martedì, febbraio 21, 2012

ATM- Trappola mortale

ATM- Trappola mortaleATM- Trappola mortale

In un momento in cui paura e spavento sembrano essere materia da sciamani, per il successo di produzioni infestate da spiriti maligni e pericolose possessioni, "ATM - Trappola mortale" segna nel suo piccolo un ritorno all'antico per i riferimenti ad un cinema che proponendo un serial killer privo di qualsiasi emotività ed assolutamente identificato con il male arrecato, si rifà senza mezzi termini a villain come Michael Meyer e Jason Voorhees, indimenticabili protagonisti di saghe come "Halloween" e "Venerdì 13".

Ad arricchire l'atmosfera vintageconcorrono nel ruolo delle vittime un terzetto di belli senza anima che alla maniera dei prodotti firmati dalla penna di Kevin Williamson ("So cosa hai fatto", "Scream" ma anche "Dawson's Creek") sembrano offrirsi su un piatto d'argento all'efferatezza del misterioso assalitore. A differenza dei predecessori, e forse nella ricerca di una caratteristica che ne giustifichi l'operazione, "ATM" fa piazza pulita dell'atmosfera vacanziera e della dimensione atemporale che in quelli si respirava per calare la sua storia in un contesto inconfutabilmente ordinario e metropolitano.

Così il pretesto della mattanza è una cabina del bancomat dove i tre cercano di effettuare un prelievo, e nella quale sono poi costretti a rifugiarsi per evitare le pericolose attenzioni di un enigmatico visitatore. Quando le intenzioni dello sconosciuto si trasformano in azioni omicide le probabilità di uscirne vivi diventerà una chimera.

Mettendo insieme continui richiami alla quotidianità che oltre all'incipit variamente distribuito lungo tutto il film, con i tentativi di forzare il bancomat per richiamare l'attenzione della polizia, prevedono anche l'utilizzo di un' oggettistica di uso comune trasformata per l'occasione in altrettanti strumenti d'offesa (dalla chiave inglese alla pompa dell'acqua usata per innondare la cabina), "ATM" si tiene lontano da eventuali spunti sociologici, legati al rapporto tra il mezzo tecnologico e gli sfortunati utilizzatori, mirando soprattutto a tenere alta la tensione.

Per farlo costruisce un meccanismo che vive sugli stratagemmi organizzati dall'assalitore per stanare le sue prede, e dai ragazzi per cercare di sfuggire all'assedio al quale sono sottoposti. Vittime e carnefici si sfidano in un gioco di resistenza e di estemporanee intuizioni che potrebbe assomigliare ad una partita a scacchi se il premio finale, con la morte del perdente, non rendesse inopportuno qualsiasi paragone ludico.

L'esordiente David Brooks è bravo ad evitare l'effetto splatter, limitando al minimo la visione del sangue ed assegnando allo sguardo degli attori il compito di restituire le varie efferatezze di cui si macchia l'assassino, mentre risulta notevole nella resa di uno spazio scenico che diventa reale, luogo esistente anche al di fuori della cornice filmica.

Dove invece il film viene a mancare è nella sua incapacità di presentare qualcosa che non sia stato già visto, nel ricalcare per filo e per segno, compreso quello di una possibile serializzazione, forme e contenuti ampiamente sfruttati.

Ed anche il tentativo di umanizzare l'assassino con un primo piano dei suoi occhi, e successivamente attribuendogli un modus operandi di incredibile raziocinio, rischia di ridimensionare il fascino che da sempre l'ignoto porta con se. Scritto da Chris Sparling ("Buried") ormai abbonato a vicende sviluppate in uno spazio circoscritto "ATM - Trappola mortale" ci dà la possibilità di vedere all'opera Alice Eve, barbie in ascesa del cinema hollywoodiano, qui nei panni di un' inconsapevole femme fatale alla quale non si può negare nulla, neanche una fantastica notte da incubo

(pubblicata su ondacinema.it)



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