Scary Mother
di Ana Urushadze
con Nato Murvanidze, Dimitri Tatishvili
Georgia, 2017
genere, drammatico
durata, 107'
Tra le sezioni del Festival quella dedicata ai Cineasti del presente rappresenta l'opzione più sperimentale e coraggiosa, deputata a tenere a battesimo e a segnalare a pubblico e addetti ai lavori i titoli più coraggiosi della rassegna. In tale ambito non è dunque una sorpresa trovare un film come "Scary Mother" destinato per natura a tenersi lontano da un certo tipo di convenzionalità cinematografica. Il tentativo dell'autrice infatti è quello di raccontare alla propria maniera uno dei topos più tipici dell'essenza artistica, che, come sappiamo, è fatta per nutrirsi delle proprie ossessioni, anche a costo di sacrificare tutto il resto. Così infatti accade alla protagonista film, la quale, nel tentativo di dare seguito al proprio talento di scrittrice, abbandona progressivamente le consuetudini famigliari per inseguire i fantasmi del proprio estro, colpevoli di relegarla in un universo più fittizio che reale. Guardando a Kafka e a David Lynch (ripreso più di tutti nella camera rossa dove ad un certo punto la protagonista decide di rimanere segregata per favorire l'efficacia della sua scrittura) la regista georgiana costruisce un kammerspiel surreale e grottesco, popolato com'è di personaggi "lombrosiani", definiti sulla base di modalità espressive e devianze psicologiche degne dei migliori freak della cinematografia contemporanea, e a partire dai quali prende piede la visione di un universo che ne riflette le rispettive anomalie. Interessato più alla messinscena del malessere che alla sua spiegazione, "Scary Mother" deve il fatto di essere stato qui selezionato alla sue qualità visive, e, nella fattispecie, nel modo con cui i personaggi occupano l'ambiente, alternativamente utilizzato per rompere o favorire le simmetrie ricavate dalla geometrie dell'impianto scenografico. Alla luce di ciò, è davvero un peccato che a sconfessare la fede nelle possibilità del dispositivo intervenga la scelta (della regista) di fornire ulteriori spiegazione, raddoppiando le informazioni sull'origine del male con le parole di una sceneggiatura troppo scontata per tenere testa alla forza delle immagini.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it/speciale festival di Locarno 79)
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