giovedì, maggio 27, 2010

THE WOLFMAN

The WOLFMAN
Di Joe Johston



Le origini della paura ed un classico del cinema di genere sono una buona commistione per rispettare le aspettative di appassionati vecchi e nuovi.
La metamorfosi antropomorfiche e, più in generale, la visione del male come disvelamento di recessi ancestrali connaturati all'umana natura, sono da sempre il sostrato di qualunque esperienza connessa con il tentativo di spiegare il nichilismo della storia, e dei suoi protagonisti.
Domande insolute e spesso mistificate da una propaganda interessata al mantenimento di uno status quo ignorante e depressivo, riproposte in un contenitore volto ad allargare le file degli aficionados, adattando gli scenari della leggenda popolare con le relative variazioni cinematografiche (i proiettili d'argento e la maledizione trasmettibile con il morso), ed inserendo il tutto in una visuale giovanilistica fatta di sfondi sintetici ed immagini artificiali.
Il compromesso tra autorialità ed intrattenimento si traduce in un ibrido senza sostanza, con un attore abituato alla realtà e qui scaraventato in un mondo di superstizione e violenza spettacolarizzata; a fargli compagnia il prestigio di un collega ormai abituato ad annacquare la sua classe con lavori intestinali, buoni solo a perpetrare la fama di un disinteresse professionale ormai cronico, ed un attrice in cerca della propria identità. Il film appare così diviso dal tentativo di una qualche introspezione e da accenni alla tragedia Shakesperiana, con la componente edipica, sintetizzata nell'incontro scontro tra i due giganti, appesantiti da dialoghi scontati e dagli sguardi eternamente corrucciati dei personaggi, e nel contempo dalla voglia di tenere alto il ritmo di una vicenda altrimenti destinata a ben poche sorprese.
Indecisione visibile nel montaggio discontinuo della seconda parte, in cui il film sembra non riuscire ad andare avanti, quasi stesse decidendo il da farsi in corso d’opera, oppure nell'insistenza con cui il regista cerca di dare spessore alle sue illustrazioni con una serie di immagini sghembe ad enfatizzare il clima di isteria collettiva e nella ricerca di primi piani truculenti.
Con i fuochi da caccia alle streghe sempre accesi ed il paesaggio immerso in un buio che vorrebbe essere espressionista ed invece funziona solo come deterrente ad una forma cinematografica priva di profondità, The Wolfman soffre soprattutto della mancanza di empatia nei confronti del suo Villain, perché se è vero che la figura dell'uomo lupo è destinata alla sconfitta, sarebbe almeno auspicabile l'immedesimazione con lo sfortunato protagonista, un minimo di trasporto per le avversità di un destino che invece rimane sullo schermo, confinato in un immaginario che non si riesce a fare proprio.

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