Le
polemiche e le discussioni sollevate all'uscita dei film che
ricostruiscono la recente cronaca italiana impallidiscono di fronte
all'esperienza che si prova durante la visione di Hunger il primo film
di Steve Mc Queen recuperato con molto opportunismo ma sempre recuperato
dalla distribuzione italiana in seguito al successo veneziano (Shame)
dell'accoppiata Fassbender/Mc Queen. Se nel nostro paese si invoca un
cinema che faccia nomi e cognomi, ricordiamo la polemica di Vittorio Agnoletto
rispetto alla versione dei fatti presentata da Daniele Vicari nel suo
"Diaz" da altre parti quello che ci si aspetta dal cinema è la sua forza
di rievocare la tragedia, di dargli una faccia capace di rimanere
impressa al di là dell'episodio contingente. Si cerca in sostanza di
oltrepassare i confini nazionali per puntare all'universalità degli
effetti. Come succede nell'ultimo film di Steve Mc Queen che rievoca
senza mezzi termini gli ultimi giorni di Bobby Sands, il militante
dell'ira morto a causa di uno sciopera della fame attuato per ottenere
lo status di prigioniero politico negato dal governo inglese ai
rappresentati del movimento indipendentista irlandese. Al centro del
film infatti non c'è una causa politica o la ricostruzione di un epoca
ma un uomo che lotta per la sopravvivenza di se stesso e dei suoi
diritti. Una situazione paradigmatica che Mc Queen ricostruisce
spazzando via ogni orpello ed affidandosi ad una rappresentazione al
tempo stesso reale e metaforica. Bobby Sands ed i suoi compagni sono
infatti personaggi di una consistenza fisica continuamente ribadita
nella sofferenza dei corpi scavati e nei volti emaciati dalla fame, ma
contemporaneamente diventano espressione di una condizione quella umana
destinata a soffrire, inevitabilmente votata al martirio ed alla morte,
come sottolineano le immagini cristologiche di Sands/Fassbender morente
ma anche quella dell'uccisione di uno degli aguzzini freddato mentre è
inginocchiato davanti alla madre, una postura in grado di riassumere
assieme alla modalità della ricostruzione (tutto avviene in maniera
veloce e consequenziale) l'accettazione di un destino ineluttabile. Ma
anche gli spazi, ridotti al minimo e concentrati all'interno di un unico
luogo, la prigione, riprodotta nel suo carattere spoglio e degradato,
perimetro all'interno del quale vengono esercitate funzioni umane
primarie e basiche, ed allo stesso prigione dell'anima, allegoria di una
cattività vissuta nella speranza di una redenzione collettiva, quella
di un popolo che lotta per affermare la propria indipendenza.
Mc
Queen filma con una modernità che si colora d'antico con riferimenti
pittorici perfettamente integrati nella pulizia dei movimenti di
macchina, in un equilibrio formale che è lo stesso di quello emotivo,
continuamente sospeso tra referto e tragedia. Fassbender è monumentale
in un ruolo non solo fisico. Chi lo circonda non è da meno, concorrendo a
costruire un opera di straordinaria potenza.
3 commenti:
ciao,
il film lo è sicuramente..:))
nickoftime
Grande film. Drammaticamente sentito. Regia di livello (forse un minutob di troppo). Ma è capolavoro (quasi...).
si vicino al capolavoro..meglio di Shame..
nickoftime
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