È stata la mano di Dio
di Paolo Sorrentino
con Filippo Scotti, Toni
Servillo, Teresa Saponangelo
Italia, 2021
genere: drammatico
durata: 130’
Un Sorrentino all’ennesima
potenza, degno di tutti i riconoscimenti possibili quello di “È stata la mano
di Dio”.
Il film, presentato in
anteprima al Festival di Venezia, è adesso nelle sale, in attesa di sbarcare su
Netflix dal 15 dicembre.
Etichettato con svariati
appellativi dall’anteprima mondiale a oggi, il film di Sorrentino è forse il suo
migliore da intendersi come autentico. Con “È stata la mano di Dio” Sorrentino
si racconta, si mette a nudo e si interroga, interrogando anche chi sta guardando.
Il film mostra l’adolescenza
del regista premio Oscar, concentrandosi non tanto sulla sua vita, quanto su
tutto ciò che lo circonda e soprattutto chi, dai parenti agli amici. Ed ecco
che conosciamo zia Patrizia, personaggio quasi surreale che, in un certo senso,
farà da filo conduttore in tutta la narrazione. Ma anche l’amico Armando, lo “zio”
Alfredo e, ovviamente i genitori e il fratello (anche la sorella, nonostante si
rifugi costantemente in bagno). Tutti hanno a che fare, più o meno direttamente,
con Fabio “Fabietto” Schisa, protagonista indiscusso, sotto tutti i punti di
vista. Fabietto è l’alter ego di Sorrentino, anche se ciò non viene mai detto
esplicitamente, anche se ci sono variazioni e “licenze poetiche”. Dall’evidente
somiglianza fisica alle vicissitudini che lo colpiscono, dall’ambiente nel
quale cresce all’idolo indiscusso, tutto richiama Paolo Sorrentino, come lui
più volte ha spiegato e ripetuto.
A mettere d’accordo l’allegria
e la voglia di scherzare del padre di Fabietto e la dolcezza della madre, ma
anche la vicinanza del fratello e tutte le dinamiche della famiglia sempre più
grande c’è l’idolo che tutta la Napoli (e non solo) degli anni ’80 sogna: Diego
Armando Maradona. Il suo arrivo al Napoli fa da sfondo alla storia raccontata
da Sorrentino. È sia il sogno di Fabietto, così come di tanti altri, tifosi e
non, come lui, sia la speranza di un cambiamento che, partendo dal calcio, si
può espandere oltre e portare nuova vita e nuova linfa alla splendida Napoli
che culla “È stata la mano di Dio” fin dalla primissima inquadratura.
Un concentrato di amore
sotto tutti i punti di vista. Il film di Sorrentino racconta l’amore per una
famiglia, l’amore per Maradona (che il regista ha ringraziato anche in
occasione della cerimonia dei premi Oscar), l’amore per la sua Napoli, al pari
di grandi ed eterne città di cui la cinematografia (e non solo) è piena e l’amore
per il cinema. Quell’arte che lo ha fatto evadere, che lo ha portato lontano da
Napoli e al contempo sempre più vicino e che lo ha salvato e continua a
salvare.
“La realtà è scadente” è forse una delle frasi più significative dell’intero film che racchiude quanto appena detto, ma anche l’idea di cinema che Sorrentino ha portato, e continua a portare, avanti. Quella che disegna è una realtà diversa non solo dalla vera realtà, ma anche dalla realtà cinematografica alla quale siamo abituati solitamente. La sua è un’immersione totale e completa. Fabietto è Paolo e Paolo è Fabietto. Entrambi hanno subito una grave, gravissima perdita ed entrambi sono stati salvati proprio da quella famigerata “mano di Dio”. Ma in realtà Fabietto siamo noi. Nelle sue scelte, nelle sue difficoltà e nelle sue incertezze. Affiancato da personaggi talvolta fin troppo caricaturali (come in pieno stile sorrentiniano), riesce ad affrontare tutti gli ostacoli che la vita gli mette davanti perché si prefigge un obiettivo, un sogno, uno scopo.
Un film attento a tutto,
dove niente è lasciato al caso. Dalle parole, con le quali è sempre stato molto
abile il regista partenopeo, alle immagini che si soffermano con estrema cura e
dolcezza su particolari e luoghi degni di rimanere impressi nella mente dello
spettatore.
Ma non solo parole e
immagini. Anche interpretazioni. In questo caso, una su tutte è quella di
Filippo Scotti che, nei panni di Fabietto, regala una vera e propria magia. Un
premio Marcello Mastroianni a Venezia quasi d’obbligo. Ridiamo con lui e
soffriamo con lui. Lo guardiamo cercare di capire il mondo e di capire sé
stesso. Ride e si diverte con il padre, si spaventa per i litigi dei genitori e
si arrabbia in una scena cruciale. Ma soprattutto scruta il mondo, il futuro,
quello che lo aspetta con uno sguardo a tratti assente, a tratti sognante, a tratti
affamato. Che è poi lo sguardo di Paolo Sorrentino.
Non “È stata la mano di
Dio” solo per Fabietto (e Paolo). Lo è stata anche per noi, dopo la visione di
questo film. In attesa di futuri riconoscimenti, per il momento resta la
sensazione indescrivibile di sogno, bellezza e speranza che si ha una volta
usciti dalla sala.
Veronica Ranocchi