e Maresco di "cinico tv". Di fronte a noi infatti abbiamo non solo un ritratto di costume della nostra società ma anche l'idea di un italianità spogliata degli antichi fasti e sepolta da un cumulo di conflitti e di macerie. Per rappresentarla l'esordiente Paolo Zucca sceglie la Sardegna, e la rivalità tra due squadre di calcio dilettantistiche, il Pabarile ed il Montecrastu, destinate ad affrontarsi in una partita di calcio che dovrà decidere le sorti del campionato e soprattutto la leadership di una delle due confraternite. Come in una valigia a doppio fondo Zucca si concentra sulle dinamiche relazionali che porteranno allo "scontro" decisivo alternandole con le vicissitudini di Cruciani, arbitro di livello internazionale impegnato a garantirsi con ogni mezzo la finale di una grande competizione europea. Apparentemente lontane per ambizioni e luogo geografico le due vicende sono destinate ad incontrarsi in un finale tragicomico dopo aver sciorinato da ambo le parti la propria dose di miserie e nobiltà ed aver esibito una galleria di "brutti sporchi e cattivi" da museo lombrosiano.
Fotografando la sua storia con un elegante bianco e nero Paolo Zucca raggiunge fin da subito due obiettivi: il primo, di ordine estetico, gli permette di stabilire un equilibrio formale che influenza non solo la composizione delle singole inquadrature, caratterizzate da un controllo e da una ricercatezza veramente sui generis per un prodotto del genere, ma anche le psicologie dei personaggi, tutte quante, anche quelle più estreme (da Brai, mefistofelico possidente terriero a Prospero, allenatore non vedente) tratteggiate con un sorta di fiero pudore che fa da contraltare al climax parossistico di alcune situazioni: basterebbe pensare alla sequenza d'apertura giocata sul filo del rasoio e della sfida con un confronto di sguardi da cinema western, oppure alle reazioni di Cruciani rispetto al rovescio che rischia di mettere fine alla sua carriera. Il secondo invece, più legato ai contenuti è utilizzato per collocare la vicenda in uno spazio temporale indefinito, particolare ed insieme universale, in cui Zucca fa confluire una serie di suggestioni che rappresentano la parte più interessante del film. Puntando i riflettori sulle gesta atletiche di Matzutzi, il figliol prodigo tornato a casa per esibire il proprio talento calcistico nelle file dell'atletico Pabarile, Zucca si costruisce il movente per giustificare una serie d’intermezzi che si rifanno ad un repertorio raffinato e stravagante di cui il calcio è solo un pretesto: dalle atmosfere del ventennio ricordate dalle musiche dell'epoca ("Vivere", di Cesare Andrea Bixio) e parodiate con sequenze che alla maniera dei filmati dell'istituto luce trasformano un allenamento arbitrale in un esibizione della gioventù fascista, a squarci che sembrano omaggiare l’epoca del muto con Accorsi trasformato in un Rodolfo Valentino dei campi di calcio, e poi ancora tormentoni da cinema non sense che fanno il verso alla laconicità del popolo sardo ed al suo essere "mondo a parte" nella cadenzata propodizione del botta e risposta tra due ignoti pastori.
Sulla falsa riga dell’affermazione messa in bocca al sanguigno allenatore del Parabarile “Il pallone è aria rivestita di cuoio” poi ribadita da una sequenza finale (il goal realizzato con un pallone inesistente) che sembra dirci come l’esistenza sia soprattutto un fatto mentale, Zucca parte da elementi reali - il paesaggio sardo e la sua wilderness, l’umanità ferina e tracotante scolpita nelle espressione di volti che sembrano rispecchiare la bellezza senza compromessi di quella terra, le partita di calcio con i suoi risultati - e poi li trascende con una narrazione che diventa a tratti grottesca, altre volte surreale, e che nel personaggio di Cruciani, titolare di una religiosità utilizzata come doping motivazionale intercetta quella commistione tra sacro e profano, farsa e tragedia che da sempre costituisce uno dei cardini della commedia all'italiana ed insieme l'anima più vera del nostro paese. In questo senso l'esordio di Zucca dimostra un ambizione corroborata solo in parte dai risultati. Se infatti originalità e talento visivo riescono a condensare in maniera equilibrata la varietà degli ingredienti impiegati così non succede sul piano della scrittura che forza le psicologie dei protagonisti per far convergere i due filoni della storia, se ne dimentica qualcuno per strada ( la Miranda di Gepy Cucciari per esempio) e che non riesce a fornire una drammaturgia capace di arginare la preponderanza dell'impianto formale. A risentirne è la temperatura emotiva del film attraversato da passioni e sentimenti che non riescono mai a raggiungere il cuore dello spettatore.
di Paolo Zucca
con Stefano Accorsi, Gepy Cucciari, Benito Orgu
Italia 2013
genere, commedia
durata, 96'
Il titolo del film con i rimandi alla commedia boccaccesca dei vari Lando Buzzanca e Renzo Montagnani contribuisce non poco a confondere le acque. Eppure "L'arbitro" di Paolo Zucca pur rientrando nel contenitore assai vasto della commedia dirada fin da subito ogni dubbio sulla sua paternità, andandosi a cercare i propri modelli nell'opera degli autori nobili del genere, quelli che hanno reso grande il nostro cinema, e poi per tornare ai nostri tempi a quella dei Cipri e Maresco di "cinico tv". Di fronte a noi infatti abbiamo non solo un ritratto di costume della nostra società ma anche l'idea di un italianità spogliata degli antichi fasti e sepolta da un cumulo di conflitti e di macerie. Per rappresentarla l'esordiente Paolo Zucca sceglie la Sardegna, e la rivalità tra due squadre di calcio dilettantistiche, il Pabarile ed il Montecrastu, destinate ad affrontarsi in una partita di calcio che dovrà decidere le sorti del campionato e soprattutto la leadership di una delle due confraternite. Come in una valigia a doppio fondo Zucca si concentra sulle dinamiche relazionali che porteranno allo "scontro" decisivo alternandole con le vicissitudini di Cruciani, arbitro di livello internazionale impegnato a garantirsi con ogni mezzo la finale di una grande competizione europea. Apparentemente lontane per ambizioni e luogo geografico le due vicende sono destinate ad incontrarsi in un finale tragicomico dopo aver sciorinato da ambo le parti la propria dose di miserie e nobiltà ed aver esibito una galleria di "brutti sporchi e cattivi" da museo lombrosiano.
Fotografando la sua storia con un elegante bianco e nero Paolo Zucca raggiunge fin da subito due obiettivi: il primo, di ordine estetico, gli permette di stabilire un equilibrio formale che influenza non solo la composizione delle singole inquadrature, caratterizzate da un controllo e da una ricercatezza veramente sui generis per un prodotto del genere, ma anche le psicologie dei personaggi, tutte quante, anche quelle più estreme (da Brai, mefistofelico possidente terriero a Prospero, allenatore non vedente) tratteggiate con un sorta di fiero pudore che fa da contraltare al climax parossistico di alcune situazioni: basterebbe pensare alla sequenza d'apertura giocata sul filo del rasoio e della sfida con un confronto di sguardi da cinema western, oppure alle reazioni di Cruciani rispetto al rovescio che rischia di mettere fine alla sua carriera. Il secondo invece, più legato ai contenuti è utilizzato per collocare la vicenda in uno spazio temporale indefinito, particolare ed insieme universale, in cui Zucca fa confluire una serie di suggestioni che rappresentano la parte più interessante del film. Puntando i riflettori sulle gesta atletiche di Matzutzi, il figliol prodigo tornato a casa per esibire il proprio talento calcistico nelle file dell'atletico Pabarile, Zucca si costruisce il movente per giustificare una serie d’intermezzi che si rifanno ad un repertorio raffinato e stravagante di cui il calcio è solo un pretesto: dalle atmosfere del ventennio ricordate dalle musiche dell'epoca ("Vivere", di Cesare Andrea Bixio) e parodiate con sequenze che alla maniera dei filmati dell'istituto luce trasformano un allenamento arbitrale in un esibizione della gioventù fascista, a squarci che sembrano omaggiare l’epoca del muto con Accorsi trasformato in un Rodolfo Valentino dei campi di calcio, e poi ancora tormentoni da cinema non sense che fanno il verso alla laconicità del popolo sardo ed al suo essere "mondo a parte" nella cadenzata propodizione del botta e risposta tra due ignoti pastori.
Sulla falsa riga dell’affermazione messa in bocca al sanguigno allenatore del Parabarile “Il pallone è aria rivestita di cuoio” poi ribadita da una sequenza finale (il goal realizzato con un pallone inesistente) che sembra dirci come l’esistenza sia soprattutto un fatto mentale, Zucca parte da elementi reali - il paesaggio sardo e la sua wilderness, l’umanità ferina e tracotante scolpita nelle espressione di volti che sembrano rispecchiare la bellezza senza compromessi di quella terra, le partita di calcio con i suoi risultati - e poi li trascende con una narrazione che diventa a tratti grottesca, altre volte surreale, e che nel personaggio di Cruciani, titolare di una religiosità utilizzata come doping motivazionale intercetta quella commistione tra sacro e profano, farsa e tragedia che da sempre costituisce uno dei cardini della commedia all'italiana ed insieme l'anima più vera del nostro paese. In questo senso l'esordio di Zucca dimostra un ambizione corroborata solo in parte dai risultati. Se infatti originalità e talento visivo riescono a condensare in maniera equilibrata la varietà degli ingredienti impiegati così non succede sul piano della scrittura che forza le psicologie dei protagonisti per far convergere i due filoni della storia, se ne dimentica qualcuno per strada ( la Miranda di Gepy Cucciari per esempio) e che non riesce a fornire una drammaturgia capace di arginare la preponderanza dell'impianto formale. A risentirne è la temperatura emotiva del film attraversato da passioni e sentimenti che non riescono mai a raggiungere il cuore dello spettatore.
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