Cherry-Innocenza perduta
di Anthony e Joe Russo
con Tom Holland, Cia Bravo
USA, 2021
genere, bellico, drammatico
durata, 142'
Non c’è che dire: sulla carta il tema e la storia di "Cherry - Innocenza perduta" sembravano fatti apposta per certificare la raggiunta maturità di Anthony e Joe Russo che, in pausa di riflessione dalle vicende apocalittiche raccontate in "Avengers: Infinity War" (dei due episodi da loro diretti, l’ultimo della serie, "Avengers: Endgame" è divenuto il film col maggiore incasso nella storia del cinema), hanno pensato di adattare il proprio abbecedario cinematografico al palcoscenico altrettanto crudo ma molto più reale della guerra irachena per raccontare la discesa all’inferno e il ritorno alla vita di un reduce alle prese con lo stress post-traumatico dovuto agli orrori sperimentati sul campo in qualità di soccorritore.
A legittimare l’operazione c'è innanzitutto la scelta di una giovane promessa come Tom Holland, già con i Russo come interprete di Spiderman, e qui chiamato a soddisfare due requisiti: il primo, di natura commerciale, legato alla popolarità dell’interprete a cui si chiedeva di far breccia nei cuori dei fan con una storia per certi versi priva di quell’ottimismo di fondo e anche di facciata di cui si nutre un certo tipo di produzione hollywoodiana. La seconda, di origine artistica, si agganciava alla possibilità di mettere in scena il passaggio di consegne tra due modi diversi di fare cinema, e dunque il trapasso da ciò che era stato fin qui l’interesse principale dei due cineasti, concentrati a far tornare i conti di produzioni multimilionarie con storie di genere fantastico e un presente di segno opposto, calato com’è il film in una dimensione come quella bellica che per sua costituzione offriva poco spazio a soluzioni narrative di tipo onirico e fantastiche.
Da qui la vocazione eterogenea di "Cherry", organizzato com’è in una prima parte che strizza l’occhio al teen dramedy (in tal senso la presenza di Holland è determinante) quando si tratta di raccontare le ragioni (sentimentali) che spingono il protagonista ad arruolarsi volontario e a partire per la sanguinosa missione, per poi lasciare il testimone alla successiva, di genere bellico, in cui espiazione e catarsi sono il frutto di del trip allucinogeno e del cupio dissolvi che caratterizzano il reducismo cinematografico.
Per rendere il nonsense della guerra facendone una visione meno ostica per il pubblico generalista a cui si rivolgono ( il film è visibile in esclusiva su Apple TV+) i fratelli Russo giocano con lo spettatore chiamato a partecipare alle vicissitudini del protagonista, alternando al dramma un repertorio tragico e insieme grottesco in cui il parossismo delle situazioni - soprattutto quelle relative agli espedienti utili a procurare la droga a Cherry e alla sua ragazza - e lo straniamento indotto dal fatto di vedere il protagonista rivolgersi in maniera estemporanea alla mdp, fanno di "Cherry" un’esperienza visiva tanto drammatica quanto spettacolare. Anche per via della retorica insita nell'enfasi dell'apparato audiovisivo sempre pronto ad aggiungere anziché togliere, e scandito da un approccio sensoriale alla materia filmica in molti casi sin troppo insistito.
Sconfessando il mito della forza e del superomismo, demoliti dall’avversione del protagonista nei confronti della retorica interventista e del patriottismo tout court (a suo tempo celebrato dai Russo nella personaggio di Steve Rogers alias Capitan America), "Cherry" non riesce comunque a tirarsi fuori dal guado: un po' per la paura di scontentare il pubblico, blandito con un'estetica da cinema mainstream; un po' perché il suo modo di raccontare - enfatizzato dall’espressionismo fotografico di Thomas Newton Sigel - finisce per essere più didascalico che riflessivo, più ridondante che introspettivo, restituendo allo spettatore la sensazione di un’operazione in parte irrisolta.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)
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