Fino alla fine
di
Gabriele Muccino
con
Elena Kampouris, Saul Nanni, Lorenzo Richelmy
Italia,
2024
genere:
drammatico, thriller
durata:
118’
Che
Gabriele Muccino avesse gli strumenti in regola per fare bene nel cinema
americano lo avevamo capito prima che il regista sbarcasse a Hollywood per
girare la sua prima produzione internazionale. A farcelo pensare era stato
soprattutto lo smalto luccicante delle immagini e la capacità della macchina da
presa di creare l'illusione di un continuo movimento laddove le storie si
presentavano per lo più impantanate nella rabbia e nelle disillusioni
generazionali dei suoi personaggi. Dopo lo sbalorditivo debutto coinciso con
l'inaspettato successo di "La ricerca della felicità" e il connubio
con la star del momento, quel Will Smith con cui Muccino girò anche il meno
fortunato "Sette anime", il percorso americano del nostro ebbe come
contraccolpo un prosieguo non altrettanto felice che, dopo qualche anno, lo
riportò ai nostri lidi.
A
quell'esperienza Muccino dimostra di non aver mai smesso di pensare se è vero
che dopo aver trovato il modo di tornare negli Stati Uniti per girare
"L'estate addosso", oggi rinnova la sua voglia d'Oltreoceano
attraverso un film - "Fino alla fine" - che sembra una sorta di
dichiarazione d'amore a un mondo bello e (im)possibile come quello del cinema
hollywoodiano. Per farlo però decide di compiere un viaggio opposto a quello
del 2016, a partire dall'inversione di sguardo che fa dell'Italia - e non
dell'America - la terra promessa e di un personaggio americano, Sophie
(interpretata dall'atletica Elena Kampouris), la protagonista della storia. Ma
c'è di più, perché Muccino nel cercare di mescolare le due culture, la nostra e
quella anglosassone, si sbilancia a favore della seconda, riferendosi in
particolare alla letteratura di Henry James del quale ripropone il modello
della Young American Woman la cui voglia di libertà e d'indipendenza si esplica
come da tradizione in un contesto attraente ma subdolo rappresentato dal
Vecchio Continente, da sempre sinonimo di un altrove che, nel romanziere
americano, è indicato più di altri come quello capace di mettere a rischio l'identità
e i valori del paese a stelle e strisce.
In
questo senso la trama di "Fino alla fine" appare finanche
paradigmatica nel fare di Sophie l'eroina destinata a rimanere coinvolta nel
giro di vite che trasformerà la sua vacanza a Palermo in un vero e proprio
incubo. Quintessenza del salutismo americano e dell'idea fresca e vitale
dell'America costruita a colpi di spot pubblicitari, Sophie segue il percorso
che ci si aspetta da un personaggio come lei, a cominciare dalla fascinazione
subita nei confronti di un paesaggio esotico e sensuale, per proseguire con
l'innamoramento nei confronti di un giovane bello e pericoloso (per il gruppo
di amici che frequenta) e finanche per quello spirito vitale e primitivo su cui il cinema
statunitense ha costruito il mito della nuova nazione.
Se
la "cartolina" siciliana più tradizionale è coerente alla visione che
hanno gli americani del Bel paese, più interessante è la versione notturna di
Palermo, quella che introduce il cambio di passo e dunque il passaggio da
quello che sulle prime sembrava essere una commedia drammatico-sentimentale,
dai tempi di "Come te nessuno mai" marchio di fabbrica del regista
romano, a una vera e propria crime story, con Sophie coinvolta da Giulio (Saul
Nanni, apprezzato in "Brado" di Kim Rossi Stuart) e dai suoi amici
negli affari della malavita locale.
Nel genere crime Muccino
debutta senza farsi mancare nulla in termini di ritmo e tensione, con furti,
inseguimenti, sparatorie e bagni di sangue che mescolano elementi di
sottogeneri come l'heist movie e il mob movie per dare vita a un "cuore di
tenebra" che omaggia ancora una volta l'immaginario del cinema americano
citando il superomismo di "Point Break" e la corsa ostacoli all night
long che rimanda nientedimeno che al celebre "I guerrieri della
notte" di Walter Hill. Un immaginario, quello appena descritto, che il
regista gestisce con l'intento di non perdere la propria identità e
nell'ambizione di arricchire il proprio bagaglio drammaturgico con qualcosa di
mai sperimentato. Nel farlo mantiene intatto il suo stile, e cioè quello di una
narrazione supportata dalla capacità di saper far correre immagini alimentate
da un carburante emotivo altamente incandescente: il che andrebbe anche bene se
non fosse che il contatto con una materia a elevato voltaggio, per le
fibrillazioni prodotte quando si tratta di rischiare la vita, prevederebbe
soluzioni capaci di abbassare la tensione. Il fatto che questo non succeda
comporta passaggi in cui l'isteria mucciniana sommandosi all'andamento survoltato
tipico del genere provoca un'overdose emozionale che finisce per togliere forza
ai momenti topici del film. Tutto questo al netto di un film che ha comunque
dalla sua quella di saper intrattenere i "suoi" spettatori.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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