Il sol dell’avvenire
di Nanni Moretti
con Nanni Moretti,
Margherita Buy, Silvio Orlando
Italia, 2023
genere: commedia,
drammatico
durata: 95’
Il ritorno di Nanni
Moretti. Poteva essere tranquillamente il sottotitolo di questo intenso,
potente e anche divertente film. E invece Moretti ha optato per un avvenire che
per essere spiegato deve prima essere avvenuto. Ed ecco la ricerca di un
passato che, come ovvio che sia, è passato e non ritornerà più com’era. Può
solo tornare nel ricordo, toccante o divertente che sia, in forma di omaggio o
di celebrazione, ma non si può più modificare.
Nella sua fatica più
recente Nanni Moretti è Giovanni, un regista alle prese con un film che vede
protagonisti due personaggi (interpretati da Silvio Orlando e Barbora Bobulova)
di una sezione locale del Partito Comunista Italiano impegnati a far fronte
alle reazioni a seguito della rivoluzione ungherese del 1956. La storia dei due
compagni si intreccia continuamente con la vita di tutti i giorni, nel 2023, di
Giovanni e di sua moglie, anche lei inserita nel mondo dello spettacolo come il
marito che però non riesce più a tollerare. Tra omaggi e citazioni, più o meno
evidenti, Moretti prova a raccontare due (o più) storie… alla Moretti.
Quello che vuole provare,
nel senso di sperimentare e dimostrare, il regista è il riuscire a uscire dagli
schemi pur rimanendone, in qualche modo ancorato.
Non a caso Giovanni
capisce determinate cose solo nel momento in cui gli equilibri si spezzano. E
proprio da questo nasce il senso, anche di inadeguatezza, de “Il sol
dell’avvenire”. Certe prese di posizione, certi schemi rigidi impartiti e
forzati non fanno che mettere a dura prova Giovanni (e Nanni con lui) che si
ritrova come ingabbiato in un mondo che quasi non gli appartiene più. Se da una
parte c’è il regista che dice “è così perché io sono il regista, il film è mio
e si fa come dico io”, dall’altra parte c’è l’altro, quello più libero, ma solo
sotto certi aspetti, che può decidere, per esempio, di diffondere il proprio
film a più di 190 paesi, come quelli ai quali sono destinati i prodotti
Netflix.
Quindi è vero che nel
primo caso si è in qualche modo incatenati, non solo a dei principi e a delle
rigide regole, ma anche e soprattutto alla storia e al passato che, come detto,
non si può cambiare. Ma, allo stesso tempo, si è anche più liberi perché si può
ricorrere all’immaginazione e alla forza che essa porta con sé.
Nonostante ciò c’è
comunque un importante e centrale filo conduttore: la musica. Una musica che
non è mai messa a caso e che al pubblico meno attento può sembrare
semplicemente una pausa tra una scena e un’altra. In realtà è il filo
conduttore dell’intero film, quello che lega dei personaggi così apparentemente
distanti tra loro e che infonde loro il coraggio e la forza necessaria per
perseguire i propri scopi e i propri obiettivi. Non è solamente il ritornello
di canzoni celebri che ben conosciamo e che ci fanno sorridere quando e se
cantate da Moretti con un’intonazione che sembra essere anni luce lontana da
quella dell’interprete effettivo della canzone. La musica è piuttosto una sorta
di “medicina”; è ciò che Moretti usa per salvarsi. Lui ricorre alla musica nel
momento in cui comincia a sentirsi oppresso da ciò che lo circonda, siano le
problematiche sul set, i diverbi familiari o l’incapacità di portare avanti la
propria storia. La musica è quella terapia alla quale lui ricorre e si aggrappa
come un disperato.
Sicuramente, però, “Il
sol dell’avvenire” è l’essenza stessa di Moretti che si concede (a sé stesso e
al pubblico) di essere ancora una volta Moretti. Si cita e si prende in giro,
si omaggia e si preoccupa di trovare un punto alle sue storie e al suo cinema.
E forse lo trova davvero. In attesa di capire cosa troveranno gli spettatori di
Cannes.
Veronica Ranocchi
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