domenica, febbraio 05, 2017

SPLIT

Split
di MN Shyalaman
con James McAvoy, Anya Taylor Joy 
USA, 2017
genere, thriller
durata, 116'


In occasione dell’uscita di “The Visit” ci eravamo soffermati non poco sulle implicazioni conseguenti alla decisione di M. Night Shyalaman di rilanciare le proprie quotazioni affidandosi a un produttore come Jason Ferus Blum che aveva fatto dell’indipendenza artistica e commerciale il trampolino di lancio delle proprie fortune. Capace di sdoganare i concetti di terrore e paura dall'idea di un pubblico laterale e minoritario per riportarli in un contesto popolare e di massima tendenza, Blum ha sempre puntato su un cinema che pur in un regime di ristrettezza economica ha cercato comunque di non allontanarsi troppo dalle estetiche delle grandi produzioni hollywoodiani Per riuscirci aveva focalizzato il suo interesse su storie che gli consentissero di far sembrare la scelta di girare in spazi concentrati e in un numero ridotto di location non come mancanza di possibilità quanto piuttosto come la volontà di rimanere attaccato all’inconscio dei suoi personaggi e perciò bisognosa di una rappresentazione coerente a un assunto narrativo che negli spazi chiusi e scarsamente illuminati e nella rarefazione scenografica trovava lo scenario in grado di rendere al meglio la valenza psichica delle trame. Caratteristiche che non a caso erano state da sempre il cavallo di battaglia dello stesso Shyamalan che in film come “Signs” e “The Village” aveva fatto del contenimento spaziale e del ricorso al fuori campo gli strumenti per dare senso alle immagini 


E’ inutile dire che rispetto a quanto detto “Split” si incastra alla perfezione con il momento di carriera delle parti in causa perché se da una parte i nomi in cartellone consentivano a Blum di completare il processo di affrancamento da quello status di artigianalità e di improvvisazione poco utile a scalare le vette del box-office, dall’altra “Split” rappresentava per Shyalaman un ulteriore passo in avanti verso quella libertà creativa che il più delle volte finisce per coincidere con il pieno controllo dei mezzi di produzione. Un’unità di intenti confermata dalla consistenza psicologica della trama se è vero che il film, raccontando la storia del rapimento e della segregazione di tre ragazze da parte di un individuo affetto da personalità multiple, si avvale degli aspetti artistici e materiali verso i quali i nostri sono maggiormente avvezzi. Girato in interni il lungometraggio si sviluppa alternando le scene ambientate nel rifugio prigione dove il cattivo entrando in empatia con una delle tre ragazze da sfoggio della parte peggiore dei suoi istinti a quelle collocate nello studio della psichiatra che lo ha preso in cui il film oltre ad approfondire le caratteristiche della malattia di Kevin (l’ottimo James McAvoy) si costruisce la propria coerenza interna rispetto alle incredibili mutazioni del protagonista, legittimate agli occhi dello spettatore dalla  teoria - sostenuta dalla donna - secondo cui a ogni cambiamento di personalità ne corrisponde un’altra parimenti invasiva che riguarda la mutazione fisiologica del corpo.


Quasi lezioso e un po' troppo insistito quando si tratta di prendersi una pausa dalla aspetti più estremi della vicenda “Split” da il meglio di se nel mettere in scena il rapporto tra le vittime e il loro carnefice. In particolare, a prendere piede con il passare dei minuti è il confronto tra Kevin e la giovane Casey (la Anya Taylor Joy di “The Witch”), ragazza complicata e introversa la cui empatia nei confronti del suo carnefice rimanda a quella altrettanto drammatica e malata tra Clarice Sterling e Hannibal Lecter de “Il silenzio degli innocenti”. Alcune sequenze (come quella iniziale del rapimento) sfiorano il capolavoro ma a differenza dei suoi migliori lavori la regia di Shyamalan tende più a mostrare che a nascondere: così facendo i misteri della mente (del protagonista) non riescono ad andare oltre i cliché tipici del genere che il regista utilizza al massimo grado quando si tratta di tirare le fila della storia, decidendo non senza qualche sorpresa (presente soprattutto nell’immagine che conclude il film) il destino finale dei suoi protagonisti.

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