L'arte di vincere - Moneyball
Cinema e sport non sono quasi mai un connubio vincente. A limitarne l'efficacia giocano soprattutto due fattori: la mancanza di empatia verso discipline attraversate da regole complicatissime, per di più alimentate da una tradizione che riguarda solo pochi adepti.
E poi l'accostamento con una visione della vita che rispecchia un punto di vista prevalentemente maschile.
Ed anche "Moneyball" occupandosi di un manager di una squadra di baseball alle prese con la scommessa di rendere competitiva una compagine allestita con pochi mezzi e molta inventiva, non si distacca dal quadro appena descritto.
Eppure dopo qualche minuto ti accorgi che pur continuando a parlare di tattiche e di mercato nella speranza di compiere il miracolo, il personaggio di Billy Beane nella sua (titanica) impresa di competere con i moloch di uno sport che anche in America ha subordinato il gesto atletico al potere dei soldi, appartiene di diritto alle grandi figure romantiche che prima il cinema e poi la letteratura hanno saputo rendere immortali.
Icaro contemporaneo per la voglia di infinito racchiusa nel sogno di invertire le sorti di una sconfitta annunciata, Billie è il capitano di una nave alla caccia della balena bianca, con il mitico cetaceo sostituito dall'altrettanto leggendario titolo delle world series che nel mondo del baseball rappresenta il successo più alto a cui si possa aspirare.
Ed è proprio nel tentativo riuscito di ricostruire la vicenda emotiva e psicologica che scandisce le varie fasi di questa rincorsa, come al solito costellata dallo scetticismo e dalla mancanza di fiducia che da sempre circonda il visionario, che il regista compie il suo capolavoro consegnandoci una vicenda che riesce a fare a meno dell'esibizione muscolare ed estetica.
Rinunciando al campo da gioco ed alle discussione tecniche, Miller ci parla di uomini e della paura di non essere all'altezza delle proprie aspettative e di quelle degli altri.
Una sfida con se stessi e con il proprio inconscio che il film rende in maniera pragmatica, mostrandoci il protagonista spesso in solitudine, a rimembrare i fantasmi di una promessa mancata (Billie ha smentito il pronostico di chi ne aveva prefigurato una carriera da star) o ad immaginare i risultati di partite che si ostina a non guardare per mantenere le distanze di chi ha paura di innamorarsi di nuovo dell'oggetto del proprio desiderio.
E poi circondandolo di figure sospese in una linea d'ombra che impedisce loro di reagire alle difficoltà di una carriera ormai logora, o mai decollata. Oppure di compagni d'avventura poco glamour come Peter Brand, il genio della statistica che aiuterà Billie a convertire i numeri in giocatori da comprare.
Dal fisico corpulento e completamente assorbito dal suo mestiere Peter è nella sua dimensione monotematica (ogni sua apparizione è legata ai motivi del suo mestiere) emblema di un mondo chiuso in se stesso, alla ricerca continua della prestazione. L'epilogo seppur rimandato nella conclusione alle cronaca dei nostri giorni dove il manager Billie Beane non ha smesso di inseguire la sua chimera, suggella nella scelta del protagonista, le ragioni di un film che ragiona sul senso della vita.
Immerso in chiari scuri caldi e leggermente autunnali "Moneyball" è un esempio di come il cinema classico sia ancora il modo per raccontare gli uomini e le loro storie. Brad Pitt è perfetto nel tratteggiare i mezzi toni di uno spirito inquieto ma deciso. Come lui tutti gli altri, in un ensemble di rara efficacia attoriale.
7 commenti:
Troppo classico secondo me, una dramma hollywoodiano valido ma ordinario.
pensa che vedendo questo film invece io ho pensato esattamente al contrario..
..nel senso che di fronte ai tentativi di far venire fuori l'anima dei personaggi estremizzando la forma questo ha invece il pregio di una nitidezza che non confonde..
pure a me ha fatto l'impressione del tutto opposta.
un film senz'anima per un personaggio davvero mediocre.
e brad ha fatto di molto meglio...
Marco ciao, buongiorno..e grazie per l'intervento...è il bello del cinema..pensa che a me è sembrato che il regista abbia impostato tutto il film per restituire lo spessore psicologico dei personaggi e ci sia riuscito..:))...confrontandolo a molto cinema odierno mi sembra all'opposto uno dei pochi che non si risolvi solamente nella forma..
ecco una faccia che è migliorata con il passare del tempo... Brad Pitt. il film mi è molto piaciuto, ho sentito vera la storia ed anche i personaggi, sono stata vinta dalla loro umanità, forse edulcorata, ma poetica.
Strepitosa presenza scenica del giovane Jonah Hill (un altro giovane sceneggiatore e produttore, amicone e collaboratore di Judd Appatow e Seth Rogen).
..Hill lo seguoto film dal principio ed anche in film come "Tre metri sopra il pelo"..eheh...condivido la tua passione..su Pitt è vero quello che dici..la sua faccia ha seguito scelte e recitazione..adesso mi pare maturo per il ruolo della vita che secondo me non ha ancora fatto...lo sapevi che avrebbe promesso di ritirarsi al più presto dalle scene..se così fosse sarebbe un peccato perchè secondo me il bello per noi spettatori deve ancora venire..
nickoftime
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