Django Unchained
di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Cristoph Waltz, Leonardo Di Caprio
Usa 2012
Durata 165'
Comunque la si voglia mettere e nonostante i suoi malesseri la tradizione del cinema italiano continua ad essere fonte d’ispirazione per i registi di tutto il mondo. E se non stupisce l’attenzione e la stima verso le pagine più fulgide del nostro movimento, dal neorealismo alla commedia italiana, sorprende per più di un motivo quella di recupero nei confronti del cinema meno nobile, omaggiato in lungo ed in largo ed ora, per la seconda volta dopo il precedente “Bastardi senza gloria”(2009) preso in considerazione da Quentin Tarantino come fonte d’ispirazione per il suo nuovo film, “Django Unchained”, rivisitazione del famoso personaggio interpretato da Franco Nero ed insieme omaggio allo spaghetti western a cui la serie di Django è legata.
Un western dunque, ma alla maniera di Tarantino che non solo introduce nella sua versione una variante fondamentale, perché il protagonista del film è un ex schiavo diventato cacciatore di taglie dopo essere stato liberato dall'uomo ( il dottor Schultz interpretato dal premio oscar Christoph Waltz) che gli insegnerà il mestiere facendolo diventare suo secondo, ma, ed è forse la cosa più importante, decide di collocare la storia nel sud degli Stati Uniti alla vigilia della guerra civile, facendo entrare in gioco quella parte di storia americana che deve fare i conti con il tema dello schiavismo. Accade infatti che dopo aver usufruito dei suoi servigi il dottor Schultz decide di aiutare Django a liberare la moglie dalla grinfie dei suoi sfruttatori, accompagnandolo a Candyland la piantagione dove Bromhilda è ridotta in cattività dal mefistofelico Calvin Candie (un cattivissimo Leonardo Di Caprio).
Tarantino non si smentisce neanche questa volta, quando, prendendo in prestito le forme di un cinema che non gli appartiene lo trasforma in qualcosa di assolutamente nuovo divertendosi a decostruirne i codici, inserendovi manie ed ossessioni che fanno capo innanzitutto alle sciarade linguistiche ed alla tipizzazione dei caratteri. Così in questo occasione a farla da padrone è il personaggio interpretato da Waltz, contraltare ironico e beffardo alla serietà composta e vendicativa di quello incarnato da Jamie Foxx. Metronomo del film per il tempo che gli è consentito lo strampalato Schultz è il vero depositario del verbo tarantiniano; è attraverso di lui che il regista americano si rivela, infilando quà e là guizzi d’intelligenza e spunti di grottesca comicità in un contesto generale dominato dal sangue e dalla vendetta, e dove ad emergere è il cuore oscuro di un america divisa tra Master and Servant. Un Tarantino divertente ma al tempo stesso impegnato a fornire la sua versione dei "fatti", a proposito della quale non sono mancate le polemiche se è vero che Spike Lee ha invitato al boicottagio dell'opera per l'utilizzo di un linguaggio ritenuto offensivo nei confronti della comunità afro americana.
Detto questo aggiungiamo che rispetto alle opere che lo hanno preceduto "Django Unchained" appare meno compatto, suddiviso in parti che faticano a stare insieme. Parliamo ad esempio dello scarto esistente tra la prima sezione dedicata alle avventure di Shultz e Django in veste di bounty killer, con la seconda, dove con un pretesto risibile i due diventano amici per la pelle condividendo i rischi connessi con la liberazione di Bromhilda. Viene quasi da pensare che il cinema di Tarantino nella sua inevitabile evoluzione si sia adeguato alle aspettative dei produttori e quindi del botteghino, cercando di far coincidere gli aspetti divistici qui assicurati dalla presenza di Di Caprio e Foxx con quelli più personali, connessi con la sua poetica d'autore e che “Django Unchained” stia a “Kill Bill” (2003/2004) e “Bastardi senza gloria” come “Jackie Brown” (1997) stava alle “Le iene” (1992) e “Pulp Fiction”(1994). Un film di transizione quindi, seppure di alto livello e superiore alla media dei prodotti in circolazione.
di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Cristoph Waltz, Leonardo Di Caprio
Usa 2012
Durata 165'
Comunque la si voglia mettere e nonostante i suoi malesseri la tradizione del cinema italiano continua ad essere fonte d’ispirazione per i registi di tutto il mondo. E se non stupisce l’attenzione e la stima verso le pagine più fulgide del nostro movimento, dal neorealismo alla commedia italiana, sorprende per più di un motivo quella di recupero nei confronti del cinema meno nobile, omaggiato in lungo ed in largo ed ora, per la seconda volta dopo il precedente “Bastardi senza gloria”(2009) preso in considerazione da Quentin Tarantino come fonte d’ispirazione per il suo nuovo film, “Django Unchained”, rivisitazione del famoso personaggio interpretato da Franco Nero ed insieme omaggio allo spaghetti western a cui la serie di Django è legata.
Un western dunque, ma alla maniera di Tarantino che non solo introduce nella sua versione una variante fondamentale, perché il protagonista del film è un ex schiavo diventato cacciatore di taglie dopo essere stato liberato dall'uomo ( il dottor Schultz interpretato dal premio oscar Christoph Waltz) che gli insegnerà il mestiere facendolo diventare suo secondo, ma, ed è forse la cosa più importante, decide di collocare la storia nel sud degli Stati Uniti alla vigilia della guerra civile, facendo entrare in gioco quella parte di storia americana che deve fare i conti con il tema dello schiavismo. Accade infatti che dopo aver usufruito dei suoi servigi il dottor Schultz decide di aiutare Django a liberare la moglie dalla grinfie dei suoi sfruttatori, accompagnandolo a Candyland la piantagione dove Bromhilda è ridotta in cattività dal mefistofelico Calvin Candie (un cattivissimo Leonardo Di Caprio).
Tarantino non si smentisce neanche questa volta, quando, prendendo in prestito le forme di un cinema che non gli appartiene lo trasforma in qualcosa di assolutamente nuovo divertendosi a decostruirne i codici, inserendovi manie ed ossessioni che fanno capo innanzitutto alle sciarade linguistiche ed alla tipizzazione dei caratteri. Così in questo occasione a farla da padrone è il personaggio interpretato da Waltz, contraltare ironico e beffardo alla serietà composta e vendicativa di quello incarnato da Jamie Foxx. Metronomo del film per il tempo che gli è consentito lo strampalato Schultz è il vero depositario del verbo tarantiniano; è attraverso di lui che il regista americano si rivela, infilando quà e là guizzi d’intelligenza e spunti di grottesca comicità in un contesto generale dominato dal sangue e dalla vendetta, e dove ad emergere è il cuore oscuro di un america divisa tra Master and Servant. Un Tarantino divertente ma al tempo stesso impegnato a fornire la sua versione dei "fatti", a proposito della quale non sono mancate le polemiche se è vero che Spike Lee ha invitato al boicottagio dell'opera per l'utilizzo di un linguaggio ritenuto offensivo nei confronti della comunità afro americana.
Detto questo aggiungiamo che rispetto alle opere che lo hanno preceduto "Django Unchained" appare meno compatto, suddiviso in parti che faticano a stare insieme. Parliamo ad esempio dello scarto esistente tra la prima sezione dedicata alle avventure di Shultz e Django in veste di bounty killer, con la seconda, dove con un pretesto risibile i due diventano amici per la pelle condividendo i rischi connessi con la liberazione di Bromhilda. Viene quasi da pensare che il cinema di Tarantino nella sua inevitabile evoluzione si sia adeguato alle aspettative dei produttori e quindi del botteghino, cercando di far coincidere gli aspetti divistici qui assicurati dalla presenza di Di Caprio e Foxx con quelli più personali, connessi con la sua poetica d'autore e che “Django Unchained” stia a “Kill Bill” (2003/2004) e “Bastardi senza gloria” come “Jackie Brown” (1997) stava alle “Le iene” (1992) e “Pulp Fiction”(1994). Un film di transizione quindi, seppure di alto livello e superiore alla media dei prodotti in circolazione.
6 commenti:
In qualità di delegato de I CINEMANIACI per il cinema di genere, mi corre l'obbligo di intervenire. Al fine di non creare confusione (vi assicuro su Django ne esiste abbastanza). Iniziamo con il dire che non esiste una vera e propria SERIE di Django.
Il successo del film di Corbucci scatenò produttori e sceneggiatori e i Django tarocchi invasero i cinema. Dopo il Django originale il produttore Bolognini litigò con Corbucci e Franco Nero aveva firmato un contratto con la Warner, questo complicò ulteriormente le cose.
Di seguito i "Django" più noti:
"Preparati la bara", può essere considerato un prequel a tutti gli effetti perchè prodotto da Bolognini e il personaggio era interpretato da Terence Hill.
"Django cacciatore di taglie" è addirittura un film argentino e il protagonista diventa Django solo per la distribuzione in Italia.
"Django non perdona" è una produzione spagnola e il protagonista J. Clark è in realtà lo spagnolo H. Blanco.
"I vigliacchi non perdonano" è film italiano e il Django protagonista è Gianni Garko.
"Uccidi Django..uccidi per primo" viene diretto da S. Garrone e il protagonista è Giacomo Rossi Stuart. Seguono decine di Django (anche brasiliani e turchi)ma quello che merita certamente una citazione è "Django il bastardo" sempre di Sergio Garrone, un western atipico dove si respira aria malsana interpretato da Anthony Steffen (Antonio De Teffè). Altro Django è quello di P. Squitieri "Django sfida Sartana". Mi fermo qui, ma si potrebbe andare avanti all'infinito. Devo però ricordare che un sequel ufficiale esiste ed è quello girato nel 1987 da Nello Rossati è interpretato dall'originale Franco Nero, dal titolo "Django 2" e proprio come il Django di Tarantino è ambientato tra schiavi e schiavisti, un caso?.
saluti.
All'anteprima romana del film di Tarantino avventua circa 2 settimane fà è stato consegnato alla stampa il book del film in cui si faceva menzione della filologia inerente alla serie di film incentrati sulla figura di Django.
Una consapevolezza che non ha impedito a produttori ed addetti ai lavori di parlare di "serie" anche in presenza e con con le distinzione che il primo intervento ha messo in evidenza e che nella recensione è stato scelto di usare per maggiore speditezza e nella convinzione che tale approssimazione non cambia il senso del film e dei suoi contenuti
nickoftime
Solito divertente, grande Tarantino. I titoli di testa con il brano del Django originale fanno venire i brividi.
Io l'ho trovato epico. Stavo lì seduto su una poltrona del cinema e mi dicevo "cavolo, questo è un film che capita raramente".
Grazie, Quentin.
..ciao Denny,le tue sensazioni sono quelle che vorebbe avere chiunque di noi si sieda davanti ad uno schermo cinematografico..quando questo succede il cinema ha assolto il suo compito..
Fabri, come non parlare dei costumi? una delle cose purtroppo poco curate..peccato... oppure potresti dirmi che è voluta la incongruenza di quanto portato sullo schermo?
addirittura c'è un tizio che porta un cappello con la cordicella e il suo regolo di plastica..e che dire degli occhiali?...e che dire dei jeans che sembrano usciti da una fabbrica della diesel? ...mah...
comunque waltz è qui impeccabile, da oscar :-)
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