Mrs Fang
di Wang Bing
Francia, Cina, Germania 2017
genere, documentario
durata, 2017
Superato il giro di boa la settantesima edizione del festival cala i pezzi da novanta e, in attesa di sapere chi sarà il vincitore, ci presenta la nuova fatica di un autore senza mezze misure, di quelli che piacciono a Locarno per la capacità di provocare discussioni e schieramenti di campo. Così è infatti la reazione del pubblico nei confronti di "Mrs Fang" del regista cinese Wang Bing, un'opera che lui stesso, in sede di presentazione non ha saputo definire, preferendo lasciare a chi guarda il piacere o la responsabilità di trovarne la giusta collocazione. In effetti si fatica a trovare l'esatta definizione di quella che potrebbe essere la cronaca filmata degli ultimi giorni di un'anziana signora, costretta all'infermità dalle conseguenze dell'alzhaimer e accompagnata al trapasso dalla telecamera del regista che la filma sul letto di morte, contorniata da parenti e amici che sono radunati al suo capezzale. La difficoltà di cui parliamo è infatti intrinseca ai contenuti del film, perché - e Wang Bing è il primo a rendersene conto - nella sua natura intima e privata, la materia del contendere è talmente delicata da uscire svilita da un'operazione che avesse come unico obiettivo un interessa puramente cinematografico.
D'altro canto "Mrs Fang" è per antonomasia un'opera del suo regista, e quindi destinata ad offrirci una forma di partecipazione del tutto sconosciuta ai parametri delle abitudini occidentali. Succede infatti che Wang, di fronte al volto smarrito della donna, ripreso con primi piani che lasciano poco spazio all'immaginazione (per l'impossibilità da parte dall'interessata di interagire con eventuali interlocutori), faccia di tutto per rendere questi momenti avulsi dagli artifici drammaturgici normalmente utilizzati per sottolineare la precarietà della situazione. Ciò che ne consegue è un cinema fatto di progressive sottrazioni, svuotato di ciò che normalmente riempie l'inquadratura: privo di movimenti di macchina e senza il commento offerto da un'eventuale colonna sonora, "Mrs Fang" è costruito sul significato che assume il posizionamento e l'angolazione della macchina da presa rispetto al centro dell'azione, e nel quale, a creare lo scarto decisivo non serve altro che la decisione di filmare in maniera indiretta la morte della donna, lasciando che siano le persone che la circondano a testimoniare il decesso, e non lo sguardo del regista. Il tutto a sostanziare l'essenza di un cinema che per essere tale non ha bisogno di alcun tipo di sensazionalismo.
Ma non basta, perché a certificare le intenzioni dell'autore, concorre il corollario di immagini poste a margine dell'evento principale in cui le lunghe sessioni di pesca effettuate dai parenti più stretti della donna sono immortalate da campi lunghi che, nell'interesse riposto dagli interessati nei confronti dell'attività e nell'allontanamento della barca rispetto al luogo delle riprese, sembrano materializzare le coordinate psicologiche con cui è vissuta la vicenda da parte degli interessati, sopraffatti dalla necessità di far fronte alle necessità materiali della propria famiglia e perciò "obbligati" a prendere le distanze dall'evento luttuoso. Girato in un villaggio rurale della provincia cinese, "Mrs Fang" nel suo rapporto con la morte e nello svuotamento di senso del più grande tabù del mondo occidentale produce reazioni contrastanti. Paradossalmente, a provocare il disagio non è il fatto di violare, in qualità di spettatore, lo spazio della protagonista ma piuttosto la sensazione di ritrovarsi allineati alla stessa mancanza d'empatia con cui il film comunica le sue informazioni. Quasi che Wang, attraverso l'avventura esistenziale di Mrs Fang voglia mettere in scena un contrappasso emotivo capace di ragionare sulla natura retorica del cinema e sulla capacità che esso ha di manipolare realtà. La bellezza del film è di riuscire a farlo attraverso gli strumenti di un'opera che mira ad ottenere l'effetto opposto.
Carlo Cerofolini
(ondacinema.it/speciale festival di Locarno 70)
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