Pazze di me
di Fausto Brizzi
con Francesco Mandelli, Loretta Goggi, Claudia Zanella
Italia, 2013
durata, 94
Le famiglie disfunzionali generano divertimenti catastrofici. Sono questi gli intenti che stanno alla base di una commedia come "Pazze di me", il nuovo film targato Fausto Brizzi, alle prese con uno script che riprende il suo dittico dedicato alla guerra dei sessi ("Maschi contro femmine", 2010 e "Femmine contro Maschi, 2011") variandolo a favore di una preponderanza femminile espressa nel numero dei personaggi proposti e nell'enfasi delle esasperazioni caratteriali rappresentate dal collettivo di Erinni messo in scena dalla storia.
All'origine di tutto c'è un abbandono, quello del padre di Giorgio, da allora chiamato a sostituire la figura paterna in un contesto capitanato da una madre dominatrice e castrante, e con nonna, sorelle ed anche una badante che in un modo o nell'altro finiscono per sfogare su di lui le frustrazioni ereditate dall'antico trauma familiare. Vittima di uno schema che ne condiziona le scelte della vita quotidiana, Giorgio vede fuggire una dietro l'altra le fidanzate di turno, spaventate dalla folle invadenza di quel consesso, fino all'incontro con Giulia, la donna della sua vita, che lo convince a ribellarsi una volta per tutte dalle perigliosa compagnia.
Se Giorgio - un Francesco Mandelli unmasked ed in versione slapstick - è il perno attorno a cui ruota il resto del film, non c'è dubbio che "Pazze di me" per l'overdose di voci femminili costituisca un'eccezione le cui proporzioni, sempre per restare al cinema di genere, devono essere rintracciate nel prototipo firmato da un maestro come Mario Monicelli che nel suo "Speriamo che sia femmina" (1986) dava spazio ad un universo femminile monopolizzante e maggioritario, e poi per fare un esempio più recente al cineteatro rappresentato dal film di Cristina Comencini "Due partite" (2009). Nei fatti però il film di Brizzi più che dare spazio ad una serie di "ritratti" utilizza l'elemento femminile, con le nevrosi e le contraddizioni che gli appartengono, come oggetto contundente capace di legittimare il tormentone del titolo, ma soprattutto come miccia per innescare una quantità di situazioni talmente assurde da giustificare le peripezie dello stralunato protagonista. In questo modo la presunta follia entra in gioco in maniera intercambiabile, e, ove si eccettui il personaggio Veronica (Claudia Zanella), a cui è dato il tempo di andare oltre il radicalismo del suo femminismo per tratteggiarne l'insicurezza, escludendo a priori l'universo che le contiene, e di conseguenza le psicologie che l'hanno prodotta. Così l'intransigenza materna della madre interpretata da Loretta Goggi, la risibile frivolezza di Federica, il perfezionismo di Beatrice e finanche l'opportunismo della badante romena più che peculiarità dei singoli ruoli diventano il riassunto della loro essenza, riducendo quelle personalità a puro stereotipo. In un contesto simile è ovvio quindi che a contare non sono le sfumature comportamentali e gli scarti emozionali ma la capacità del meccanismo di concatenare i fatti e di mantenere alto il ritmo degli inconvenienti che si abbattono progressivamente su Giorgio. E se questo succede, facendo quasi dimenticare la carenza del contesto in cui le situazioni si verificano, le coincidenze forzate - come quella che ad un certo punto fa si che Giorgio incontri sempre Veronica in compagnia del padre della sua fidanzata di cui la sorella si è pazzamente innamorata - o il cambio di direzione repentina in cui Giorgio da vittima delle sorelle diventerà una sorta di dottor Stranamore, in grado di risolverne i problemi sentimentali, allora in fondo, "Pazze di me" riesce ad essere all'altezza delle sue aspettative. Giunto alla sua settima regia Brizzi è già costretto a far quadrare i conti per il flop del precedente "Come bello far l'amore" (2012). Da qui forse il fatto di assegnare il ruolo principale a Francesco Mandelli, attore "caldissimo" per l'exploit de "I soliti idioti" (2012) e poi di affidarlo all'esperienza di animali da palcoscenico come Loretta Goggi, appena tornata al cinema, di Maurizio Micheli, caratterista a tutto campo e qui nei panni del portiere innamorato neanche tanto segretamente della madre di Giorgio, e da un mix di attrici giovani e meno giovani puntualmente professionali come Marina Rocco (Federica) ormai abbonata ai ruoli di bellina senza testa. Di suo Brizzi, qui meno pop del solito ci mette un universo che tracima a piene mani dal fumetto - Mandelli con il suo fisico esile e gommato potrebbe essere un disegno del Rebuffi di Tiramolla - e dal cinema americano. Evidente è l'influsso di PT Anderson per il personaggio di Veronica omologa del Frank TJ. Mackey di "Magnolia" (1999) anche per la somiglianza del contesto in cui ci viene presentato (il monologo di lei è simile al pensiero "Seduci e distruggi" del "womanizer" interpretato da Tom Cruise) ed ancor più per quello di Giorgio, versione italiana, almeno fino ad un certo punto del Barry/Adam Sadler di "Ubriaco d'amore"(2002), sottovalutato capolavoro del regista americano, ripreso non solo nella sottomissione al proprio nucleo familiare ma anche nei modi laconici in cui questa si esprime. Ed è forse proprio la distanza da quest'ultimo modello a far riflettere, sulla mancanza di coraggio di certa commedia nostrana, qui palesata con un finale paradossalmente machista e consolatorio (alla fine le donne si rivelano "donnette" ed è il maschio a dover correre in loro aiuto). Certamente utile agli incassi ma sicuramente superficiale nel cogliere una parte importante della nostra contemporaneità.
(pubblicato su ondacinema.it)
di Fausto Brizzi
con Francesco Mandelli, Loretta Goggi, Claudia Zanella
Italia, 2013
durata, 94
Le famiglie disfunzionali generano divertimenti catastrofici. Sono questi gli intenti che stanno alla base di una commedia come "Pazze di me", il nuovo film targato Fausto Brizzi, alle prese con uno script che riprende il suo dittico dedicato alla guerra dei sessi ("Maschi contro femmine", 2010 e "Femmine contro Maschi, 2011") variandolo a favore di una preponderanza femminile espressa nel numero dei personaggi proposti e nell'enfasi delle esasperazioni caratteriali rappresentate dal collettivo di Erinni messo in scena dalla storia.
All'origine di tutto c'è un abbandono, quello del padre di Giorgio, da allora chiamato a sostituire la figura paterna in un contesto capitanato da una madre dominatrice e castrante, e con nonna, sorelle ed anche una badante che in un modo o nell'altro finiscono per sfogare su di lui le frustrazioni ereditate dall'antico trauma familiare. Vittima di uno schema che ne condiziona le scelte della vita quotidiana, Giorgio vede fuggire una dietro l'altra le fidanzate di turno, spaventate dalla folle invadenza di quel consesso, fino all'incontro con Giulia, la donna della sua vita, che lo convince a ribellarsi una volta per tutte dalle perigliosa compagnia.
Se Giorgio - un Francesco Mandelli unmasked ed in versione slapstick - è il perno attorno a cui ruota il resto del film, non c'è dubbio che "Pazze di me" per l'overdose di voci femminili costituisca un'eccezione le cui proporzioni, sempre per restare al cinema di genere, devono essere rintracciate nel prototipo firmato da un maestro come Mario Monicelli che nel suo "Speriamo che sia femmina" (1986) dava spazio ad un universo femminile monopolizzante e maggioritario, e poi per fare un esempio più recente al cineteatro rappresentato dal film di Cristina Comencini "Due partite" (2009). Nei fatti però il film di Brizzi più che dare spazio ad una serie di "ritratti" utilizza l'elemento femminile, con le nevrosi e le contraddizioni che gli appartengono, come oggetto contundente capace di legittimare il tormentone del titolo, ma soprattutto come miccia per innescare una quantità di situazioni talmente assurde da giustificare le peripezie dello stralunato protagonista. In questo modo la presunta follia entra in gioco in maniera intercambiabile, e, ove si eccettui il personaggio Veronica (Claudia Zanella), a cui è dato il tempo di andare oltre il radicalismo del suo femminismo per tratteggiarne l'insicurezza, escludendo a priori l'universo che le contiene, e di conseguenza le psicologie che l'hanno prodotta. Così l'intransigenza materna della madre interpretata da Loretta Goggi, la risibile frivolezza di Federica, il perfezionismo di Beatrice e finanche l'opportunismo della badante romena più che peculiarità dei singoli ruoli diventano il riassunto della loro essenza, riducendo quelle personalità a puro stereotipo. In un contesto simile è ovvio quindi che a contare non sono le sfumature comportamentali e gli scarti emozionali ma la capacità del meccanismo di concatenare i fatti e di mantenere alto il ritmo degli inconvenienti che si abbattono progressivamente su Giorgio. E se questo succede, facendo quasi dimenticare la carenza del contesto in cui le situazioni si verificano, le coincidenze forzate - come quella che ad un certo punto fa si che Giorgio incontri sempre Veronica in compagnia del padre della sua fidanzata di cui la sorella si è pazzamente innamorata - o il cambio di direzione repentina in cui Giorgio da vittima delle sorelle diventerà una sorta di dottor Stranamore, in grado di risolverne i problemi sentimentali, allora in fondo, "Pazze di me" riesce ad essere all'altezza delle sue aspettative. Giunto alla sua settima regia Brizzi è già costretto a far quadrare i conti per il flop del precedente "Come bello far l'amore" (2012). Da qui forse il fatto di assegnare il ruolo principale a Francesco Mandelli, attore "caldissimo" per l'exploit de "I soliti idioti" (2012) e poi di affidarlo all'esperienza di animali da palcoscenico come Loretta Goggi, appena tornata al cinema, di Maurizio Micheli, caratterista a tutto campo e qui nei panni del portiere innamorato neanche tanto segretamente della madre di Giorgio, e da un mix di attrici giovani e meno giovani puntualmente professionali come Marina Rocco (Federica) ormai abbonata ai ruoli di bellina senza testa. Di suo Brizzi, qui meno pop del solito ci mette un universo che tracima a piene mani dal fumetto - Mandelli con il suo fisico esile e gommato potrebbe essere un disegno del Rebuffi di Tiramolla - e dal cinema americano. Evidente è l'influsso di PT Anderson per il personaggio di Veronica omologa del Frank TJ. Mackey di "Magnolia" (1999) anche per la somiglianza del contesto in cui ci viene presentato (il monologo di lei è simile al pensiero "Seduci e distruggi" del "womanizer" interpretato da Tom Cruise) ed ancor più per quello di Giorgio, versione italiana, almeno fino ad un certo punto del Barry/Adam Sadler di "Ubriaco d'amore"(2002), sottovalutato capolavoro del regista americano, ripreso non solo nella sottomissione al proprio nucleo familiare ma anche nei modi laconici in cui questa si esprime. Ed è forse proprio la distanza da quest'ultimo modello a far riflettere, sulla mancanza di coraggio di certa commedia nostrana, qui palesata con un finale paradossalmente machista e consolatorio (alla fine le donne si rivelano "donnette" ed è il maschio a dover correre in loro aiuto). Certamente utile agli incassi ma sicuramente superficiale nel cogliere una parte importante della nostra contemporaneità.
(pubblicato su ondacinema.it)
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