Quindi la gestazione del film è stata lunga.
Si in una maniera persino esagerata. La sceneggiatura è
stata riscritta più volte: dapprima da me e da Carlo Salsa, poi, quando ci
siamo accorti che eravamo arrivati a un punto morto e che il risultato non ci
piaceva anche da Chiara Barzini. Nel frattempo avevamo perso il produttore e
anche l’attrice protagonista che con il passare del tempo era diventata
inadeguata al ruolo. A quel punto una mia collaboratrice mi ha proposto la figlia
di un suo amico e cioè Ondina Quadri che però non aveva mai avuto esperienze
cinematografiche. Sceglierla come poi ho fatto è stata una scommessa sia per me
che per lei.
Da quello che ho capito il film che vediamo è diverso da
quello che avevi pensato la prima volta.
Della prima stesura sullo schermo rimane poco o niente ma
quello che non è cambiato è l’essenza del film. Quello che volevo dire è
rimasto uguale così come l’energia che volevo trasmettere alla storia.
Il corpo inteso in senso fisico è centrale nel tuo film
ma la nudità attraverso cui lo vediamo è svincolata dalla mercificazione che di
solito ne fa il cinema contemporaneo. Al contempo lo sguardo che si posa su
Arianna è rispettoso del pudore con cui il personaggio si mostra ai suoi coetanei.
Volevo sapere quali sono stati i
limiti che ti sei imposto come regista nel offrirlo allo spettatore.
Il corpo e la sua nudità andavano affrontate perché era li
che si rintracciavano i segni che definivano l’identità del personaggio. Il
pudore di cui parli esiste e non è altro che il tentativo di riportare per
immagini il modo con cui gli ermafroditi che abbiamo intervistato durante la
fase di preparazione del film si raccontavano rispetto alle esperienze connesse
con la propria peculiarità fisica. Per quanto riguarda Ondina posso dirvi che
si è prestata alla telecamera in modo naturale e senza alcuna timidezza. La sua
disponibilità è stata importante per riuscire a trovare il personaggio.
A proposito di sguardo in “Arianna” riesci a trovare l’equilibrio
tra le necessità di raccontare l’intimità della protagonista e come tu hai
appena accennato il bisogno di rispettare il suo senso del pudore. In termini di sguardo questo voleva
dire bilanciare l’utilizzo di primi piani molto ravvicinati alla presenza di un
fuori campo che proprio per quel pudore di cui parli si carica di significati
decisivi. Mi potresti dire come sei riuscito ad arrivare a questa sintesi.
A volte uno si domanda in che modo servirsi delle differenze
che ci sono tra uno sguardo oggettivo e quello che invece si immedesima nella
realtà della protagonista. Nella scena in cui Ondina guarda il film
pornografico per esempio ho scelto di non riferirmi alle immagini ma di farle
vedere allo spettatore leggendole attraverso lo sguardo della protagonista. In
quel caso il limite visivo -
quindi il fuori campo - diventa per me il modo di rendere materialmente lo
stato d’animo della ragazza che dentro di se ha paura del sesso e che, come può
constatare lo spettatore, tende a tirarsi indietro quando si tratta di farlo.
In questo caso ho pensato di trasformare il limite psicologico della
protagonista sottraendo allo spettatore la visione delle immagini del film
pornografico.
Il fatto di raccontare la storia attraverso i ricordi
della protagonista ti permetteva una grande libertà creativa, conseguente alla
compresenza di diversi livelli narrativi, ma allo stesso tempo ti esponeva al rischio di una minore coerenza interna. Eri
cosciente di questo.
Penso che la costruzione di un film dipende in massima parte
dalle ragioni che ti spingono a farlo. “Arianna” nasceva da un’urgenza
personale ma nel contempo affrontava un tema ben preciso e cioè quello
dell’ermafroditismo. Ho pensato che raccontare la storia attraverso i ricordi
della protagonista mi permetteva di inserire nella storia quello che ritenevo
più interessante senza la costrizione di dover seguire una rigida cronologia
dei fatti. Tra l’altro considerando che il film è un viaggio di scoperte e di
conoscenze questa forma narrativa
mi permetteva una progressione più frastagliata e discontinua che rendeva bene
l’alternarsi di certezze e dubbi che scandiscono la presa di coscienza di
Arianna.
Complessivamente 380 mila euro quindi possiamo dire che è a
tutti gli effetti un low budget. Se
tieni conto che di questa cifra circa 180 mila sono stati assorbiti dalle tasse
non è difficile immaginare quanto sia stato faticoso riuscire a stare dentro la
cifra che avevamo a disposizione. Certo ho dovuto rinunciare al progetto di
girare in pellicola e poi organizzare un compartimento tecnico ridotto al
minimo; per risparmiare la maggior parte della troupe ha dormito all'interno
della villa in cui abbiamo girato il film, il che da un certo punto di vista è
stato vantaggioso ma dall'altro non mi ha permesso di staccarmi un attimo dal
film con cui ho vissuto 24 su 24.
Il tuo film è molto bello da vedere e quindi ti volevo
chiedere se nella composizione delle scene hai utilizzato riferimenti
pittorici.
Gli unici riferimenti che ho avuto sono stati
cinematografici. Certo nel corso degli anni ho sviluppato una passione per la
fotografia ma quello per il cinema è stato un' amore a prima vista tanto che
sin da bambino mi dilettavo a realizzare piccoli film. Senza dimenticare che da
buon cinefilo ho guardato migliaia di pellicole che alla fine hanno finito
anche inconsapevolmente per influenzarmi quando è giunto il momento di
realizzare il mio film.
Tu sei la dimostrazione che qualcosa nel cinema italiano
si sta muovendo. Quello che invece continua a mancare è un apparato capace di
promuoverlo. Conosciamo molte persone che volevano vedere il film ma non ci
sono riusciti perchè in molte zone d'Italia il film non era stato distribuito.
Sono d'accordo e aggiungo che questa è una consapevolezza
che appartiene non solo a me. In questo senso c'è una grande volontà da parte
di noi autori giovani di formare un pool di persone tra cui sono anche Alice
Rohrwacher, Pietro Marcello,
capace di fare pressione sugli esercenti e sui distributori per cercare
di sfondare il muro di indifferenza che circonda i prodotti meno commerciali.
Vedremo come andrà a finire. Io sono fiducioso.
Adele De Blasi, Carlo Cerofolini
Adele De Blasi, Carlo Cerofolini
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